Detenzione e rieducazione, Salvatore Parolisi: quando i ‘permessi’ non convincono
Al suo primo permesso-premio dopo dodici anni di carcere, l’ex caporal maggiore che uccise la moglie a coltellate ha intrattenuto l’inviata di «Chi l’ha visto?» con una descrizione compiaciuta dei suoi tradimenti, per i quali ha incolpato la vittima e la suocera: disattenta la prima e invadente la seconda.
Come se questi dodici anni fossero passati attraverso di lui senza lasciare niente, tranne l’eco di vecchi rancori.
Il permesso-premio è un istituto meritorio, a patto che lo si conceda dopo aver studiato i progressi del recluso, anziché limitandosi a barrare quattro caselle su un modulo. Se qualcuno avesse studiato l’uomo che stava dietro la «pratica Parolisi», si sarebbe reso conto che era rimasto lo stesso di un tempo e non gli avrebbe consentito di uscire dal carcere per insolentire la donna che ha ucciso. Magari non starà scritto in nessun tabulato ministeriale, ma la prima regola a cui dovrebbe attenersi il beneficiario di un permesso-premio è di non approfittare della momentanea condizione di ritrovata libertà per nominare (e infangare) in pubblico la vittima del reato per cui sta scontando la pena.
Ci sono persone che ancora soffrono a causa del suo gesto. Se Parolisi non capisce nemmeno questo, non ha capito niente. E se un magistrato non se ne accorge, ci ha capito poco anche lui.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)