La Chiesa non può vivere senza Vangelo
Confuso. Non so come spiegarmi. Non capisco più niente.
Ho davanti a me una strana fotografia: è stata scattata quasi duemila anni fa eppure ritrae la Chiesa di oggi. Che sia davvero un miracolo? Il fatto che non fosse ancora stata inventata la macchina fotografica mi fa propendere per il sì, la veridicità del ritratto mi porta a dire di no.
Racconta la Chiesa di Corinto a metà del I secolo ma assomiglia in modo sorprendente alla Chiesa Cattolica del secolo XXI. Potrebbe essere altrimenti? Non credo. Da sempre noi uomini ci dividiamo in gruppi, fondiamo club, dividiamo l’umanità in amici e nemici. A Corinto erano Paolo, Apollo, Cefa: leader di successo ciascuno con il proprio fan club. Oggi sono Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco: ciascuno ha i propri sostenitori.
Questo non mi meraviglia e neppure mi scandalizza; lo scandalo – ed è davvero grande – è su un altro piano: abbiamo trasformato la teologia in sociologia. La missione in tecniche pubblicitarie. Il Vangelo in un manuale di devozioni.
Cosa è accaduto? Penso almeno due cose: abbiamo perso di vista il Vangelo e questo ci ha portato da una parte a voler “battezzare” ogni realtà sostenendo lo scontro fra sacro e profano, dall’altra a ridurre l’esperienza religiosa e spirituale a qualcosa di intimistico e individualistico: per questo trionfano ad esempio lo yoga, le sette e i movimenti o la religione fai da te.
Malattie di ieri e di oggi: ecco la singolarità di quella fotografia. E la mia, conseguente, confusione.
Perdere il Vangelo significa vivere senza Chiesa. Perché la Chiesa non può vivere senza Vangelo.
Mi impressiona la risposta di Paolo ai Corinti dopo averli rimproverati per le loro divisioni: «Cristo non mi ha mandato a battezzare ma ad annunciare il Vangelo».
Di qui la mia attuale perplessità: siamo davvero missionari o siamo semplici amministratori? Siamo innamorati del Vangelo o lo leggiamo – e lo dico a me prete innanzitutto – per far la predica agli altri? Organizziamo mille attività a quale scopo? E perché sembra che le parrocchie (e forse anche le Diocesi) siano in gara fra di loro, quasi si facciano concorrenza per vincere il premio della più bella, la più attiva, la più frequentata Che premio dobbiamo vincere?
E se smettessimo di fare riunioni in cui discutiamo da un secolo delle stesse cose e provassimo a snellire le strutture per dedicare più tempo allo studio, all’incontro con le persone, alla visita dei malati?
Se, fedeli a ciò che abbiamo insegnato, credessimo davvero che Dio è in ogni luogo e non solo in cielo?
Che si può essere fratelli e sorelle o perlomeno amici e amiche anche se non abbiamo le stesse idee?
Se cominciassimo davvero a riconoscere la dignità del sacerdozio battesimale invece di parlare sempre di calo delle vocazioni, di crisi e di accorpamento delle parrocchie? Se trovassimo il coraggio di iniziare un cammino di battezzati senza per forza doverci sempre identificare dentro una corrente? Non basta essere battezzato per annunciare insieme il Vangelo?
Forse è davvero questa la questione: non annunciamo più il Vangelo, difendiamo le nostre roccaforti (e i nostri privilegi).
Dice il Vaticano II: «Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso (1). Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura».
Predicare il Vangelo: non una causa qualsiasi, la più santa.
Forse anche la più dimenticata.
(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)