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Isernia. Spigolature e pensieri arguti sull’Amicizia (maiuscola) del professor Guglielmo di Burra

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Non camminare davanti a me, potrei non seguirti. Non camminare dietro di me, non saprei dove condurti. Cammina al mio fianco e saremo sempre amici.”  (Albert Camus 1913 – 1960).

Innanzi tutto occorre definire brevemente che cosa l’amicizia sia, in che consista la sua essenza.

Non è così facile come può sembrare; anche se tutti si riempiono la bocca con questa parola, pochi ne conoscono il significato profondo, e meno ancora sono quelli che la vivono in maniera autentica e coerente.

Primariamente direi che non si tratta di un sentimento, ma di una relazione. L’amicizia è una relazione complessa fra un io e un tu, la quale, nelle forme più basse, nasce solo da un reciproco interesse materiale, mentre in quelle più alte coinvolge un terzo soggetto, un Tu trascendente che ne diviene, a un tempo, il muto ma prezioso testimone e la roccia, il solido fondamento sul quale la relazione si appoggia; o, se si preferisce, la luce soprannaturale che la trasfigura e la innalza al di sopra della sfera della vita ordinaria.

Né si creda che quest’ultima forma di amicizia sia esclusiva di coloro che si muovono entro una prospettiva religiosa e che fondano in Dio il fatto umano dell’amicizia verso un proprio simile. Chiunque concepisca l’amicizia come qualcosa di sacro, implicitamente chiama a testimonio di essa quel Tu trascendente di cui si diceva. Non sarà concepito come Dio, ma come il senso della giustizia, della verità e dell’onore; non importa: svolgerà la stessa funzione. Un ateo può vivere l’amicizia nel senso più alto, altrettanto nobilmente di un credente.

Una sola cosa è essenziale alla forma più elevata e più vera dell’amicizia, la quale la distingue dalle sue scadenti – e numerose – imitazioni: che sia una relazione tra buoni. Tra i buoni ciò che viene reciprocamente scambiato è il bene; e questo mette in movimento un circuito virtuoso, per cui una tale amicizia renderà i contraenti sempre migliori, non solo nei loro rapporti reciproci, ma anche in se stessi.

“Sed hoc primum sentio – scrive Cicerone -, nisi in  bonis amicitiam esse non posse”: ‘in primo luogo penso che l’amicizia non possa sussistere se non tra buoni’.

E sempre Cicerone, nel ‘Laelius de amicitia’ (cap. VI): ” enim amicitia nihil aliud nisi omnium divinarum humanarumque rerum cum benevolentia et caritate consensio” : ‘L’amicizia non è niente altro che l’armonia delle cose umane e divine, accompagnata dalla benevolenza e dalla carità’. Concetto, quest’ultimo, che si può rendere con “stima”, “affetto” e, persino, “amore” come nell’espressione “carità di Patria”, che sta, ovviamente, per “amor di Patria”.

Così intesa, l’amicizia – va da sé – è una merce estremamente rara.

Né è possibile una vera amicizia tra due persone che si trovino su livelli di evoluzione spirituale troppo differenti. Nel rapporto tra maestro e discepolo, ad esempio, vi può essere affetto, ma non autentica amicizia; perché l’amicizia è una relazione fra pari. In compenso, può accadere che si crei un malinteso: che due persone, cioè, credano di trovarsi su un medesimo livello evolutivo, mentre non lo sono.

Questo accade facilmente quando il sentimento dell’amicizia si intreccia con quello dell’amore spirituale, con il quale condivide l’esigenza primaria di veder realizzato il bene dell’altro. Quando, ad esempio,  un uomo e una donna si sentono attratti l’uno verso l’altra da un insieme di stima, ammirazione, benevolenza, affetto e riconoscenza, è praticamente impossibile separare la dimensione dell’amicizia da quella dell’amore. Di per sé sono due modi di relazione ben distinti; ma, in pratica, nella vita le relazioni non si presentano mai allo stato puro, e questo vale anche per l’amicizia e l’amore.

