Ci vuole il salario minimo per un futuro più giusto. Lo hanno capito tutti all’infuori di alcuni mariuoli della destra: lavorare tutti lavorare meno!
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Ci vuole il salario minimo per un futuro più giusto
1 GIUGNO 2023
Le considerazioni del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, nell’ultima relazione annuale del suo secondo mandato, offrono spunti interessanti su diversi temi: globalizzazione, nuova governance Ue, inflazione, Pnrr e mercato del lavoro. Su quest’ultimo tema vorrei soffermarmi, riprendendo alcune questioni di cui ho spesso parlato negli ultimi anni e che oggi emergono anche dalle considerazioni di Bankitalia come necessità o soluzioni per l’economia: salario minimo, lotta alla precarietà, ruolo dei migranti, contrasto alla povertà e alla disuguaglianza, occupazione femminile e giovanile.
Il salario minimo legale, che esiste in 21 Paesi Ue su 27, alla luce di contratti collettivi non rinnovati anche da 7 anni, inflazione, forme contrattuali atipiche e “pirata”, emerge come la principale delle priorità. Su questo oggi pochissimi esperti economisti hanno dubbi, mentre gli oppositori si trovano in una parte del mondo politico (oggi al governo), sindacale e datoriale. Come abbiamo sempre evidenziato negli ultimi Rapporti annuali Inps, circa il 30% dei lavoratori guadagna meno del 60% del reddito mediano, ovvero meno di 1.000 euro lordi al mese. La mancata indicizzazione dei salari all’inflazione ha eroso ulteriormente il potere d’acquisto dei lavoratori, ha fatto perdere ai salari oltre il 10% nel 2022 e un ulteriore 7,6% quest’anno. Un salario minimo legale di almeno 9 euro l’ora porterebbe, secondo i dati Inps, benefici a circa 4,5 milioni di lavoratori che vedrebbero crescere i loro salari, la maggior parte donne e giovani. Inoltre l’indicizzazione del salario minimo all’inflazione spingerebbe il rinnovo di contratti collettivi scaduti da anni, con un beneficio anche per chi sta sopra la soglia minima. Queste regole esistono nella maggior parte dei Paesi dell’Ue e risponderebbero, riprendendo una frase del Governatore, a esigenze non trascurabili di giustizia sociale. Non solo. Un salario minimo darebbe una spinta ai consumi e alla domanda aggregata e favorirebbe un’allocazione più efficiente del capitale e degli investimenti, che in questi anni hanno goduto di una leva facile, spesso sostitutiva dell’innovazione, attraverso salari bassi e flessibilità spuria (precarietà), per rimanere più o meno competitivi sul mercato con strategie di investimento molto orientate allo sfruttamento del lavoro e in segmenti produttivi scarsamente avanzati, piuttosto che ad alta intensità di capitale e di innovazione, che avrebbero generato maggiori guadagni di produttività. Anche nella relazione di Bankitalia si legge che queste strategie hanno contribuito alla stagnazione della produttività almeno dal 2007.
A queste considerazioni si aggiungono quelle sulla demografia, con l’ovvia conclusione, anch’essa più volte sottolineata nei rapporti Inps, della necessità di incrementare i flussi migratori regolari nel nostro Paese. Per via del calo demografico, le persone in età da lavoro (15-64 anni) negli ultimi 3 anni sono diminuite di 800 mila unità. Paradossalmente, ciò ha comportato un aumento solo statistico del tasso di occupazione (dato dal rapporto tra gli occupati e le persone in età da lavoro in calo), con un aumento solo ottico dal 59% al 60,5% e sbandierato con toni trionfalistici da una parte della politica. Il calo demografico peggiora anche i dati, già pessimi, su istruzione e capitale umano: nel 2022 sono nate 392mila persone, poco più della metà di 20 anni fa; con i tassi di scolarizzazione attuali, tra circa 20 anni avremo 250mila diplomati e 70mila laureati e solo 150mila nuovi lavoratori: la metà di 20 anni fa. E molti andranno all’estero attratti da migliori salari e condizioni di lavoro, come già negli ultimi anni. Senza flussi migratori adeguati, l’offerta di lavoro complessiva si ridurrebbe perché, come afferma anche il Governatore, il recupero di natalità auspicato, e quindi solo eventuale, rafforzerebbe l’offerta di lavoro solo nel lunghissimo periodo.
È vero che gli immigrati si concentrano soprattutto in settori con bassi salari, ma questo non dovrebbe essere un alibi tanto più con l’introduzione del salario minimo legale, che eliminerebbe la competizione tra lavoratori italiani e stranieri, spesso usata a pretesto da una parte della politica per sostenere la pericolosità dei flussi migratori. In Italia gli immigranti contribuiscono al sistema previdenziale per 11 miliardi annui e usufruiscono di 3,3 mld di prestazioni sociali e 1,2 mld di pensioni, lasciando quindi un attivo di 6,5 mld, che rimane in gran parte nelle casse italiane poiché la maggior parte dei lavoratori extracomunitari provengono da paesi che non hanno accordi bilaterali con noi; laddove, come spesso accade, quei lavoratori non raggiungano i minimali contributivi richiesti, non ottengono la pensione.
Infine, è doveroso un riferimento al Reddito di cittadinanza, che più in questi anni ha contrastato la povertà, che il Governatore riconosce essere diminuita nel mondo grazie anche alla globalizzazione, ma è aumentata nei Paesi in via di sviluppo con la disuguaglianza e i rischi occupazionali a causa anche della globalizzazione. Il Rdc, ormai abolito, aveva la capacità di trasferire 8 miliardi di euro annui dalla fiscalità generale ai due decimi più poveri della distribuzione del reddito: il trasferimento più importante per i poveri e di maggiore contrasto alla disuguaglianza per quel ceto più basso. Così come il decreto Dignità (dl 87/ 2018) che contrastava la precarietà, anche quello frutto di una stagione politica innovativa a favore dei working poor e dei lavoratori più vulnerabili, i precari. Gli stessi di cui oggi si parla nella relazione di Bankitalia e nelle parole conclusive del Governatore, che invoca un mondo più giusto e non più povero.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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