Aspettando che torni la colomba
La Pasqua, nelle stucchevoli cartoline d’un tempo, veniva rappresentata come una colomba con il ramoscello d’olivo tra il becco. Immagine proveniente dalla Ge- nesi: Noè alla fine del diluvio la mandò fuori dall’arca per capire se le acque si fossero riti- rate, se il pericolo fosse davvero passato. Lo fece due volte: la prima non andò a buon fine ma la seconda sì. Come vorremmo che così fosse anche per la guerra in corso e che, no- nostante i tentavi finora falliti, una trattativa seria e convinta della necessità urgente della fine del conflitto potesse nuovamente far vo- lare la colomba della pace sulla nostra Euro- pa e non solo.
Sono questi i giorni in cui si ricorda anche il sessantesimo anniversario della Pacem in ter- ris, scritta dal papa santo Giovanni XXIII. Un’enciclica che celebrò quello che, prima del 24 febbraio 2022, era stato il momento più cri- tico del secondo dopoguerra, quando per la crisi di Cuba la minaccia nucleare si era fatta tanto reale da indurre il papa ad un estremo appello, allora fortunatamente accolto da Kennedy e da Kruscev. Le navi cariche di mis- sili nucleari rientrarono e, salvati da una fine più che annunciata, gli uomini si sentirono spronati a quell’impegno permanente alla pa- ce e alla fratellanza che l’enciclica suggeriva. Un testo così potente da essere definito da Giorgio La Pira il “manifesto del mondo nuo- vo”; un testo a cui lavorò anche il trevigiano mons. Pietro Pavan, rettore della Pontificia Università Lateranense, che il papa volle co- me consulente.
La Pacem in terris sostiene la necessità e l’ur- genza di un cambio di passo, invita all’ab- bandono del modello di pace armata che na- sce dall’equilibrio tra potenze in continua rin- corsa agli armamenti, anche nucleari, ed espone gli uomini “all’incubo di un uragano che potrebbe scatenarsi ad ogni istante con una travolgenza inimmaginabile” (59). Il pa- pa constatava che “giustizia, saggezza ed umanità domandano” che si ponga fine alla folle corsa e che si riducano “simultanea- mente e reciprocamente gli armamenti già esistenti” (auspicio concretizzato nel trattato di non proliferazione nucleare che Usa, Re- gno Unito e Unione Sovietica sottoscrissero il 1° luglio 1968 ma che la guerra in corso sem- bra aver reso vano col succedersi delle mi- nacce russe).
Papa Giovanni definiva la pace: “Un obiettivo reclamato dalla ragione… un obiettivo desi- deratissimo… un obiettivo della più alta uti- lità… l’anelito più profondo dell’intera fami- glia umana” (62). Come dargli torto?
Certo il disegno da lui indicato necessita di uomini capaci di portarlo nel mondo, di dar- gli modi, metodi, parole e fatti, capaci di so- stenerlo con una volontà instancabile che agli occhi dei più rischia d’apparire illusione e bo- nomìa. Ma non è raro che così si giudichino i profeti. Tanto è vero che anche papa France- sco, instancabile difensore della pace ad ogni angelus domenicale – Pasqua compresa -, nel Messaggio per la prossima Giornata delle co- municazioni sociali (domenica 21 maggio) ha voluto ribadire la necessità di simili uomini: “Abbiamo bisogno – scrive – di comunicatori disponibili a dialogare, coinvolti nel favorire un disarmo integrale e impegnati a smontare la psicosi bellica che si annida nei nostri cuo- ri”. A quasi quattordici mesi di diluvio di armi e di morti, auguriamoci di vedere tornare a noi la colomba con il ramo d’olivo nel becco
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)