Pertanto, l’amicizia può comprendere l’amore, ma l’amore non può comprendere l’amicizia. Infatti, tra le due, è l’amicizia la relazione più pura e disinteressata, dunque la più elevata; e ciò che sta più in alto può comprendere ciò che sta più in basso, ma non è possibile il contrario. Questo va contro il sentire comune: si pensa che l’amore sia una relazione più grande dell’amicizia, proprio perché li si pensa, entrambi, come sentimenti e non come relazioni. In realtà, una relazione esprime, sempre, anche un sentimento (non solo per le persone, ma anche per le cose o per delle entità astratte: l’affetto per la propria casa, l’amore per la giustizia, ecc.); ma un sentimento può non esprimere alcuna relazione. Infatti l’amore, come sentimento, può anche non venire ricambiato, ed essere perciò a senso unico; ma, per essere una relazione, deve sempre essere reciproco. Mentre l’amicizia non può che essere reciproca, perciò non può essere che una relazione: non esistono amicizie non ricambiate, al massimo vi sono simpatie non ricambiate. Ma la simpatia è una cosa totalmente diversa dall’amicizia.

Stabilita più o meno la definizione del concetto, dobbiamo subito ammettere che, da un punto di vista strettamente operativo, non è facile la realizzazione di un duraturo e stabile rapporto amichevole anche tra due sole persone, un po’ per la vita frenetica o comunque abbastanza dinamica di tutti i giorni, che ci impegna sicuramente più del necessario e poi, diciamolo pure, anche per la pigrizia, il rilassamento e forse l’immobilismo che spesso hanno il sopravvento sulle nostre più buone intenzioni. Da tutte le parti, infatti, siamo continuamente sollecitati da un’infinità di stimoli, ma pochi di essi, in verità, si rivolgono solo alla purezza dei nostri sentimenti in modo definibile “disinteressato”, che non ci coinvolga in qualcosa che si possa considerare comunque materiale.

L’eccezione può essere costituita solo da un’amicizia cresciuta con noi, nata dall’infanzia o dalla prima fase della gioventù e proseguita poi nel tempo fino alla maturità. Questa modalità è di certo la più semplice, ovvia nel suo divenire e non ha perciò bisogno di ulteriore indagine.

Nei tempi trascorsi, sicuramente, non possiamo sapere in quale forma il rapporto amichevole sia stato possibile e come potesse differire da quello di oggi. Senza inoltrarci in lunghe divagazioni, possiamo comunque ritenere, a grandi linee, che nei tempi trascorsi la situazione, per quanto pervenutoci da scrittori e poeti del passato, non doveva divergere molto da quella del tempo presente. Come ormai risaputo e più volte detto, lo sviluppo o la modifica del pensiero e del comportamento umano sono piuttosto lenti, almeno rispetto alla lunghezza della nostra vita ed al trascorrere del tempo così come lo percepisce l’uomo.

Il tema che si sta affrontando – quello dell’amicizia appunto – può essere considerato da molteplici punti di vista. L’argomento è stato esaminato a fondo da tutte le prospettive possibili fin dall’antichità ed anche oggi scrittori, psicologi, sociologi, cercano di approfondirne lo studio, evidentemente perché l’amicizia, in senso lato, deve essere per forza ritenuta una delle componenti principali ed essenziali del rapporto tra gli uomini e quindi della vita quotidiana di ogni individuo.

Coloro poi che studiano a fondo, anche scientificamente, i comportamenti umani – i cosiddetti etologi sociali umani – vedranno sicuramente nell’amicizia anche un qualcosa che va oltre le apparenze ed ha a che fare con la selezione naturale, portatrice quindi di un valore biologico importante e molto selettivo per tutta la specie umana.

Generalmente, nel linguaggio comune, “un amico” è colui che si conosce anche superficialmente, è un conoscente, una persona che magari abbiamo avuto occasione di incontrare e forse spesso diamo al significato di amicizia solo una conoscenza approssimativa nell’ambito di una cerchia ristretta di persone. Ma l’Amicizia, quella di cui stiamo parlando, è qualcosa di più di un rapporto superficiale, anzi è – come innanzi evidenziato – un sentimento molto profondo ed un legame che in teoria – se effettivo – dovrebbe essere inscindibile ed il primo nella scala delle priorità di ognuno di noi.

