Domenica della Palme a Mykolaiv: nella speranza di vedere germogliare il seme della pace
(da Mykolaiv) “Il ramoscello di ulivo è un simbolo fragile ma anche nel seme non riusciamo a vedere la spiga di grano. Lo consegniamo oggi agli abitanti di Mykolaiv con la speranza che possa germogliare. Lo affidiamo anche nelle mani di Dio”. Domenica delle Palme, nella città di Mykolaiv, nel sud dell’Ucraina, a 40 chilometri di distanza dal fronte, dove ancora si combatte, si distrugge e si muore. Sono voluti venire qui in questa città i 150 volontari della carovana della pace #StopThe WarNow. Hanno scelto come data la Domenica delle Palme e come luogo la parrocchia cattolica di San Giuseppe. Hanno percorso 5mila chilometri, per portare non solo tonnellate di aiuti umanitari ma anche questo messaggio di pace e la preghiera perché “cessino il rumore dei carrarmati e delle bombe”. L’iniziativa ha ricevuto anche la benedizione di Papa Francesco: “Insieme con generi di prima necessità”, ha detto il vescovo di Roma, “portano la vicinanza del popolo italiano al martoriato popolo ucraino, e oggi offrono rami di ulivo, simbolo della pace di Cristo. Ci uniamo a questo gesto con la preghiera, che sarà più intensa nei giorni della Settimana Santa”. A celebrare la messa nella parrocchia di Mykolaiv ci sono don Renato Sacco, del movimento Pax Christi Italia, don Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi, e don Paolo Pasetto, responsabile della comunità Sulle Orme di Soave (Verona).
“L’ulivo è un simbolo per tutti i cristiani e celebrare qui la Domenica delle Palme, ci invita a non ridurlo ad un simbolo vuoto”, dice don Renato Sacco. “Siamo in una società dove i simboli sono importanti. Ne vediamo tanti ma sono tutti di guerra, ostentati con le armi. Il simbolo dell’ulivo invece ci dice che la pace è il dono più grande che viene da Dio e che noi siamo chiamati a lavorare, costruire ed essere, come dice Papa Francesco, artigiani della pace”.
Con la guerra non si scherza, qui la pagano sulla propria pelle. Mykolaiv era una città di 500mila persone. Oggi ne sono rimaste 300mila a cui si sono aggiunti da Kherson 20 mila persone in fuga dal fronte. “E’ una città che sta riprendendo fiato perché è stata bombardata per 7 mesi ma le ferite purtroppo si vedono ancora e pesano fortemente sulla vita di tutti i giorni”, ci racconta Alberto Capannini, di Operazione Colomba, che da dicembre vive qui. La gente, soprattutto gli anziani, si mette ancora in fila per ricevere gli aiuti. Non c’è tuttora accesso all’acqua potabile e la popolazione riesce a dissetarsi solo grazie ai dissalatori, che anche grazie alla Rete #StopTheWarNow sono stati costruiti in vari punti della città. L’impianto elettrico invece è stato invece ripristinato da un mese e mezzo ma le scuole non sono agibili e i bambini non possono seguire le lezioni in presenza. “E’ una città che guarda al futuro preparandosi ad un’altra invasione”.
Stanno preparando rifugi nei sotterranei dei palazzi, comprano generatori, se possono. Nessuno qui purtroppo pensa che la guerra sia finita. E si preparano al peggio, proteggendo con pannelli di plastica le finestre in modo da evitare che i vetri possano scoppiare durante i bombardamenti e ferire le persone. “Da una parte quindi riprende la vita ma dall’altro nessuno si immagina che sia finita”, prosegue Capannini. “Siamo in quella fase di stallo prima che uno faccia la mossa, per cui gli ucraini stanno cercando di sfondare da Kherson per riprendersi Mariupol. I russi stanno invece pensando di venire qui a Mykolaiv per riprendersi il mare attraverso Odessa”. In questa situazione la gente è stanca. L’attesa di un cambiamento è tiepida, c’è paura di illudersi. Sa cosa è successo dove i russi sono arrivati: hanno distrutto tutto. Hanno ammazzato e scavato fosse comuni. “Siamo noi ad avere un’immagine naïve della guerra. Loro no”.
“Mi fa piacere che questo collegamento avvenga in una chiesa perché sono convinto che questa guerra è così difficile da risolvere che solo un miracolo ci può aiutare”. In collegamento online da Kiev, interviene il nunzio apostolico in Ucraina, mons. Visvaldas Kulbokas, collegandosi online da Kiev alla chiesa cattolica di San Giuseppe. “Se siamo arrivati a questo punto significa che la situazione è molto seria. Vuol dire che non abbiamo reagito alla minaccia delle armi negli anni passati, significa che non abbiamo reagito agli autoritarismi, alla distruzione dell’azione delle Nazioni Unite e a tutti gli strumenti della legalità internazionale”. “Con la vostra presenza cercate di smuovere le coscienze”, ha aggiunto. “E questo è molto importante perché vediamo che quando viene raccontata altrove la guerra in Ucraina, viene descritta come un gioco di calcio”. “Il mio augurio è che la vostra presenza smuova le coscienze e diventi un grido rivolto al Signore che dice, Dio abbi pietà di noi”.
Da Kiev si collega anche l’ambasciatore italiano in Ucraina Francesco Zazo. “Il pericolo peggiore – dice – è l’indifferenza”. “Quando vado in Italia, percepisco questo pericolo ed invece è molto importante mantenere alta l’attenzione su questo conflitto che è sanguinoso e che purtroppo ormai dura da più di un anno”. Ma se le previsioni non sono rosee, l’aiuto umanitario messo in campo dall’Italia per il popolo ucraino è significativo. Tra cooperazione italiana, ong e associazioni, si stima che l’Italia ha fornito all’Ucraina aiuti umanitari quantificati per un totale di 40 milioni di euro. Ad accogliere i volontari c’è il parroco della Chiesa padre Alekander Repin. “Siamo grati – dice – che siete venuti numerosi e con tutti questi doni. Non dimenticatevi di noi. Vorrei ringraziare Papa Francesco che ci è sempre vicino, si preoccupa per il popolo ucraino. Portate a lui il nostro saluto e le nostre preghiere”.
Anche il card. Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, si collega con i volontari. “In quello che voi fate lì c’è tutta la Conferenza episcopale e non soltanto sono e siamo contenti della vostra presenza e di quello che avete portato ma spero sia l’inizio di qualcosa. La guerra è una maledizione ed è il frutto del male. Non sappiamo né quanto durerà né quando ci sarà la Pasqua della Pace ma in ogni caso ci sarà sempre tanto bisogno di solidarietà”. “Aiutate la Chiesa italiana ad essere madre in quella sofferenza che fa piangere. La speranza – dice il cardinale – è che le armi siano trasformate in falci e non avvenga più il contrario, come purtroppo abbiamo visto in questa guerra”.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)