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AttualitàCronaca

Recensione “ Brazil agli occhi di Dio”

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Incontro l’attrice Elena Starace all’interno del centro di formazione “ Terre Blu” gestito dall’architetto, nonché designer, Giuseppe Coppola.
L’occasione è la presentazione del libro “Brazil, agli occhi di Dio” scritto da lei e dall’avvocato penalista Angelo Trombetti ed edito dalla casa editrice Augh.
Nel corso della presentazione del libro sia Elena che Angelo – rispondono alle domande che vengono loro poste in modo assolutamente sincero e diretto.
Senza tanti fronzoli.
Il confronto con la platea risulta, in questo modo, mai noioso né’ tantomeno scontato, motivo per cui alla fine dell’incontro avvicino Elena tra un firmacopie e l’altro.
Scopro, in questo modo, una giovane donna estremamente gentile e a tratti un po’ timida.
Timidezza che tenta di celare sfoggiando luminosissimi sorrisi, la stessa timidezza che il suo co-autore Angelo, esorcizza tra una battuta e l’altra.
“Brazil” l’ho letto qualche mese fa,così le dico da subito che di questo libro mi sono rimaste addosso soprattutto le sensazioni.
Tutt’altro che scontate.
Quando si parla del Brasile si tende a pensare – generalmente – ai colori giallo e verde, alle terre e alle coste sterminate rese famose da milioni di cartoline, alle ragazze prorompenti strizzate in bikini inesistenti, al sesso sfacciato, esposto, ai balli ritmati e scatenati del loro carnevale.
Sibilla, la protagonista del libro, del paese più grande del Sudamerica conosce solo i colori grigi del carcere di Sao Paolo,l’odore acre dei posti in cui alloggia e percorre nel tentativo di salvare la vita del fratello Alfonso.
Altro protagonista del libro, non meno importante.
Anzi, pilastro centrale, attorno al quale ruota l’intera vicenda ma anche l’intera emotività di Sibilla.
Alfonso è rinchiuso nel carcere di Sao Paolo, a 300 km dalla megalopoli e per chi non fosse avvezzo ai dati statistici gli basti sapere che, l’organizzazione non governativa Human Rights Watch, ha incluso il carcere di Sao Paolo tra i più pericolosi al mondo, anche a causa del suo sovraffollamento.
Si stima la presenza di dodicimila detenuti all’interno di un carcere in grado di contenerne a malapena 3500, li chiamano – per questo motivo – “marcegos”, pipistrelli, perché dormono appesi alle sbarre.
Senza riposo e senza diritti.

Così come non ne ha Alfonso e come non ne hanno tanti altri che Sibilla cerca di salvare.
Nel corso della chiacchierata con Elena ed Angelo pensavo a quanto la scrittura del libro ne rispecchi perfettamente la personalità : concisa , profonda mai banale nel tratteggiare i vari personaggi che si susseguono e nel tentare di descrivere con delicatezza i sentimenti e le difficoltà emotive che li attraversano.
Il libro da loro scritto è una sorta di passo a due: due sono i protagonisti, Sibilla e Alfonso.
Due le sensazioni principali che si avvertono scorrendo le pagine: disperazione e speranza.
Due sono gli autori, Angelo ed Elena, decisi ad accompagnare il lettore nell’inferno personale di Sibilla e a rovesciare il classico stereotipo della cultura e bellezza sudamericana.
E che paese sarebbe quindi il Brasile senza il suo Carnevale?
Probabilmente un paese finalmente reale, non solo agli occhi di Dio.

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