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Mons. Aranguren Echeverría: “San Giovanni Paolo II fu davvero un messaggero di verità e speranza”

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“La presenza del Papa polacco è stata un’oasi nella vita del popolo che sarà sempre ricordata e che rende sempre possibile l’apertura di nuovi orizzonti”. Mons. Emilio Aranguren Echeverría pronunciò questa frase venticinque anni fa, in occasione della storica visita di Papa Giovanni Paolo II a Cuba. All’epoca, giovane vescovo, era segretario generale della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba (Cocc). E sentì con le sue orecchie Papa Wojtyla pronunciare la famosa frase: “Che il mondo si apra a Cuba e che Cuba si apra al mondo!”. Papa Wojtyla, con il suo messaggio e il suo carisma, seppe “conquistare” l’isola “della rivoluzione”, ebbe tra l’altro un lungo colloquio con il “líder máximo”. Si aprirono davvero “nuovi orizzonti”, e iniziò una nuova stagione, seppure ancora piena di fatiche, per la Chiesa cubana, la quale ha promosso per il 25 gennaio, nel 25° dell’arrivo del Papa a L’Avana, un programma di celebrazioni, alle quali prenderà parte il cardinale Beniamino Stella, all’epoca nunzio apostolico.
Papa Francesco ha inviato un messaggio al Popolo di Dio, nel quale scrive tra l’altro: “In questo periodo, vorrei che i gesti e le parole che il mio predecessore vi ha rivolto durante la sua visita fossero presenti nei vostri cuori, risuonassero con forza nel presente e dessero un nuovo impulso per continuare a costruire il futuro di questa nazione con speranza e determinazione”. Oggi, mons. Aranguren, vescovo di Holguín, è il presidente dei vescovi cubani, e in questa veste il Sir lo ha intervistato.

Qual è il suo ricordo personale della visita di San Giovanni Paolo II?
Per me, la visita iniziò un anno prima, nel gennaio 1997, quando il cardinale Camillo Ruini, allora vicario del Papa per la diocesi di Roma e presidente della Cei, ci fece visita. In quei giorni tenne diversi incontri, tra cui uno con il presidente Fidel Castro Ruz, e nell’occasione accompagnai il cardinale, come segretario generale della Cocc. Durante la sua permanenza a Cuba consacrò la Cattedrale di San Isidoro de Holguín, per la quale la Cei offrì il suo sostegno finanziario, e visitò il Centro di cardiologia dell’ospedale provinciale di Holguín, completamente rinnovato con attrezzature e materiali grazie al sostegno del Comitato di aiuto al Terzo mondo, che opera come parte della Cei. È nell’ambito di questa visita che è fu resa nota la visita di Papa Giovanni Paolo II all’inizio dell’anno successivo, il 1998. Per organizzare questo appuntamento, la Conferenza episcopale mise insieme un team di tre vescovi e due sacerdoti, per seguire i preparativi, insieme a un altro team composto da membri del Partito comunista cubano e di altri ministeri e agenzie governative. È stata una bella esperienza, che è servita a creare uno spazio di scambio in un clima di comprensione e rispetto, pur sapendo di avere opinioni diverse su alcuni temi. Per questo, ripeto ciò che dissi 25 anni fa: “La presenza del Papa polacco (i suoi gesti, i suoi messaggi e l’atmosfera popolare) è stata un’oasi nella vita del popolo che sarà sempre ricordata e che rende sempre possibile l’apertura di nuovi orizzonti”.

Cosa è cambiato nell’isola per la Chiesa e per i credenti dopo quell’evento?
È stata un’occasione per rendere visibile e sperimentare il senso popolare di appartenenza alla Chiesa. Il Papa non era un personaggio lontano, ma “nostro”, che parlava la nostra lingua, che conosceva bene la realtà socio-politica in cui viviamo la nostra esperienza di fede, che definiva concetti chiari nei suoi messaggi (famiglia, giovani, cultura, mondo del dolore, missione della Chiesa nella società in uno Stato secolare). È stato davvero “un messaggero di verità e speranza”. Il magistero di San Giovanni Paolo II rimane pienamente attuale dopo 25 anni, ed è rimasto tale anche nelle successive visite dei suoi due successori.