Un dato di fatto però è alla base e condiziona l’amicizia tra una o più persone ed è il principio, appunto di rapporto “disinteressato”. In tutte le manifestazioni la vita ci offre una molteplicità di esempi in questo senso: in genere niente è casuale, qualunque cosa ha sempre una ragione di esistere ben precisa anche se apparentemente noi non riusciamo a vederla, c’è sempre – in particolare nella vita biologica – uno scambio di cose, di prodotti, di informazioni, un vantaggio reciproco in qualsiasi contesto, altrimenti, sembrerebbe proprio impossibile possa esistere da parte di due o più contraenti un qualche interesse per l’instaurarsi di un qualsiasi rapporto.

Per esempio, tanto per citare qualcosa di molto semplice, ma potremmo farne molti altri ancora, possiamo osservare cosa succede nell’ambito di alcuni piccoli, ma numerosi  animaletti : un gruppo di vespe definite “insetti sociali”. Come si sa, al momento opportuno le uova di questi insetti sono deposte nelle cellette del nido in precedenza costruito, dove si svilupperanno e daranno vita a larve che si trasformeranno poi in pupe. Da quel momento inizierà quel processo definibile “egoistico-altruistico” tra pupa e vespa operaia: l’adulto fornirà alla pupa le sostanze nutritive per il suo accrescimento che avrà trovato all’esterno e, nello stesso tempo, usufruirà dei rifiuti del processo di digestione della pupa dei quali è ghiottissimo. E’ chiaro che questa strategia di sopravvivenza – operata dalla selezione naturale – si è evoluta nel corso di milioni di anni proprio perché è la più vantaggiosa per questa specie di insetti.

Questo sistema, però, che potremmo definire come minimo “curioso”, non è unica prerogativa delle vespe sociali. Tutto ciò – fatte le dovute proporzioni e secondo le più varie modalità – è valido almeno per tutto il mondo animale e quindi anche per l’uomo. L’unica differenza è che l’uomo, almeno teoricamente, dovrebbe essere un animale “superiore” e quindi più intelligente di una vespa o di un comune insetto, avendo non solo la possibilità di essere “guidato” da madre natura, ma anche di poter selezionare e scegliere sempre autonomamente la soluzione migliore per lui come individuo e come specie. Ma non sempre è così, anzi questa condizione sembra verificarsi raramente. Nella vita di tutti i giorni, non sempre la situazione è da considerarsi ottimale.

Indubbiamente, dove finisce l’egoismo ed inizia l’altruismo è un confine non troppo definibile con precisione, anche perché sembra che l’altruismo – e di conseguenza l’amicizia – non sia altro che un meccanismo di “egoismo” mascherato dalla natura, che usa spesso la strategia di dare vantaggio apparente al singolo individuo, ma solo in funzione del mantenimento della specie alla quale poi il singolo stesso appartiene. Sembrerebbe proprio un complicato gioco di parole, se non sapessimo invece che il tutto è vero.

Sicuramente l’uomo è diverso da una vespa e da una larva e qualsiasi paragone sarebbe certo improprio, ma è il “sistema” utilizzato dalla natura che ci interessa, sistema che se abbiamo l’accortezza di osservare è adottato, più o meno, da tutte le specie animali (vedi per esempio i leoni africani che nella savana si nutrono delle gazzelle più deboli o meno veloci – cioè di quelle più facilmente catturabili – e contemporaneamente provocano la selezione dei migliori animali; nelle foreste le scimmie in branco, se attaccate dai predatori, si dispongono in cerchio e gli esemplari vecchi e quelli malati, disponendosi alla periferia, si lasciano sopraffare per difendere così gli altri e mantenere il gruppo integro e sano, migliorandone la specie). E l’uomo, essendo né più né meno che un animale, obbedisce consapevolmente e adopera con ogni probabilità identico sistema.

Anche l’amicizia quindi – così ad occhio – dovrebbe rientrare, in qualche maniera, in questa categoria di rapporto, ma ricordiamolo, presumibilmente non per vantaggio individuale primario, bensì per quello della specie. In ogni caso se viene avvantaggiato il singolo, ne riceve beneficio l’intera collettività, e viceversa.

