Adelante Giorgia* di Vincenzo D’Anna*
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Adelante Giorgia*
di Vincenzo D’Anna*
Coloro che ebbero la fortuna di frequentare la scuola italiana prima che i moti studenteschi del 1968 la trasformassero in qualcosa d’altro (pedagogismo d’accatto, riformismo permissivo, abolizione dei saperi e dei criteri di valutazione secondo capacità e merito, ecc.), ricorderanno certamente l’episodio descritto da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi” sui moti di Milano. Si era nella metà del XVII secolo. Nella città lombarda governata dal gran cancelliere spagnolo Antonio Ferrer, scoppiò una rivolta provocata dall’aumento del prezzo del pane. Avvocato e diplomatico di razza, Ferrer riuscì a fronteggiare il tumulto traendo in salvo il contestassimo suo vicario, ritenuto responsabile dell’accaduto e a forte rischio di linciaggio. Dopo aver fatto salire il malcapitato a bordo della sua carrozza, Ferrer si mise a rabbonire la massa promettendo l’arresto proprio di quel vicario e poi garantendo il suo intervento per calmierare il costo della farina. Un abile trucco dialettico, quello del governatore, tipico di chi chi è avvezzo alla diplomazia e più in generale dei politici navigati innanzi alle sommosse. Per farsi strada l’astuto governatore, rivolgendosi al cocchiere affinché si allontanasse da quel luogo, lo invitò a procedere: “adelante Pedro cum judicio”. Un invito, insomma, a conciliare l’esigenza di liberarsi dalla folla inferocita e nel contempo mostrare una certa cautela e sicurezza nel disimpegnarsi. Così pare sia accaduto nella ricorrenza del Primo Maggio al governo Meloni in materia di riforma del lavoro e assistenza ai lavoratori disoccupati. Il Consiglio dei Ministri, riunitosi proprio quel giorno, ha varato un disegno di legge con il quale ha azzerato la triste vicenda del reddito di cittadinanza stabilendo, con giudiziosa prudenza, di sostituirlo con un sussidio di “inclusione al lavoro”. Non si tratta di semantica politica fine a se stessa, di un espediente terminologico per sostituire la classica zuppa col pan bagnato. Contrariamente al solito l’esecutivo si è mosso lungo un criterio di stampo metodologico di primaria importanza: quello di distinguere, finalmente, chi non può lavorare da chi non vuole lavorare. Per intenderci coloro che il lavoro neanche lo cercano. Non è roba da poco in una nazione in cui l’assistenzialismo clientelare rappresenta il più forte incentivo elettorale per una larga fascia di soggetti beneficiata dai provvedimenti governativi. Un atto di coraggio quello compiuto dall’esecutivo di centrodestra, che tende a separare gli svantaggiati e gli impossibilitati – leggasi licenziati – dai parassiti sociali ossia da tutti coloro che essendo assegnatari di un reddito neanche si attivano per cercare un’occupazione, se non chiedere di lavorare “in nero”. Non sono mancate le proteste dei buonisti e soprattutto degli altruisti, ovvero di coloro che si dicono tali perché operano utilizzando il denaro degli altri, ossia del contribuente. Un provvedimento, quello adottato da palazzo Chigi, che somiglia tanto alla riforma delle scuola varata dal governo Renzi, quella che che si sforzava di reintrodurre il merito come criterio di valutazione tra i banchi e di elevare le cattedre dando ai docenti un maggior decoro professionale ed ai presidi un minimo di autonomia decisionale. Quella riforma aveva anche stabilito il criterio che gli insegnanti andassero dove c’era cadenza reintroducendo, inoltre, la didattica al posto della socio pedagogia dell’accoglienza massificante e livellata verso il basso rendimento oltre a una serie di test per i docenti come per i discenti. Tuttavia la potente e plurima consorteria dei sindacati vanificò in appresso il tutto fino ad inventare una sorta di doppio binario per elevare a prof finanche i bocciati al concorsone, per anzianità di punteggio. Tornando alla Meloni, si spera che questa innovazione nel mondo del lavoro non sia preda anch’essa della diffusa demagogia, degli interessi sindacali, dei calcoli politici ed elettorali. Insomma: delle molteplici convenienze che sempre sottendono gli umori di un’opinione pubblica prona al proprio tornaconto particolare. Viviamo, infatti, in una società ove per decenni senza soluzione di continuità si sono rivendicati solo diritti: al salario garantito, al lavoro sotto casa, all’assistenza perpetua. Un bailamme egoistico che ha costruito generazioni di bamboccioni e di inetti che attendono sempre che altri risolvano i loro problemi, accomunati con padri e madri tremebondi e solidali verso le scelleratezze dei propri pargoli. Sarà dura per Giorgia superare le sabbie mobili del “così fan tutti” e quindi si va avanti a governare come sempre. La rivoluzione delle coscienze di cui necessità il popolo italiano, è di ardua realizzazione. Basti vedere quanto affrante siano le sinistre e quel Giuseppe Conte che grida e sbraita dalla plancia di comando del M5S, inconsolabile per la perdita di quello strumento clientelare – il reddito di cittadinanza – grazie al quale il Movimento ha potuto mietere larghi consensi. Il liberalismo non è nelle corde degli italiani né lo è la declinazione della scala dei doveri civici. Ma, stavolta, un passo avanti è stato ben fatto. Adelante Giorgia. Cum judicio.
*già parlamentare
FONTE:
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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