Esmeraldas e Guayaquil: lo snodo internazionale del commercio di droga passa da qui. E i cartelli si scontrano
Si scrive Ecuador, si legge Colombia, o ancora di più Messico. Quello che fino a pochi anni fa era un Paese certamente con molti problemi di carattere sociale ed economico, ma complessivamente “tranquillo”, almeno per gli standard sudamericani, si trasforma ogni giorno di più in un terreno di scontro tra cartelli del narcotraffico e gruppi criminali, sia internazionali che locali. Un fenomeno che riguarda, soprattutto, il litorale del Pacifico e le città portuali; nell’ordine, da nord, Esmeraldas, quasi ai confini con la Colombia, Manta, la metropoli Guayaquil. Il Paese è diventato snodo internazionale del commercio di droga, soprattutto della cocaina, prodotta nella vicina Colombia.
La feroce violenza dei cartelli. A impressionare sono la rapida crescita della violenza, letteralmente esplosa dopo la pandemia. E la ferocia delle azioni criminali, lungo le strade delle città, in luoghi pubblici, o nelle carceri, completamente fuori controllo. All’interno i detenuti dei gruppi tra loro avversari arrivano a uccidersi con le motoseghe, è capitato che una testa mozzata sia diventata un “pallone” per giocare a calcio. Dall’inizio dell’anno, solo a Guayaquil, sono stati commessi circa 800 omicidi. Si uccide senza guardare al contesto, spesso trovano la morte minori e giovani; a Quevedo, all’inizio di maggio, cinque giovani tra i 20 e i 28 anni sono stati trovati decapitati e smembrati in sacchi di juta. Situazione, se possibile, ancora peggiore nella provincia settentrionale di Esmeraldas, storicamente la più “abbandonata” dallo Stato Ha destato scalpore lo scorso 12 aprile il massacro avvenuto a Esmeraldas: un commando di trenta persone, in parte giunto da terra e in parte da mare, ha ucciso nove persone in una pescheria nella zona portuale. Un attacco “messicano”, per modalità e organizzazione.
“Qui in Esmeraldas – afferma una fonte del Sir che preferisce restare anonima – sono direttamente presenti e si affrontano i cartelli messicani di Sinaloa e Jalisco; contemporaneamente, sono presenti alcuni gruppi armati colombiani della dissidenza Farc, e poi esistono vari gruppi criminali locali. La violenza ha tre caratteristiche: è fuori controllo, nell’assenza dello Stato, è legata alle mafie internazionali e nazionali, si alimenta della corruzione. Dobbiamo dire che questa non è mai stata una zona tranquilla, la criminalità è sempre stata presente, ma il fenomeno si è acutizzato dopo la pandemia”.
Dall’Esmeraldas l’allarme del vescovo. La popolazione è terrorizzata e si sente abbandonata, come racconta al Sir il vescovo del vicariato apostolico di Esmeraldas, mons. Antonio Crameri, svizzero del Canton Ticino: “Qui a Esmeraldas, ci sono alcune spiagge. Fino a poco tempo fa, spesso i turisti scendevano dalla ‘sierra’, dalla zona di Quito, per venire al mare. Ora non arriva più nessuno. La città era piena di vita, adesso alla sera non c’è anima viva”. Il crimine, dopo la pandemia ha fatto un salto di qualità, “si sono rafforzati i cartelli locali, i principali sono i ‘Tiguerones’ e i ‘Choneros’, ma ce ne sono diversi altri, dediti soprattutto al narcotraffico, che passa soprattutto attraverso i porti.
Tutto questo avviene, perlopiù, nell’assenza dello Stato. Proprio in questi giorni il Governo del presidente Guillermo Lasso vive un momento di particolare debolezza, per la richiesta di impeachment contro il presidente lanciata dall’opposizione. Ma la situazione dell’abbandono dell’Esmeraldas è assai datata. Certo, da qualche tempo è in vigore lo stato d’emergenza, e la violenza si è un po’ abbassata. Ma il vescovo è convinto che la risposta dello Stato debba essere globale, e non riguardare solo l’aspetto dell’ordine pubblico: “Circa un mese fa ho incontrato il presidente. Qui servono investimenti per il lavoro, la salute, l’istruzione. La mia proposta è quella di dichiarare nella zona l’emergenza umanitaria”. Un provvedimento che permetterebbe investimenti complessivi. Ma urgente è un forte rinnovamento del tessuto sociale, permeato da una fortissima corruzione, come il vescovo ha denunciato più volte, in particolare tre negli ultimi mesi: all’inizio dell’anno, il Giovedì Santo e dopo il massacro al porto: “Ho sollevato il tema della pace, del bene comune. Ma serve volontà politica. A livello educativo, le scuole che dipendono dalla Chiesa sono le uniche che funzionano, la sanità è un disastro, il lavoro manca, e così come i servizi di base, a cominciare dall’acqua potabile. I giovani hanno due possibilità: o emigrare o entrare a far parte di qualche banda criminale. Spesso, tra i reclutati, ci sono minori d’età”.
Si torna a emigrare. Conferma, da Quito, Giuseppe Tonello, già direttore generale della più grande ong del Paese, il Fondo ecuadoriano “Popolorum Progressio”: “L’Ecuador sta tornando a essere un Paese di emigrazione, già adesso alla frontiera usa gli ecuadoriani sono la seconda nazionalità più presente, tra i migranti che cercano di passare il confine. Una situazione che ricorda la crisi del 1998. Questo Paese dovrebbe fare seriamente i conti con quanto ha rappresentato, con le cose belle e meno belle, la presidenza di Rafael Correa”. Quanto al narcotraffico, “le bande locali sono formate da mille e più persone, con una disciplina incredibile. Il modello è quello messicano, ma ci sono forti segnali di collaborazione con la n’drangheta calabrese e con la mafia albanese”. Dalle campagne dell’Esmeraldas arriva la voce di don Daniele Favarin, missionario fidei donum della diocesi di Padova, da quarant’anni in Esmeraldas, ora a Quininbé, nell’entroterra: “Qui – afferma – la grande criminalità per ora non arriva, ma molte persone sono preoccupate, perché hanno i propri figli che studiano nelle città, o parenti che lavorano a Esmeraldas o a Guayaquil”. A permanere è, invece, l’assenza dello Stato: “Preoccupa la situazione della sanità e delle scuole. Molti ragazzi per andare in classe fanno anche un’ora di canoa, oppure, sono costretti a guadare fiumi pericolosi. Manca il lavoro, stiamo tornando indietro”.
Di fronte a una situazione così drammatica e inedita in queste dimensioni per il Paese giunge l’accorato appello della Conferenza episcopale dell’Ecuador, che ha deciso di dedicare il mese di maggio a una speciale preghiera per la sicurezza nel Paese, iniziative che culmineranno nella veglia di Pentecoste del 27 maggio, che “avrà come tema centrale quello di chiedere il dono della pace” per l’Ecuador. Scrivono i vescovi, nel comunicato diffuso domenica 30 aprile: “La situazione di violenza e insicurezza che stiamo vivendo in Ecuador esige da ciascuno di noi atti concreti, che contribuiscano alla pace e alla riconciliazione”.
*giornalista de “La vita del popolo”
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)