La scuola o la vita
Le studentesse avvelenate sono arrivate a cinquemila: nella Repubblica islamica iraniana bambine e ragazze, dai 10 anni all’età delle superiori, dallo scorso novembre rischiano ogni giorno un’intossicazione in classe. È successo in oltre 200 istituti, in 25 delle 31 province del paese: prima pochi casi isolati poi sempre più, tanto che il 14 febbraio i genitori delle alunne – sono state colpite solo scuole femminili – si sono radunati davanti al governatorato della città di Qom per chiedere ragione di quanto sta avvenendo.
Qom, uno dei centri più interessati da simili fatti, non è un luogo qualsiasi: è la seconda città santa dell’Iran ma soprattutto è stata il cuore di quella Rivoluzione che nel 1979 ha trasformato la monarchia iraniana in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla legge coranica (shari’a). A Qom ha risieduto a lungo lo stesso Khomeini e tuttora è un centro molto conservatore.
A seguito delle manifestazioni dei genitori il viceministro della salute, Younes Panahi, ha ammesso che “è emerso che alcuni individui volevano che tutte le scuole, soprattutto femminili, fossero chiuse” e ha spiegato che l’avvelenamento – responsabile di problemi respiratori, nausea, intossicazione pur senza esiti mortali registrati – è da imputarsi a “composti chimici disponibili non per uso militare”. Gli episodi si sono protratti per mesi impuniti e questo non è un aspetto secondario: resta il fatto che qualcuno intossica bambine e ragazze affinché non vadano a scuola, affinché nessuna istruzione sia ad esse accessibile.
Non va dimenticato il clima in cui questi episodi si inseriscono: quello della protesta – ma c’è chi parla di rivoluzione – che scuote il paese fin dal 16 settembre, quando Mahsa Amini è morta a seguito delle percosse ricevute dopo l’arresto da parte della polizia morale per un velo non correttamente posizionato. Fatto che portato in piazza prima le donne – noti gli episodi del taglio di una ciocca di capelli -, poi una generazione intera di giovani. Proteste domate a forza di arresti (quasi ventimila) e vittime (oltre cinquecento).
Riguardo gli avvelenamenti, nelle sue tardive dichiarazioni, il presidente Ebrahim Raisi ha prima parlato di un complotto mosso dai nemici dell’Iran che “cercano di creare problemi nelle strade, nei mercati e nelle scuole per provocare rabbia tra gli iraniani” (nemico sono considerati gli Usa, Israele e i sunniti); mentre il ministro dell’interno domenica 12 marzo ha annunciato l’arresto “di più di cento persone” sospettate colpevoli. Parole poco credute da iraniani e iraniane, “abituati alle menzogne del regime” come scrive il Corriere della Sera (lunedì 13 marzo).
La cronaca che vede colpite le studentesse riporta alla mente altre bambine e ragazze: sono le afghane per le quali, dal ritorno dei talebani (15 agosto 2021), la scuola non è più accessibile. Alla riapertura, a marzo dello scorso anno, tutte hanno sperato di poter riprendere gli studi, ma l’attesa è stata delusa e ancora continua: alle ragazze non è permesso l’accesso alle scuole secondarie (le nostre medie e superiori) e senza quelle nel giro di qualche anno nessuna donna potrà accedere neppure all’università. Del resto dal ritorno dei talebani alle afghane non è più possibile neppure lavorare (professioni sanitarie escluse, poiché una donna non può essere curata o visitata da un uomo).
E’ una storia di negato diritto allo studio anche quella di Malala Yousafzai, adolescente colpita da un colpo di pistola alla testa a Mingora in Pakistan nell’ottobre 2012, rea d’aver scritto e divulgato dei roghi di alcune scuole femminili e la condizione di vita sotto il regime talebano. Ferita a morte, le fu permesso di essere portata per un difficile intervento nel Regno Unito, dove risiede con la famiglia. Una volta ripresa non si è fermata nella sua lotta per la scuola, meritando nel 2013 il Premio Sakharov e nel 2014 il Premio Nobel per la pace, grazie ai quali ha istituito un Fondo per l’istruzione delle bambine nel suo paese d’origine.
Che cosa temono coloro che governano le citate nazioni da una donna che studia E quanto avrebbero piuttosto da temere il lasciare nell’ignoranza la metà delle popolazioni che guidano e le madri dei figli che faranno nascere?
L’antico mito persiano di Sherazade racconta da secoli come la ragazza riuscì a salvarsi dalla morte cui il sultano l’aveva condannata dopo averla presa: raccontando storie, una diversa ogni sera, per mille e una notte. Fu così che incantò il prepotente. Forse, allora, sono le parole, il loro uso, la loro conoscenza ad essere temuti; forse, allora, è per questo le ragazze si rinchiudono e si avvelenano.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)