di VITTORIO ROIDI

Inspiegabile. Comunque lo si guardi, il provvedimento preso dal Consiglio nazionale  dell’Ordine dei giornalisti sull’accesso alla professione è stupefacente. 

Da un punto di vista “politico”: era stato chiesto al Parlamento di cominciare a lavorare insieme per varare una legge nuova sul giornalismo. Invece, prima ancora di mettersi ad un tavolo, viene cambiata la modalità per l’accesso all’albo dei professionisti. Non serve più un praticantato di 18 mesi in un giornale, in una redazione, per imparare dagli altri come si fa il mestiere. Si può evitare. E’ sufficiente trovare qualcuno che ti dà lavoro da sbrigare e dimostrare che si viene pagati.

CHI INSEGNA

L’Ordine regionale ti iscrive nell’Albo, senza sapere chi ti insegna e cosa impari. Può assegnarti un tutor (non si sa compensato da chi) il quale ti segue nell’attività, o meglio ti insegue poiché non hai una sede di lavoro e dunque dovrà intercettarti per correggere i tuoi pezzi prima che siano pubblicati, magari su un sito on line o un social, che non è detto abbia un direttore che risponda davanti alla legge di ciò che avrai scritto.

Il tutor potrà solo fare una relazione ogni sei mesi per dire se sei diventato bravo o no. Non esiste né un gruppo di lavoro né un giornalista che ti faccia “scuola”. Dopo 18 mesi l’Ordine deciderà se mandare l’allievo all’esame di stato per attribuirgli la qualifica di professionista. E dargli il tesserino, che a quanto pare è l’obbiettivo di tutta l’operazione. Da un punto di vista giuridico: il ministero della Giustizia aveva detto che la modifica non si poteva fare, perché la legge non può mai essere cambiata usando il regolamento. Ora il ministero non fiata. 

IMPEGNO SUL CAMPO

Ma la meraviglia più grande è un’altra. Per più di 30 anni l’Ordine nazionale aveva sostenuto che proprio la vera testata era indispensabile. Non poteva mancare, perché proprio la sua esistenza garantiva l’effettiva pratica da parte dell’allievo. Nelle scuole di giornalismo autorizzate dall’Ordine, infatti, non si studia soltanto, non si fanno semplicemente esercitazioni. Ci devono essere concreti prodotti giornalistici, che vadano sul mercato, per i quali il praticante “lavori”, cioè sia impegnato sul campo: un settimanale, un giornale radiofonico o televisivo, un notiziario on line. Tutto ciò per alcuni praticanti dal primo di aprile non sarà più necessario. 

Inspiegabile. Come se ad un giovane bastasse indossare un camice bianco per andare a visitare i malati, senza aver prima frequentato per qualche anno le corsie di un ospedale. Come se un aspirante avvocato potesse entrare tutte le mattine in tribunale, con i suoi codici sotto il braccio, senza abbeverarsi alla fonte del mestiere, vale a dire lo stuolo di avvocati fra i quali è stato inserito e dai quali, per legge, è previsto che impari.

DEPUTATI E SENATORI

Perplessità, dubbi? Ci sarà modo di capire e di riparlarne. Ci penseranno deputati e senatori ora a chiarire di quale legge ha bisogno il giornalismo italiano. E’ vero che ci sono tanti free lance ai quali va riconosciuta una dignità e un ingresso nella famiglia. Però è difficile pensare che per questa strada si possa diventare professionisti. A meno che non si miri proprio a togliere questo termine. Lo si cancella e non ci sono più problemi. Lo si dica chiaro: basta professione, tutti giornalisti e via! Si apre la nuova era, tanto a fornire gli articoli ci penserà la ChatGPT di Elon Musk. Con un po’ di intelligenza artificiale e un po’ di algoritmi il gioco sarà fatto.