“Lo scrivente procuratore generale, in tutta coscienza, per amore di Verità e Giustizia per l’insopportabilità del pensiero che due persone, probabilmente vittime di errore giudiziario, stiano scontando l’ergastolo chiede che la Corte d’Appello di Brescia voglia ammettere il decreto di citazione a giudizio…”.Conclude così, il sostituto procuratore generale Cuno Tarfusser, la sua ormai nota richiesta di revisione della sentenza del caso Erba. Ha un dubbio lancinante (che pare più una certezza), ovvero quello che “il netturbino e l’analfabeta Olindo e Rosa” siano stati vittime di un gigantesco errore giudiziario in cui sarebbero caduti, negli anni, ben 26 giudici. Ed è interessante perché un abbaglio grosso, in passato, e sul quale non c’è sospetto ma certezza l’ha preso proprio lui. Correva l’anno 1996, si dava la caccia al famoso “mostro di Merano” e il pubblico ministero dell’epoca, a Bolzano, era proprio Cuno Tarfusser. Il quale in una conferenza annunciò che “il mostro di Merano era stato probabilmente individuato”. Fece arrestare tal Luca Nobile e se ne andò in vacanza nel Mar Rosso. Peccato che quel Luca Nobile era innocente. Piccolo inciso: contattato ieri dal Corriere della Sera, Tarfusser ha risposto che lui ha fatto quel che doveva in tutta coscienza e che ora era in vacanza. Insomma, di nuovo lancia il sasso e porta la mano in vacanza. Comunque, c’è un altro caso molto tormentato che lo ha visto protagonista e di cui per anni si sono occupati tutti i giornali, avanzando molte perplessità sulla vicenda. Una vicenda che oggi, alla luce della sua richiesta di revisione per la sentenza sulla strage di Erba, suona se non altro bizzarra. Il 16 aprile 2008 il giudice Tarfusser condannò in appello a 7 anni Don Giorgio Carli per aver abusato di una adolescente dal 1989 al 1994. Il sacerdote era stato assolto in primo grado “perché il fatto non sussiste” (alla fine fu prosciolto per la prescrizione). La vicenda fu più che controversa: la ragazza denunciò il sacerdote dopo 14 anni dai presunti fatti, fatti dimenticati e riemersi nella sua mente dopo 350 sedute di psicanalisi attraverso un metodo chiamato “distensione meditativa” che si potrebbe accostare all’ipnosi. L’innesco fu un sogno nel quale la ragazza veniva stuprata da marocchini in un bar di nome San Giorgio. Di lì, il sospetto che quel nome si riferisse invece a Don Giorgio. Sembra tutto surreale e forse oggi, alla luce delle vicende di Veleno e Bibbiano, la lettura dei fatti sarebbe diversa. Fatto sta che la ragazza, in tribunale, coinvolse altre persone, un amico dell’epoca che secondo i ricordi riemersi aveva partecipato agli stupri con Don Giorgio e una catechista. I due in tribunale la smentirono. Accusò poi lo stesso amico di averla violentata a scuola, ma non fu mai trovata alcuna prova. Tant’è, appunto, che i giudici di primo grado non le credettero. Tarfusser sì. E diede 7 anni al sacerdote, che si professò sempre innocente, con la comunità e i parrocchiani sempre dalla sua parte. Il dubbio che stesse condannando un innocente non gli venne mai, neppure quando alcune delle più note firme dell’epoca e fior di esperti scrissero che era “una cosa assurda, mai vista” e “con modalità uniche nella giurisprudenza italiana”. Insomma, lo stesso Tarfusser che ai tempi credette a un racconto estrapolato dopo 14 anni con 150 sedute di simil-ipnosi non suffragato da alcuna prova e con tanto di interpretazione di sogni – roba più vicina all’esoterismo che alla scienza – ora crede che le confessioni dettagliate e a caldo di Rosa e Olindo siano frutto di chissà quale scherzo della mente. Parla di “false confessioni”.
E, dalle sue vacanze in Olanda, ieri rispondeva così al Corriere: “Vorrei che di me non si parlasse, perché io non voglio niente. A me importa il merito, non il circo mediatico”. Chissà se così preoccupato all’idea che i due poveri Rosa e Olindo soffrano ingiustamente, si è mai chiesto quanto dolore provochi questo circo mediatico intorno alle famiglie Frigerio e Castagna. Lo chiedo a Pietro Castagna: “Il circo mediatico di questi ultimi anni tra Iene e altro, per il dolore patito, è paragonabile a quello che ho provato ai tempi della strage. Io e mio fratello avevamo ricostruito faticosamente le nostre vite e siamo ripiombati nell’incubo”. Domando a Pietro che effetto abbia avuto sulla sua vita. “Dopo la strage della mia famiglia avevo fatto un percorso psicologico, mi ero ripreso. Poi Le Iene hanno iniziato a insinuare in tv che avessi ammazzato mia sorella, mia madre, mio nipote. Sono stato additato come un mostro, la gente mi guardava, mi insultava, sono crollato. Hanno mandato in onda Rosa che dal carcere diceva “vieni qui Pietro e vediamo chi dei due è colpevole”. Sono dovuto andare in una casa di cura, ho iniziato con il Prozac, avevo crisi di pianto. Il pensiero del suicidio non era così lontano”. Pietro non è neppure convinto che gli innocentisti credano davvero all’innocenza di Rosa e Olindo. “Io credo che l’avvocato Schembri e gli altri siano abbastanza intelligenti da sapere perfettamente che Rosa e Olindo sono gli assassini”. E allora perché vanno avanti a difenderli? “Io nella vita realizzo mobili. Questa storia è il loro Salone del mobile. È il loro stand. Non credo che difendano i due, a loro spese, da 17 anni, per amore di verità. Sanno che sono colpevoli ma l’onda dell’innocentismo porta clienti, attenzione mediatica. E poi diciamolo, sei l’avvocato che va contro procure, inquirenti, carabinieri e tre gradi di giudizio. Ti senti invincibile e alla fine trovi anche clienti che si convincono che tu sia l’eroe coraggioso che combatte contro tutti per avere giustizia”.
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