Alba Lazzaretto (storica): Tina Anselmi, un’idea di giustizia nata dalla Resistenza
Tina Anselmi. Partigiana, sindacalista, deputata e prima donna ministro della Repubblica italiana. La storica Alba Lazzaretto su “La voce dei Berici” traccia i contorni di questa “gigante” della politica italiana, alla quale si devono molte leggi sulla parità nel lavoro tra uomini e donne, il varo del Servizio sanitario nazionale e l’inchiesta sulla loggia P2 che ha fatto luce sua una delle trame italiane più intricate e oscure.
Chi era la giovane Tina Anselmi?
Una ragazza di paese nel cuore del Veneto bianco. In città, a Castelfranco, vi era una presenza notevole di socialisti, ma fuori le mura, nelle campagne, erano in prevalenza cattolici. Lei cresce al confine tra questi due mondi, nell’osteria della nonna, l’unico luogo con una stufa sempre accesa in inverno che le permetteva di studiare al caldo. La nonna era una figura interessantissima: vedova da giovane, madre di tre figli, ha preferito emanciparsi dalla famiglia del marito e avviare un’attività tutta sua.
Cosa ha inciso nella sua formazione giovanile?
La forte religiosità della nonna, il catechismo, l’Azione cattolica. L’assistente don Luigi Piovesan le farà da guida spirituale durante la Resistenza. Ma anche alcuni esempi di menti libere: il padre socialista, che aveva la tessera firmata da Matteotti e periodicamente veniva maltrattato pubblicamente dai fascisti, e l’anarchico Pacifico Guidolin, fratello della sua maestra e fondatore di una scuola popolare.
Un evento cruciale per la sua vita è l’impiccagione dei martiri del Grappa, il 26 settembre 1944 a Bassano.
Vedere i morti impiccati e discuterne in classe – frequentava le magistrali dalle canossiane a Bassano – la convince a entrare nella Resistenza, sostenuta anche dall’ambiente cattolico di allora, vivace e popolare, non appiattito sul regime. Le due diocesi in cui vive, peraltro, erano le uniche in Veneto rette da due vescovi che non erano in buoni rapporti con il fascismo: Rodolfi a Vicenza e Longhin a Treviso. A parlarle della Democrazia Cristiana per la prima volta fu padre Mario Meneghini, un frate carmelitano cacciato da Venezia per le sue prediche antifasciste. I capi partigiani che frequenta vedevano nella Resistenza l’occasione di una nuova giustizia sociale. E la Dc era il partito che se la poneva come obiettivo senza rivoluzioni.
Come arriva alla politica
Dall’attività sindacale, soprattutto in favore delle donne e in particolare delle lavoratrici nelle filande, che immergevano le mani continuamente nell’acqua bollente. Viene eletta per la prima volta alla Camera nel 1968, si impegnò a fondo in molti progetti di legge: ne presentò come prima firmataria 54, ne firmò ben 475; non era una parlamentare che stava a scaldare la sedia.
Come si collocava tra le correnti Dc?
La chiamavano “la Tina vagante”, non era inquadrabile in nessuna corrente, anche se era molto amica di Moro e potremmo definirla “morotea”. Era aperta ad un alleanza con il Psi perché la Dc non fosse condannata a governare e per liberare i socialisti dall’egemonia del Pci. Moro venne ucciso per queste idee e, poco prima di venire rapito, le disse: “Non si sa in quale abisso stiamo cadendo”.
Con l’inchiesta sulla loggia P2 la Anselmi guardò a lungo in quell’abisso.
Dovette interrogare tutti i compagni di partito, scoprì che molti erano implicati nella P2 e ricattabili. La sua relazione al Parlamento venne pronunciata in un aula semi deserta. Anni dopo le chiesero che fine avevano fatto gli iscritti alla P2 e la sua risposta fu: “Se non sono morti sono ancora tutti lì”.
Come finì la sua carriera politica
Nel 1992 la Dc la candidò a Conegliano per mettere nel “suo” collegio di Castelfranco, blindatissimo per merito di Tina, Bernini, “il doge”, potentissimo presidente della Regione che aveva iniziato a ricevere i primi avvisi di garanzia. Tina non venne eletta e si ritirò dalla politica. Stava per esplodere l’inchiesta Mani pulite. E le mani di Tina, pulite lo furono sempre, come la sua coscienza.
(Precedentemente pubblicato su “La voce dei Berici”)
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