Ischia-Casamicciola. ‘In morte per abusivismo: speciale sulla tragedia dalla stampa cartacea
Sabato Giuseppe Crimaldi sul Messaggero:
«Il fiume di acqua e terra ha investito le casette, costruite forse anche con troppa disinvoltura sul pianoro immerso nel verde dell’Epomeo, prima di scaricarsi a mare. Un’onda lunga quattro chilometri, che ha sfondato gli argini di via Celario e via Santa Barbara, oggi trasformate in un cimitero di melma, massi pesanti tonnellate, grovigli di lamiere che prima dell’alluvione erano auto parcheggiate sulla strada. Giovan Giuseppe, Maria Teresa, Francesco e gli altri non hanno avuto il tempo di capire, o almeno questa è la speranza che rimane a chi vuole cercare un conforto».
Millimetri Fabrizio Geremicca sul CdS:
«Centoventi millimetri di pioggia, tra mezzanotte e le sei del mattino. A Ischia ieri, secondo quanto riporta il Cnr, è piovuto come mai era accaduto negli ultimi venti anni. L’ennesimo fenomeno estremo del 2022 in Italia (130, quelli registrati). Il picco massimo di pioggia oraria è stato di 51,6 millimetri a Forio, uno dei Comuni ischitani, e di 50,4 millimetri sul Monte Epomeo, la montagna dalla quale si è staccata la frana che ha devastato Casamicciola Terme. Anzi, varie micro-frane incanalate in un flusso che ha creato un unico fiume di detriti, con grande capacità distruttiva».
Insonnia CdS:
«Enzo Botta alle cinque e un quarto era già in piedi, la pioggia lo stava preoccupando. La corrente elettrica era appena saltata. Si è affacciato alla veranda della casa che ha costruito con tanti sacrifici e dove vive con la moglie Maria e i tre figli, e ha capito subito che quella che stava arrivando dal cielo era l’ira di Dio. “Allora ho chiamato tutti e gli ho detto di scendere nel viale, o almeno in quel poco che restava del viale”, ha raccontato all’Ansa. Poi ha chiamato i soccorsi: “Veniteci a prendere, qui frana tutto”. Si sono salvati. Ma ricorderanno il 26 novembre del 2022 come il giorno in cui hanno scampato la morte. “I soccorsi non arrivavano e siamo rimasti fuori nel viale, dove avevamo deciso di restare dopo essere usciti tutti da casa, e ci siamo messi al riparo dentro la macchina. Eravamo sotto la pioggia tutti e cinque, ci tenevamo stretti, e lì dentro siamo rimasti per un paio d’ore, perché per i soccorritori era difficile raggiungerci: davanti a noi c’era il baratro, sembrava di essere in un film, era surreale”. Le sue ragazze hanno ventiquattro e ventuno anni, il maschio quasi dodici. Sono una famiglia luminosa, bella. Enzo ha 52 anni, Maria Acampora, sua moglie, 50. Lui fa il piastrellista, lei lavora come stagionale negli hotel. Hanno continuato ad aspettare l’arrivo dei soccorritori, mentre il fiume di melma si ingrossava sotto il loro occhi consumandogli la terra sotto i loro piedi e lo strapiombo prendeva forma davanti alla loro casa. Ma ancora non arrivavano. Il Monte Epomeo intanto veniva giù con la pioggia. “Ci siamo stretti restando uniti, intanto vedevo il vuoto attorno a me”, è andato avanti Botta».
Idraulico
Giovan Giuseppe Di Massa, 55 anni, idraulico, ripreso in video con il fango che gli arriva fino al collo. I vigili del fuoco lo hanno ritrovato in un cantinato di Corso Vittorio Emanuele, la furia del fango lo aveva trascinato a valle per chissà quanto, aveva tutti i vestiti strappati, era rimasto solo con una maglietta. Ricoverato all ospedale Cardarelli. Ha uno schiacciamento toracico e una costola rotta. Ma quel che più preoccupa i medici è il fatto che ha ingerito tanto fango. Fa ancora molta fatica a respirare e per questo resta in prognosi riservata.
