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Emergenza siccità: agricoltura in crisi. Servono progetti per agire in fretta, ma anche soluzioni di lungo periodo

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Per l’Emilia Romagna l’estate che verrà si preannuncia peggiore di quella del 2022. Il 12 aprile, il Cer-Canale Emiliano Romagnolo ha segnalato livello di massima attenzione presso l’impianto idrovoro Palantone di Bondeno, in provincia di Ferrara, dove si è registrata la quota 3,14 metri sul livello del mare: si è entrati, di fatto, nello stadio di pre-allarme, che scatta quando la quota di prelievo è minore ai 3,25 metri. Valori che, lo scorso anno, erano stati raggiunti a giugno.
“L’Emilia Romagna è tra le regioni che, in questo momento, soffrono maggiormente la carenza idrica. In particolare, desta molta preoccupazione la situazione del Po, il “Grande Fiume” – spiega Stefano Francia, presidente di Cia-agricoltori italiani Emilia Romagna -. Il tema “approvvigionamento della risorsa irrigua” è talmente grave che molti agricoltori stanno valutando se convenga portare avanti alcune colture, come ad esempio quella del pomodoro, del mais o di altri cereali. Ridurre la produzione di mais in Emilia Romagna può mettere in crisi anche alcuni prodotti Dop o Igp, perché i regolamenti sono molto rigidi anche sulla provenienza dei mangimi per i bovini o suini”.
“Quella che stiamo vivendo non è più una situazione emergenziale ma strutturale – dichiara Francesco Vincenzi, di Coldiretti Modena e presidente di Anbi – Associazione nazionale delle bonifiche -. Il sistema emiliano romagnolo ha investito parecchio sull’infrastrutturazione per la distribuzione dell’acqua ma soffre un gap per invasi e laghetti capaci di trattenere l’acqua piovana”.
Se potessimo sorvolare l’Emilia Romagna, noteremmo una situazione a macchia di leopardo: ci sono aree dove il livello di emergenza è già alto. Altre meno.
“Se guardiamo le zone di Piacenza, Reggio Emilia e Parma le precipitazioni sono state scarse e le infrastrutture fatte negli anni si stanno rivelando insufficienti – spiega Andrea Betti, vicepresidente di Confagricoltura Emilia Romagna -. In alcune zone dell’Appennino romagnolo, dove quest’inverno è nevicato, il livello dei laghetti interaziendali è buono, mentre nella parte pianeggiante della Romagna la situazione è poco serena poiché l’irrigazione dei terreni agricoli, nelle province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini, dipende dal Po, attraverso il Canale Emiliano Romagnolo. Nell’area della costa di Ferrara e del ravennate nord, c’è anche il problema della risalita del cuneo salino che già sta mettendo in difficoltà l’irrigazione”.
A preoccupare è infatti anche la situazione delle falde acquifere, la riserva d’acqua sotterranea, che negli ultimi anni si sono molto abbassate. “Le falde superficiali sono in grave crisi, ma purtroppo registriamo forti criticità anche in quelle più profonde, e ciò può provocare la desertificazione dei suoli” spiega Vincenzi di Anbi.
“In Emilia Romagna il numero degli invasi è al di sotto della media nazionale – prosegue il presidente dell’Associazione delle bonifiche -. Le regioni del Mezzogiorno, dagli anni ’60 agli ’80 hanno fatto investimenti in infrastrutture, mentre il nostro territorio non ne sentiva la necessità. Nel Nord Italia invece, sono stati realizzati invasi per uso idroelettrico, che ora si rivelano utili anche per affrontare l’emergenza siccità”.
Se non piove e non nevica, l’acqua non c’è. Ma cosa si può o dovrebbe fare? Nelle politiche a breve va potenziata una distribuzione sempre più efficiente della risorsa irrigua, servono incentivi all’utilizzo di tecnologie per un impiego meno dispersivo, e va fatta una politica sugli invasi, laghetti sia di grandi e piccole dimensioni. Bisogna evitare sprechi e perdite e potenziare progetti di ricerca per il riuso di acque depurate.

Non c’è tempo da perdere. Francia sottolinea che è fondamentale mappare il territorio perché “serve una fotografia esatta, che faccia emergere le necessità delle produzioni agricole, ma anche artigiane, industriali e non ultimo per l’uso civile. Noi oggi tratteniamo circa l’11% dell’acqua. La Spagna il 30%”.
Vincenzi spiega che “solo in Emilia Romagna, i consorzi di bonifica hanno in atto investimenti per 700 milioni di euro in progetti per migliorare il sistema irriguo e la distribuzione, in programmi per il rifacimento degli alvei dei canali, e per impianti idrovori. Grazie a questi progetti potremo recuperare circa 40 milioni di metri cubi d’acqua. Abbiamo una progettazione avanzata, ma è necessario ridurre i tempi di realizzazione di queste opere. I consorzi di bonifica sanno dare risposte importanti, ma un’autorizzazione non può essere rallentata per anni a causa di qualche banalità”.
Betti di Confagricoltura Emilia Romagna ribadisce: “È fondamentale snellire le pratiche burocratiche. Per costruire i bacini di raccolta acqua servono almeno tre anni e non possiamo più permetterci di perdere tempo. I cambiamenti climatici avvengono molto velocemente e l’Emilia Romagna rischia di perdere la produzione delle sue eccellenza agroalimentari”.
Un’altra strategia indicata sia da Francia che Vincenzi e Betti è quella del riutilizzo delle acque reflue depurate, cioè l’acqua idropotabile che dopo essere stata utilizzata per uso civile, potrebbe essere depurata ed utilizzata per irrigare in agricoltura. Ma c’è un “ma”: “Di certo, non possiamo mettere a rischio i nostri prodotti, quindi le tecnologie devono essere affinate in modo eccellente per garantire salubrità e sicurezza alimentare”. Ad oggi si tratta di una strada ancora lunga.
L’emergenza è in atto e servono progetti per agire in fretta, ma anche soluzioni di lungo periodo. In tutto ciò si inserisce la decisione del Governo di intervenire sull’”Allarme siccità” con una Cabina di regia e un Commissario straordinario che dovrà cercare di contrastare l’emergenza.
“Mi auguro che il Commissario unico riesca a semplificare le norme e a districare la burocrazia. Dovrà mettere al tavolo tutti i diversi attori, Comuni, Province, Regioni – sottolinea Francia -. È fondamentale che venga fatta una ricognizione delle infrastrutture già presenti sul territorio, non terminate per via di cavilli burocratici, ma che potrebbero essere completate in pochi anni. Per fare ciò è necessaria la conoscenza dei territori che oggi hanno le Regioni, i Consorzi di bonifica e gli agricoltori. È importante mettere a frutto questo patrimonio, altrimenti si rischia solo di perdere tempo prezioso”.
“Il decreto non fa piovere – commenta Vincenzi -. Per mettere in “sicurezza” il Paese serve un piano di investimenti che guardi ai prossimi 10 anni. Il Commissario avrà il compito difficile di ridurre i conflitti tra i territori e per i diversi usi della risorsa idrica. La risorsa dev’essere gestita senza lasciare indietro nessuno”.
Anche Betti sottolinea l’importanza di una visione complessiva. È fondamentale che il governo investa i fondi del Pnrr per costruire opere per la conservazione della risorsa idrica perché, ricordiamoci bene che il problema non riguarda solo l’agricoltura o l’uso civile o quello industriale” e conclude facendo un esempio: nelle zone dell’Appennino l’acqua degli invasi è fondamentale anche per spegnere gli incendi.

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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