È possibile parlare di cambiamenti irreversibili?
Ci furono due aspetti concreti: la solennità del Natale tornò a essere un giorno festivo, e anche il Venerdì Santo; inoltre, durante la preparazione, la visita e i giorni successivi, si notò l’insegnamento di un proverbio popolare cubano: “Parlando ci capiamo”. Ciò indica che l’esercizio del dialogo in un mondo pluralista è indispensabile e possibile, come si è ripetuto negli anni successivi.

Quale dei messaggi o delle parole del Papa è ancora oggi più attuale?
Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato due messaggi: quello dei gesti e quello delle parole. Dopo la visita, è stato pubblicato un libro con fotografie che rimangono nella memoria di molti cuori, dove si percepisce la qualità dello sguardo, il movimento delle mani, l’inclinazione della testa che esprimono l’amore del padre-pastore per il suo figlio, per le due pecore, che penetra e rimane nell’intimità della persona. In ognuna delle quattro omelie o negli atti di benvenuto e di commiato, così come negli incontri ecumenici e con il mondo della sofferenza e della cultura, ha avuto espressioni o frasi che rappresentano ancora un punto di riferimento. Le cito per come me le ricordo, non letteralmente: “Cuba, prenditi cura delle tue famiglie in modo da mantenere il tuo cuore sano!”. E ancora: “Lo Stato deve promuovere un clima sociale sereno e una legislazione adeguata, che permetta a ogni persona di vivere liberamente la propria fede, di esprimerla nella vita pubblica e di avere gli spazi necessari per contribuire alla società con le proprie ricchezze spirituali, morali e civili”. Infine: “La Chiesa è maestra di umanità, per questo promuove la cultura dell’amore e della vita, e può così dare all’umanità la speranza della forza dell’amore vissuto e dell’unità voluta da Cristo. Per questo è necessario percorrere la strada della riconciliazione, del dialogo e dell’accoglienza fraterna con tutti e con tutte le persone”. Tre anni dopo la visita, il 6 gennaio 2001, il Papa pubblicò l’esortazione Novo Millennio ineunte, in cui espose vari inviti espressi nel suo magistero a Cuba e ai cubani.

Sono seguite le visite dei successivi Papi, Benedetto e Francesco. C’è un filo conduttore che lega questi eventi storici?
Indubbiamente nel magistero dei tre Papi, così come in quello dei Vescovi cubani, c’è un chiaro filo conduttore, e anche un legame con gli insegnamenti delle Assemblee generali dell’Episcopato latinoamericano (da Medellín ad Aparecida). Penso a termini come “sinodalità” (“camminare insieme”) e “amicizia sociale”, trattati da Papa Francesco; la distinzione tra “ideologia e fede (incontro con Gesù Cristo)”, e il fatto che “ci sono principi di fede irrinunciabili”, come espresse Benedetto XVI; insieme a quanto già detto da San Giovanni Paolo II danno un tono illuminante alla nostra Chiesa a Cuba e al suo impegno e missione con il popolo di cui fa parte. E ciò che rimane in tutti i cubani è la preghiera e il gesto di ciascuno dei tre Papi davanti all’immagine di Nostra Signora della Carità del Cobre, Madre di tutti i cubani.

La celebrazione dell’anniversario può dare nuova speranza al popolo cubano in un momento non facile?
Il momento che stiamo vivendo può essere descritto come “difficile e complesso”, in cui si integrano componenti interne ed esterne; per essere affrontato e superato, richiede la partecipazione di tutti, senza eccezioni. In 25 anni, la composizione della società e anche della comunità ecclesiale si è rinnovata: per la stessa legge della natura, per l’emigrazione significativa, per la stanchezza di molti, per l’accesso e l’uso delle reti sociali, per la necessità di nuovi linguaggi e prospettive. Questa celebrazione può aiutarci ad ascoltare oggi, ancora una volta, l’esortazione del Santo Papa che ci ha visitato 25 anni fa: “Non abbiate paura di aprire i vostri cuori a Cristo, lasciatelo entrare nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella società, affinché tutto sia rinnovato”, e poi aggiungeva: “Non aspettate che gli altri facciano ciò che voi stessi dovete fare. Voi siete e dovete essere i protagonisti della vostra storia”.

*giornalista de “La voce del popolo”

(Fonte: AgenSIR – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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