Telefonate
Eleonora Sirabella, 31 anni, commessa in un negozio di abbigliamento. Sabato mattina, quando ha capito che stava per essere travolta dal fango, ha chiamato al telefono il padre Ciro. «Ti prego, vieni ad aiutarmi, vieni a liberarmi». Purtroppo però il muro di fango ha fermato Ciro Sirabella e il figlio a poche centinaia di metri dalla casa di Eleonora. I primi soccorritori sono stati costretti a bloccarli, perché andando avanti avrebbero rischiato di morire. Il cadavere di Eleonora è stato il primo ad essere ritrovato: era stato trascinato lontano, fino a piazza Maio. All’appello manca anche il marito, Salvatore Impagliazzo, marinaio. Risulta disperso.
21 giorni
Maurizio Scotto Di Minico, 32 anni, lavorava in un ristorante sull’isola, ritrovato morto. Giovanna Mazzella, 30 anni, ritrovata morta. Giovani Giuseppe Scotto Di Minico, loro primo figlio, 21 giorni, era nato il 4 novembre. Ritrovato morto anche lui. Il suo corpicino era ancora avvolto in un piccolo plaid azzurro, inutilmente protetto dalla culletta rovesciata dalla furia del fango. Poco più in là c’erano i genitori.
Peluche
Maria Teresa Monti, 6 anni tra due settimane. Il suo corpo è stato trovato grazie al fiuto di due cani da soccorso, indossava un pigiamino rosa, sotto di lei un orsacchiotto di peluche. Suo fratello, Francesco, 11 anni, ritrovato morto. I loro genitori, Gianluca Monti e Valentina Castagna, lui tassista lei casalinga, e il loro terzo figlio, Michele, 15 anni, sono ancora dispersi. Mauro Evangelisti sul Mess: «I loro parenti non si arrendono, li stanno cercando ovunque, sono passati nel sali e scendi delle emozioni quando sembrava che potessero essere tra i feriti negli ospedali. Ieri hanno raggiunto l’abitazione. La cucina e la sala erano intatte, ma il fiume di detriti venuti giù dal Monte Epomeo ha distrutto le camere da letto. Un parente che stava cercando disperatamente, sperando che nella famiglia vi fossero dei sopravvissuti, è salito sul tetto, ha urlato: inutile. Ha provato a chiamare al telefono, si sentiva lo squillo, nessuno rispondeva. Un cavallo di proprietà della famiglia Monti è stato trovato a valle, carcassa. Lo zio dei due bambini ieri è stato chiamato in obitorio e ha raccontato: “Mi hanno convocato per il riconoscimento di due miei nipotini”»
Cavalli
Gianluca Monti amava vivere a Casamicciola per avere un contatto più stretto con la natura. In particolare, adorava i cavalli e per questo si era trasferito lì, dove aveva trovato lo spazio necessario per allestire una piccola stalla. Una passione che aveva trasmesso ai figli e alla moglie. Il cavallo, con il quale Gianluca percorreva i sentieri che si inerpicano sull’Epomeo in cerca di legna da ardere o di funghi, è stato trovato morto, trascinato a valle dalla frana, al contrario di due muli che sono sopravvissuti [Rep].
Preghiera
Nikolinka Glancheva Blagonka, detta Nina, 58 anni. Nata a Pazardzhik, in Bulgaria. Due figli grandi, rimasti in Bulgaria. Arrivata a Ischia tanti anni fa come cameriera per la stagione. Innamoratasi di un ristoratore, Vincenzo Senese, locali in Spagna e in Germania, che a un certo punto le aveva proposto di trasferirsi a Berlino. Avrebbe voluto chiedere la cittadinanza italiana. Risucchiata dall’onda di fango mentre dormiva. Il suo corpo recuperato alle 17 di ieri, non senza difficoltà. Un soccorritore: «Il cadavere era ricoperto da due metri e mezzo di mota: quando siamo riusciti ad estrarla era inginocchiata, incastrata tra il letto e un comodino, e aveva le mani congiunte, quasi in preghiera».
Bilancio
Un cadavere ritrovato sabato, sei domenica. Cinque persone ancora disperse.
Obitorio
Scrive il CdS «L’obitorio allestito all’ospedale di Lacco Ameno è andato improvvisamente riempiendosi. Ora, dal momento che c’è una indagine della magistratura, è probabile che per ognuna delle vittime venga disposta l’autopsia. Quindi non è ancora possibile ipotizzare quando saranno fissati i funerali».
