Reddito di cittadinanza: numeri e problemi aperti
A gennaio 2023 il Reddito di cittadinanza ha interessato oltre un milione e 160 mila nuclei familiari con quasi 2 milioni e mezzo di persone coinvolte, per un importo medio mensile di 562,78 euro. Sono questi i dati riferiti dall’Inps e relativi al primo mese di quello che dovrebbe essere l’ultimo anno di attuazione della misura, almeno così come l’abbiamo conosciuta finora. Con l’ultima legge di bilancio, infatti, si è deciso che il Rdc sarà abrogato dal 1° gennaio 2024. Che cosa ci sarà dopo ancora non si sa. L’intento del governo è realizzare “un’organica riforma delle misure di sostegno alla povertà e di inclusione attiva”. Già nell’anno in corso, comunque, “ad eccezione dei nuclei familiari al cui interno vi siano persone con disabilità, minorenni o persone con almeno sessant’anni di età”, l’erogazione viene riconosciuta al massimo per 7 mensilità. I soggetti beneficiari di queste ultime, considerati occupabili, “devono essere inseriti per un periodo di sei mesi in un corso di formazione o di riqualificazione professionale”. In caso di “mancata frequenza del programma assegnato, il nucleo familiare del beneficiario del reddito di cittadinanza decade dal diritto alla prestazione” (la decadenza scatta anche al rifiuto della prima offerta di lavoro). Sta di fatto che il piano di questi corsi di formazione e riqualificazione non è stato ancora varato e quindi l’obbligo per il momento è rimasto sulla carta.
Intanto, però, il governo e più direttamente il ministro competente hanno deciso di revocare l’attuale consiglio di amministrazione dell’Anpal con due anni di anticipo sulla scadenza. L’Agenzia nazionale politiche attive del lavoro (l’Anpal, appunto) è un soggetto-chiave in questo comparto ed evidentemente governo e ministero vogliono che sia gestito da persone di fiducia e non espressione dei precedenti esecutivi. La prossima settimana è in calendario l’assemblea della società per completare l’operazione di ricambio.
Nel frattempo si sta cercando di tamponare una falla che si è aperta per una paradossale svista proprio in sede di legge di bilancio. Un’interpellanza dell’opposizione (nella fattispecie il Pd), ha messo in luce come nell’intervento sul Rdc fossero finite sotto la scure abrogativa anche le norme che sanzionavano come reato l’indebita percezione del sussidio. Evidentemente non era intenzione dell’esecutivo legalizzare le frodi e le truffe, ma ora bisogna correre ai ripari con una nuova norma. Sanare tutte le conseguenze dell’improvvida abrogazione, peraltro, è impresa meno agevole di quanto possa apparire perché in materia penale vige il principio dell’irretroattività della legge sfavorevole e della retroattività di quella favorevole all’imputato.
E’ invece la normativa attuale del Rdc a essere finita sotto i riflettori della Commissione europea che ha avviato una procedura d’infrazione contro l’Italia a motivo del requisito dei dieci anni di residenza richiesto per poter accedere alla misura. Secondo l’ordinamento dell’Unione le prestazioni di assistenza sociale “dovrebbero essere pienamente accessibili ai cittadini dell’Ue che sono lavoratori subordinati, autonomi o che hanno perso il lavoro, indipendentemente dalla loro storia di residenza”. Il requisito dei dieci anni, inoltre, discrimina i beneficiari di protezione internazionale, tutelati da un’apposita direttiva comunitaria del 2011.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)