In pratica, possiamo ritenere che da un punto di vista strettamente biologico, o usando un termine forse più fastidioso: animale, le condizioni dovrebbero essere proprio queste. Un qualsiasi rapporto, amicizia compresa, è solo possibile in presenza di un reciproco vantaggio, sia che si tratti di un qualcosa di materiale e concreto, sia che riguardi esclusivamente la sfera dei sentimenti, cioè di quel benessere interiore che solo la certezza di non essere “soli” può dare. Questo tipo di sentimento e di sensazione può sembrare a prima vista una cosa molto labile, ma ricordiamoci, tutti noi, lo smarrimento che in qualche occasione, seppur rara, abbiamo provato nel sentirci proprio “soli”, nella sgradevole condizione di non poter interloquire con qualcuno, nella spiacevole e frustrante sensazione di non essere “compresi”, oltre che da coloro che stimiamo o amiamo, anche dal prossimo in generale.

Anche ora, in questo momento, io stesso, se ritengo di essere compreso, più o meno approvato, considerato, stimato da coloro che mi stanno leggendo e con i quali ritengo di avere analoghe vedute ed aspirazioni, avrò dentro di me un diffuso e piacevole senso di benessere, in sintesi, avverto la sensazione di essere effettivamente “contraccambiato”. Diversamente, se fossi sicuro che ho scritto inutilmente, per chi non condivide il mio pensiero, seppur legittimamente, avrei per certo una sensazione sgradevole e di disagio, pertanto non riterrei di avere i miei sentimenti corrisposti, indispensabili all’instaurazione di un effettivo rapporto di amicizia.

Ecco, in pratica, come può essere inquadrato il significato della mancanza di “gratuità” in un rapporto amichevole. Tra Noi, ora, in questo ambito, non è scorso di certo denaro, ma ritengo e mi auguro che ci sia stato, invece, uno scambio invisibile, ma reciproco, di stima, forse di approvazione, di amicizia appunto: la creazione di un rapporto più stretto ed efficace di sentimenti, di affinità spirituale, di profonda considerazione reciproca, che forse prima era latente, ma non ancora completamente in noi stessi.

E’ questo lo “scambio” o la “reciprocità” che può intercorrere anche in un rapporto di amicizia che, se si vuole essere molto precisi, non è proprio “gratuito”, ma è protagonista di un passaggio di valori.

Le amicizie comuni e mediocri si allontanano di molto dall’amicizia ideale, la quale invece, pur non escludendo ricadute pratiche e vantaggi reciproci tra gli amici, è anzitutto e soprattutto profonda intesa e sintonia, sentimento e affetto disinteressato alimentato dalla frequentazione e dalla comunanza di vita, di carattere, di valori.

Come ho già avuto modo in passato di dire, l’amicizia è una forma temperata dell’Amore ove, gli amici scoprono, simultaneamente, una sorta di accordo tacito fra loro, scambiandosi le comuni esperienze e quindi mettendo in atto quel “transfert”, a doppio senso, dell’uno verso l’altro. Spesso il dialogo che avviene tra amici evoca ricordi ed esperienze vissute in comune, laddove il ricordo dell’uno completa quello dell’altro, tra mille sfumature, la cui tendenza è quella di abbellire ed armonizzare al meglio l’episodio che li ha visti protagonisti.

Nel suo ‘Laelius de amicitia’, Cicerone conclude il suo scritto esortando gli interlocutori del dialogo ed anche i lettori, affinché considerino che virtù ed amicizia sono indissolubili, e che non si dà amicizia al di fuori della virtù.

L’antico filosofo Empedocle diceva che l’amicizia compone e disgrega tutte le cose del mondo.

Ma cosa potrebbe essere l’amicizia per Noi?

L’amicizia è, come diceva Cicerone, derivata dal verbo amare. Per me, quindi, l’amico è qualcuno che si fa amare non solo per quello che fa, ma soprattutto per quello che è.

(Guglielmo di Burra – Comunicato Stampa – Elaborato – Archiviato in #TeleradioNews © Diritti riservati all’autore)

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