L’angolo del lettore/ Vincenzo Restivo recensisce “Il giovane Mungo” di D. Stuart
Per il numero di gennaio della rubrica “L’angolo del lettore” Vincenzo Restivo recensisce “Il giovane mungo” di D. Stuart, Mondadori
Mungo Hamilton è un adolescente taciturno dalla sensibilità spiccata. Il suo è un nome singolare che porta addosso un peso storico importante, è il nome del Santo protettore della sua città, perché Mungo vive in un quartiere di Glasgow. E non è facile nei primi anni 80 , vivere in un contesto dove i ragazzi sono spesso alle prese con la dimostrazione di una virilità tossica, immischiati in guerriglie tra classi sociali di diversa estrazione religiosa. E non lo è ancora di più se capisci, ad un certo punto, che la tua sensibilità ha a che fare con qualcosa che va al di là degli atteggiamenti , dei grazie sussurrati e remissivi, dei gesti tentennanti, dello sfregare nervoso sulla pelle fin ad arrossarla. Ma riguarda soprattutto l’attrazione verso gli altri maschi, la gestualità di questi, la pelle di questi, e quella stessa virilità di cui Mungo sa di esserne privo.
Lui vive con sua sorella Jodie che gli fa anche da madre ed è costretto a subire le angherie di un fratello maggiore che ha in sé tutto il risentimento tipico per un’esistenza non soddisfatta.
Ma Mungo ha anche una madre , una delle più individualiste, i cui problemi d’alcol la portano spesso lontano da quei figli che non ha mai saputo gestire.
Ma poi lui si innamora di James , il cattolico dalle orecchie a sventola e gli incisivi distanziati che sa di tutte le cose più buone del mondo, che è quanto di più bello, in quella realtà grigia di scompensi e insoddisfazione, possa esistere.
Douglas ha una penna scaltra, si avvale di analessi costruttive per erigere una narrazione che ci guida tra le viuzze umide e gli animi torvi di personaggi sopraffatti da un retaggio claustrale che annienta l’empatia, l’umanità, che li rende famelici e carnefici.
La pedofilia, l’alcolismo, la violenza di genere, sono solo alcuni delle argomentazioni che fanno da sfondo a questa storia che è prima di tutto un romanzo di formazione, dove la cappa della religiosità ( più delle volte presa come espediente per giustificare la violenza), e le difficoltà economiche rendono difficile l’emancipazione.
Un bel pezzo di letteratura, peccato solo per il finale un po’ troppo programmatico, segno, a mio avviso, di un editing un tantino invasivo.
Nota di demerito anche alla traduzione, la (pre) disposizione dell’aggettivo rispetto al sostantivo, appesantisce una narrazione che non ha per niente bisogno di baroccheggi stilistici. Ma, tutto sommato, è irrilevante e possiamo anche perdonarla a questa Mondadori che , una volta ogni tanto, abbandona la faciloneria commerciale a favore di un prodotto letterario di qualità.
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