Cannoni e merci contro la Pace nel Mondo: troppi gli interessi in gioco per i ‘poteri forti’
Non c’è che dire. Pare proprio che questo sia l’anno della belligeranza e degli azzardi per la politica internazionale.
Il tempo in cui, alla stregua di un sisma, vanno sistemandosi le falde tettoniche che regolano le distanze tra i continenti e, di converso, i movimenti tellurici che tante morti hanno provocato in Medio Oriente.
La ridefinizione degli assetti del potere globale è alla base di questa attività per stabilire chi sia realmente, oggi, il “guardiano del mondo”.
Come in ogni epoca, la potenza militare è il supporto indispensabile per affermare la supremazia politica ed economica che, fino al secolo scorso, era un affare tra Usa e Urss.
La disgregazione dell’impero sovietico e la fine (dichiarata) del comunismo come sistema alternativo al capitalismo, hanno poi lasciato agli americani il primato indiscusso negli ultimi lustri del ‘900 fino a quando altre potenze hanno preteso di iscriversi alla “corsa”.
In particolare modo la Cina di Xi Ping e l’India, due colossi per popolazione ed estensione territoriale.
Pechino da una parte e Nuova Deli dall’altra, negli ultimi decenni, hanno infatti enormemente sviluppato la propria capacità economica e commerciale e con esse l’interesse stesso ad essere presenti ovunque nel globo terraqueo a tutela dei propri prodotti.
Benjamin Constant, filosofo economista svizzero, postulò la teoria cosiddetta dell’utilitarismo, ossia che occorresse creare un sistema nel quale potesse dispiegarsi la forza dei commerci tra gli stati e, nell’ambito di questi ultimi, raggiungere così il massimo benessere per tutti i cittadini. Era assolutamente necessario quindi che le merci transitassero liberamente alle frontiere e questo doveva presupporre che tra i vari paesi frontalieri intercorressero rapporti pacifici e di stretta collaborazione.
In sintesi: fino a quando le merci circolavano senza restrizioni e ostacoli, veniva necessariamente mantenuta la pace basata sulla reciproca e diffusa utilità.
Un concetto, questo, che è stato ripreso alla fine del XX secolo in grande stile con il modello della globalizzazione economica e della produzione decentrata di beni e servizi sulla base dell’utilità e dei bassi costi di produzione.
Quindi, in buona sostanza, di una politica che portava lavoro laddove prima si prelevavano e sfruttavano solo materie prime. Un meccanismo che, alla fine, ha portato crescita economica, benessere e progresso in favore delle economie più deboli ed arretrate, ancorché nessuno dica a sufficienza che la globalizzazione abbia diminuito la fame del mondo.
Come predetto da Constant, questa grande e diffusa espansione della produzione su scala mondiale è avvenuta in un clima di pace politica e di collaborazione tra i popoli.
Volendo riepilogare il pensiero del filosofo elvetico: affinché si conservi il massimo benessere per i cittadini, deve trovare applicazione il concetto della concordia politica tra gli stati, della competizione imprenditoriale mediante il libero mercato di concorrenza che non può essere affatto considerato il luogo della prevaricazione e della legge del più forte.
Non a caso tutto gli organismi di controllo delle regole del mercato sono istituzioni libere ed indipendenti che si tutelano facendo osservare norme e regolamenti fatti dagli apparati pubblici, quelli che presiedono al pacifico scambio ed alla produzione di ricchezza.
Insomma: la vecchia e mendace teoria che il libero mercato sia una giungla ove i lupi divorano le pecore è una mera invenzione dei detrattori del capitalismo.
Quest’ultimo, senza regole e senza leggi varate dagli stati (e vigilate dal potere giudiziario), non può vivere né prosperare. Solo sotto l’imperio delle norme che tutelano correttezza e reciprocità degli scambi e della produzione di beni, si realizza la massima utilità anche per la popolazione.
Queste condizioni prefigurano, a monte, la pace politica e sociale senza la quale nulla è possibile se non un mero accrescimento di potenza economico-autarchica e giammai di pregio internazionale.
Viste in questa chiave di lettura, le guerre in corso (Ucraina) e quelle che minacciose si affacciano all’orizzonte (Cina e Taiwan, con quest’ultima sotto il protettorato degli States), appaiono solo un atto di autolesionismo che ha poco di machiavellico e molto di inutile superbia.
Se i capi di quelle nazioni affrontassero la questione sotto il profilo squisitamente economico della convenienza utilitaristica e non delle evanescenti rivendicazioni di potere e di supremazia territoriale, le cose avrebbero senz’altro sbocchi pacifici.
Se la pretesa di supremazia nel mondo ha radici concrete a protezione dei rispettivi interessi, Cina e Stati Uniti, e con loro Unione Europea e India, avrebbero il dovere e l’interesse a sedersi intorno ad un tavolo per sedare il conflitto scaturito dall’impotenza e dalla smania di Mosca e della grandeur neo zarista del satrapo che regna al Cremlino.
La lezione è semplice: laddove passano le merci non passano i cannoni!! Bisognerebbe ricordarlo a molti politici ed anche al Papa pauperista che di quella economia di mercato è un fervido contestatore.
Le prediche e le invocazioni pacifiche rivolte alle pance vuote non sortiscono alcun effetto. Pace significa prosperità.