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Morandi e hashish: “Il furgone è caduto, il fumo non c’è più”

CROLLO “STUPEFACENTE” – I clan a caccia del carico

DI MARCO GRASSO E LUCIO MUSOLINO
15 DICEMBRE 2022
C’è un segreto che fino a oggi era sopravvissuto alla strage del Ponte Morandi. Una storia che collega le morti di Genova con le rotte dei narcos, la criminalità calabrese e campana. Il protagonista è un uomo che si muove nell’ombra e che, finora, nessuno ha mai identificato. Ufficialmente è un autotrasportatore. Ma il suo è un carico speciale: 900 chili di hashish destinati alle piazze di Scampia e Secondigliano. La droga, nel caos dei primi giorni, sfugge a ogni radar. Se c’era, gli inquirenti, impegnati a soccorrere feriti e a recuperare i morti, non l’hanno mai trovata. E, come questo fosse davvero un romanzo, due anni più tardi quel carico perduto diventa l’oggetto di una missione di recupero spericolata, organizzata nei minimi dettagli da una joint venture di trafficanti. I resti del mezzo sono finiti sotto sequestro in un centro Aci di Latina. Per rientrarne in possesso la camorra si rivolge alla ’ndrangheta: insieme intendono truffare i venditori, marocchini, e poi spartirsi quel che rimane del fumo.A spalancare questo scenario, a tratti incredibile per gli stessi investigatori, è un uomo del clan Pesce-Bellocco. Si chiama Francesco Benito Palaia, mentre è agli arresti domiciliari è pedinato dalla Procura di Reggio Calabria per un’inchiesta che riguarda la famiglia di Rosarno. Palaia ha una particolarità: è uno specialista del recupero di rottami. Ed è per questo che viene coinvolto nella vicenda: i napoletani gli offrono 4 mila euro per il trasporto e il 50% del carico, nascosto in una cella frigorifera deformata dall’incidente, a missione compiuta: “Quando è caduto il Ponte Morandi, è caduto un furgone, e il fumo non c’è più! Ora questi marocchini sanno che il fumo non c’èpiù capito? – racconta a un complice – È un Eurocargo giallo. Se tu vai nel primo video, quando cade la campata… il primo pilone che cade, al secondo c’è questo camion, lo vedi benissimo! Giallo, con la cella frigorifera, piccolino”. L’interlocutore chiede conto dell’autista: “Ed è morto quello che era lì dentro?”. “No – risponde Palaia – è caduto paru (orizzontale, ndr), così, si è seduto, insieme al ponte. Come è caduto il ponte, si è seduto automaticamente. Gli è caduta una macchina sopra. L’autista però era già uscito”.

La conversazione viene intercettata il 9 marzo 2020 da una cimice piazzata nell’appartamento di Palaia. Il gip Vincenzo Bellini dà credito alla sua storia, sebbene allo stato non vi siano altri riscontri: “Nel discutere con il proprio sodale dei futuri traffici di stupefacente da organizzare – scrive il giudice – Palaia faceva riferimento al fatto che nel crollo del Ponte Morandi, era stato coinvolto un cargo frigo imbottito di numerosi chili d’hashish che erano destinati a dei malavitosi campani. Secondo quanto riferito, i soggetti dell’hinterland partenopeo avevano ingaggiato Palaia per effettuare un tentativo di recupero. Palaia con le proprie aderenze nel settore del recupero rottami, avrebbe potuto individuare e trasportare la carcassa del mezzo”.

Palaia ha contatti nel settore della rottamazione ai Castelli Romani, e da qui verrebbe il basista che dovrebbe aiutarlo nella missione: servirebbe, dice, “un carrellone con la buca” e soste “ogni 250 chilometri”. Il camion sarebbe stato “confiscato dalle assicurazioni”, parcheggiato a Latina e infine dissequestrato. Notizia apprese dal contatto di Palaia grazie a “un amico di Secondigliano”: “Dopo 6-7 mesi che lo guardavano mi dice: ‘Francesco, hai la possibilità?’ Perché, mi dice, a questo punto ‘io ai neri non gli posso dire… loro sanno che si è perso… punto (…) Adesso se loro vengono dove siamo noi a Secondigliano (…) Io questi 900 chili glieli voglio fottere’”.

Le notizie in arrivo dalla Calabria, anticipate ieri dal sito antimafia Fivedabliu, sono del tutto inedite per la Procura di Genova. Gli investigatori hanno provato a incrociare i dati dei veicoli caduti con il ponte e dai primi accertamenti emerge come fra i mezzi coinvolti, apparentemente, l’unico Eurocargo fosse quello guidato da due camionisti dell’Est Europa: Anatoli Malai, moldavo, e Marian Rosca, romeno. Il primo è morto sul colpo, il secondo, sopravvissuto, è poi deceduto in ospedale. Lavoravano per la ditta di trasporti internazionali francese Alba Démenéagements. Era quello il camion a cui fa riferimento l’uomo dei Bellocco? Innanzitutto Palaia fa riferimento a un sopravvissuto, e non a una vittima. Il colore del mezzo, a ben vedere è bianco, e non giallo, e non risulta avesse celle frigorifere. Né ci sono elementi per dire che, nell’eventualità, chi guidava sapesse davvero cosa stava portando. C’è un mezzo di quel colore, giallo, ma senza carico, che nelle riprese della polizia stradale del 14 agosto 2018 precede di pochi metri i due autotrasportatori, all’uscita della galleria che porta sul viadotto. Ma potrebbe essere una suggestione. C’è, inoltre un altro elemento. Il difensore della famiglia di Rosca, residente tra la Francia e la Romania, è di Latina, posto in cui si danno appuntamento tante coincidenze in questo racconto: “Noi della vicenda non sappiamo niente, ma mi pare di poter dire che è senza fondamento – spiega l’avvocato Simona Verdesca Zain – Ci siamo occupati dei risarcimenti, mai del dissequestro del mezzo. La famiglia ci ha trovato attraverso una collega che lavora in Romania. E con la ditta non abbiamo contatti”.

Insomma, i dettagli che non tornano, in questa storia, sono ancora tanti. E, pare di capire, chi li potrebbe conoscere, o non li vuole raccontare, o è morto, oppure preferisce rimanere un fantasma.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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