Fotografia: la mostra “Racconti da Sarajevo – il passato è presente”, perché la storia possa servire a non ripetere gli stessi errori
“A scuola non mi hanno mai fatto studiare la Prima e la Seconda guerra mondiale, così come non sono mai state affrontate nel programma questioni relative ai conflitti moderni, come ad esempio il Vietnam. I miei nonni erano troppo scossi per raccontare la loro esperienza e comunque ho imparato, incontrando diversi reduci, che ognuno ha i suoi tempi e non si può forzare una persona che vorrebbe solo dimenticare. Avrei voluto però che qualcuno mi avesse fatto conoscere prima queste pagine di storia, dandomi la possibilità di affrontare le vicende del presente con una coscienza più matura”. Questo il senso della mostra fotografica “Racconti da Sarajevo – il passato è presente”, nelle parole all’inaugurazione del 9 giugno scorso a Giulianova dell’autore Marco Calvarese, giornalista del Sir, nel suo parallelo tra passato e presente dell’assedio durato dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996.
Un racconto del territorio e delle persone attraverso la sua esperienza del passato, vissuta come militare italiano impiegato nella missione Ifor, e del presente, come giornalista tornato nella capitale della Bosnia ed Erzegovina per raccontare come è cambiata quella città a 30 anni dall’assedio più lungo della storia bellica della fine del ventesimo secolo. Le letture dei brani di “Maschere per un massacro” di Paolo Rumiz, “Diario di Zlata” di Zlata Filipovic, “Venuto al mondo” di Margaret Mazzantini e “Non chiedere perché” di Franco Di Mare, sono state il filo rosso della serata di presentazione della mostra organizzata dall’associazione Arts Academy Giulianova nella biblioteca centro servizi culturali della Regione Abruzzo, e visibile per tutto il mese di giugno 2023. Tra le immagini visibili nella mostra ci sono il palazzo del Parlamento bosniaco distrutto, il ponte Vrbanja, sul quale sono morte uccise da cecchini serbi la bosgnacca Suada Dilberovic e la croata Olga Sucic che segnarono l’inizio all’assedio, ma anche i 25enni Romeo e Giulietta di Sarajevo, la musulmana Admira Ismić ed il serbo ortodosso Boško Brkić, si vedono i muri delle case ed i cartelli stradali crivellati dai proiettili o dalle schegge dei colpi di mortaio e la vita quotidiana dei militari impegnati in missione. Tutto questo, assieme alle tante testimonianze e storie raccolte dal Sir sulle vicende della Bosnia ed Erzegovina in generale e di Sarajevo in particolare, sono state l’argomento di una serata per ricordare quella gente che corre per strada cercando di ripararsi dagli spari dei cecchini, le stragi, i ponti distrutti, la pulizia etnica, immagini che raccontano il passato ma parlano del presente, soprattutto pensando alla contemporaneità di quanto si ripetevano le persone a quei tempi mentre il rumore delle bombe si sentiva in lontananza, “a noi non può capitare”. “Pensavo di poter sistemare la carta copiativa tra queste due pagine di storia dell’Europa per trovare le differenze, invece quel carbone mi ha segnato nell’animo le sofferenze che ancora oggi si vivono, facendomi comprendere come sia difficile togliersi di dosso la puzza della guerra”, le parole di Calvarese raccontando la paura vista negli occhi delle persone che vivono a Sarajevo e che, mentre assistono a quanto sta capitando in Ucraina, rivivono i momenti del conflitto e si domandano se questo non possa accadere nuovamente.
Tra le testimonianze riportate nelle fotografie e nell’intervento, viene raccontato anche come la Caritas ha svolto il suo servizio di vicinanza alla gente, sia durante la guerra che oggi nell’affrontare il fenomeno migratorio per il quale si è reso necessario realizzare centri di accoglienza come quello di Ušivak. Il Paese infatti è l’ultimo blocco della rotta migratoria dei Balcani occidentali, ritenuta meno pericolosa da chi la preferisce ad un viaggio in barcone sul mar Mediterraneo, dal quale le persone provano a superare i confini di Grecia, Macedonia, Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro, Slovenia, Ungheria, Turchia, per poter entrare in Europa, attraverso quello che definiscono “the game” che può durare anche più di un anno e che, piuttosto che un gioco, rappresenta la disperazione di chi vorrebbe un’altra possibilità per la propria vita. “Una guerra ha sempre bisogno di un nemico ma, quando non se ne può cercare uno armato e pronto a combattere, spesso si organizzano combattimenti sui principi”, ha concluso Marco Calvarese sottolineando l’importanza della conoscenza, per costruire un dialogo su ogni argomento, evitando contrapposizioni sterili e di ripetere errori già conosciuti dalla storia.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)