Emergenza siccità e popolazioni allo stremo in America Latina, ma la poca acqua è dirottata su coltivazioni intensive e miniere
Il “Niño”, il fenomeno atmosferico che, riscaldando le acque del Pacifico, è destinato a portare a un innalzamento delle temperature e a un aumento di fenomeni atmosferici estremi, ha appena fatto la sua comparsa. Nei prossimi mesi sarà il principale “accusato” di qualsiasi anomalia climatica, soprattutto nel Continente americano, e i suoi effetti potranno rischiano di sommarsi a un’anteprima che è già sotto gli occhi di tutti: una delle peggiori siccità – peraltro ricorrenti – dell’America Centrale, a partire dall’istmo di Panama, dove è stata dichiarata emergenza nazionale e dove il celebre Canale è ai minimi storici.
La siccità colpisce soprattutto il cosiddetto “corredor seco”, il “corridoio secco” che attraversa questa parte di America e si incunea in Honduras e in Guatemala. Paesi poverissimi, con economie di sussistenza, gravi problemi sociali e di delinquenza, una strutturale emigrazione causata dalla violenza e dall’indigenza. Popolazioni a cui mancava soltanto questo flagello, peraltro ricorrente: impossibilità a seminare i piccoli poderi, animali d’allevamento che muoiono come mosche, continui blackout elettrici e altre varie conseguenze collaterali.
In Honduras, il Paese più colpito dalla fortissima siccità, il Governo ha decretato l’allerta rossa in 140 Comuni, concentrati nel sudovest del Paese, quello che guarda verso il Pacifico; un altro centinaio è in allerta gialla. Eppure, la siccità non è la sola causa della mancanza d’acqua di cui soffrono le popolazioni. Quella che c’è, infatti, non viene in primo luogo destinata alle persone, ma alle monocolture, in particolare quella della palma da olio: solo la metà di quella che viene usata per questa coltivazione, servirebbe a soddisfare il fabbisogno dell’intera popolazione del Paese. Oppure, alle miniere, per la lavorazione dei metalli, con gravissimi effetti a livello di contaminazione e inquinamento. Senza contare la cresce deforestazione, che priva il Paese delle necessarie zone umide.
Campagna di solidarietà e riflessione sull’ecologia integrale. Mons. José Vicente Nácher, da pochi mesi arcivescovo di Tegucigalpa, nella sua diocesi, che corrisponde al territorio della capitale, una delle zone interessate dalla siccità, nelle settimane scorse è intervenuto parlando dell’emergenza durante l’omelia domenicale, e per quanto possibile ha mobilitato la Caritas e le parrocchie. “La situazione – dice al Sir – è preoccupante, con metà territorio nazionale, al centrosud, in allerta rossa e un’altra parte consistente in allerta gialla. Le sorgenti sono secche, i fiumi più grandi non sono navigabili, anche il rio Segovia, che corre in mezzo alla giungla, ha una portata ridotta. In questi giorni c’è stata qualche pioggia, e la gente ne ha approfittato per provare a seminare”.
Ma le prospettive sono e restano preoccupanti, anche per il concomitante arrivo del Niño e l’annunciato innalzamento delle temperature. “In diocesi abbiamo avviato una campagna di solidarietà, ma si tratta di una piccola cosa, dato che le nostre risorse sono molto povere. Cerchiamo, inoltre, di riflettere sull’enciclica Laudato si’, si sta realizzando quanto in quel documento scriveva Papa Francesco, e stiamo facendo poco per apprendere la lezione. Qui a Tegucigalpa, stiamo rafforzando la Commissione per l’Ecologia integrale. Certo, la dimensione dei fenomeni è globale, ma ognuno di noi è chiamato a scelte di prevenzione e aiuto”. Va detto, inoltre, che la scarsità d’acqua, oltre che dalla siccità, dipende anche dall’uso dissennato che se ne fa nell’agricoltura intensiva e nelle attività estrattive che, prosegue mons. Nácher, distruggono tutto!”.
Poiché, come scrive Papa Francesco, “tutto è connesso”, appare chiaro che i costi umani, sociali ed economici della siccità sono altissimi: “La povertà è in aumento, e questa siccità rischia di essere un’ulteriore causa per la massiccia emigrazione che investe il nostro Paese. Va detto, inoltre, che la mancanza d’acqua ha un impatto pesante sulle industrie, sull’energia, con frequenti blackout. Ma le più danneggiate sono le famiglie agricole, i piccoli coltivatori”.
Le piaghe della deforestazione, delle monoculture e delle miniere. Cause globali, dunque, e cause locali. Il cambiamento climatico, i cui effetti sono sempre più visibili, ma anche scelte dissennate, che mettono il profitto davanti al rispetto dei diritti delle persone e alla tutela delle risorse naturali. Lo dice con chiarezza Pedro Landa, che in Honduras è un conosciuto leader ambientale e fa parte del coordinamento della rete continentale “Iglesias y minería”: “Ci sono due fenomeni, tra loro connessi. Da un lato, una vasta parte dell’Honduras fa parte del cosiddetto ‘corridoio secco’. C’è una parte nord-orientale, verso l’Atlantico, maggiormente piovosa, mentre il sud-ovest è ormai quasi desertico. Qui, però, c’entra anche il secondo aspetto, quello dei comportamenti umani. Anzitutto, la fortissima deforestazione; poi, le coltivazioni intensive, le monocolture che producono frutti da esportazione; ancora, le tantissime miniere”. Tutte questioni che con la siccità c’entrano, e non poco, come denuncia il leader ambientale: “L’Honduras era coperto da foreste per il 75%. La deforestazione avanza, si parla di mezzo milione di ettari ogni anno, e toglie umidità al terreno. L’acqua, quando cade, non viene trattenuta. Ci sono, poi, delle monocolture che stanno invadendo il territorio. È il caso, per esempio, delle palme piantate per produrre l’olio. Si tratta di alberi che hanno bisogno di una grandissima quantità d’acqua, ogni pianta necessita di 25 litri al giorno. In pratica, solo le coltivazioni di palma hanno bisogno di una quantità d’acqua corrispondente al fabbisogno di 19 milioni di persone. In Honduras gli abitanti sono 9 milioni”. Eppure, molti di loro soffrono la siccità, il 33% della popolazione vive in situazione di insufficienza alimentare. “E la situazione, per la concomitanza della corrente del Niño, sembra solo destinata a peggiorare”.
Ma non è tutto. L’altro flagello è quello delle miniere. Anch’esse, pensiamo agli impianti estrattivi di oro e argento, hanno bisogno di enormi quantitativi d’acqua: “Il quantitativo necessario per il funzionamento di un’ora è corrispondente al fabbisogno di vent’anni per una famiglia media. L’acqua che esce dalle miniere, inoltre, è fortemente inquinata”.
(*) giornalista de “La vita del popolo”
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