Cemento
La geologa Micla Pennetta, docente di Geomorfologia all’Università Federico II. «Sarebbe semplicistico ricondurre quanto è accaduto solo alla tempesta d’acqua. La colpa è del cemento. Lì c’è un terreno di natura vulcanica, ovvero poco compatto. In caso di piogge abbondanti l’acqua lo gonfia e tende a portarlo a valle. Gli alberi svolgono un ruolo fondamentale per prevenire questi fenomeni, ma ne sono stati eliminati molti per le attività antropiche. La cementificazione dei suoli ha ridotto la capacità di assorbimento delle acque, che scivolano a valle con una violenza devastante, trascinano fango ed altri materiali e creano disastri. Si è verificata una colata detritica». Non è la prima volta che accade: «È un fenomeno molto simile a quello del 2009, quando una colata rapida invase Piazza Bagni e morì una ragazza».
Soluzioni
Gli interventi che, secondo la geologa Panetta, vanno realizzati subito per evitare che si verifichino a Casamicciola nuove tragedie: terrazzamenti con rimboschimento, vasche di laminazione, canali di drenaggio.
Alternative
Luigi ha 53 anni e ha iniziato ad andare in cantiere quando ne aveva 14. «Era il lavoro di famiglia. I miei volevano che facessi la scuola ma mi sono innamorato della cazzuola». Da sfollato, fuma una sigaretta dietro l’altra e racconta l’edilizia dell’isola. La casa che si è costruito da solo ha retto. Come mai? «La frana non è arrivata e per fortuna non abbiamo avuto danni. Siamo fuori perché è inaccessibile per il fango. Quella casa ce l’ho da trent’anni. Nel lavoro sono un tipo pignolo ma come tutti quanti qui, sono stato costretto a farla in tempi rapidi. È vero, voi lo chiamate abusivismo». Ecco, l’abusivismo a Ischia: di chi è colpa «Nostra, ma qui è caduta la cima di una montagna, e una cosa del genere non c’entra niente con le case abusive». Anche se fosse, cosa da provare, ciò non toglierebbe che il problema esiste. «Non posso dire che siamo dei santi, per carità. Ma la casa non te la scegli, a volte erediti un terreno dai genitori e lì costruisci. Io lavoro per il pane e a volte penso, in coscienza, che certe case non le dovrei costruire». E perché lo fa «La questione è complicata. Adesso mi trovo in tutte e due i ruoli, quello di costruttore e quello di abitante. Avrebbero dovuto fermare tutto molti anni fa ma il sistema ci ha mangiato, andava bene a tutti. Ovunque al mondo esiste un piano regolatore ma a Ischia non c’è. Come mai? Perché nessuno si è impuntato per farlo? Non lo sa, eh? Lo dico io, perché non si potrebbe costruire da nessuna parte» [Bocci, Rep].
Fatalismo (di Fabrizio Roncone – Corriere della Sera)
I vivi cercano i morti. C’è un sole improvvisamente alto e bello senza un perché. Ha seccato il fango. Bisogna scavare piano. Adesso, qui, tutti guardiamo Totonno. È lui che manovra la ruspa. Totonno, attento, con delicatezza. Totonno, per la misericordia di Dio.
Il pollice destro di quest’uomo massiccio e ruvido è una farfalla che sfiora appena la leva della ruspa: così il braccio meccanico scende dolcemente e i denti d’acciaio quasi accarezzano la melma che è diventata una crosta sulla sabbia.
Porticciolo di Casamicciola, metà mattina.
Il timore è che qualche corpo possa essere stato trascinato fin sulla spiaggia, oppure oltre. Laggiù, nell’acqua, ancora galleggiano una Fiat Panda e una Opel Corsa. I sommozzatori dei vigili del fuoco si immergono e vanno a controllare dentro le due automobili e sotto il pontile. Sul molo, fotografi e tigì in diretta. C’è anche la tivù tedesca.
Colpisce la sostanziale compostezza degli abitanti. Il sospetto è che ci sia un diffuso, spaventoso fatalismo. Sulla Moleskine restano dichiarazioni piene di stupore per una tragedia che ha provocato — appunto — tanto stupore.
Morire perché piove. Mentre piove. Sì, e allora
È come se la maggior parte degli abitanti immaginasse, aspettasse, convivesse con la prospettiva di un simile disastro. Tutti, mentre parlano, istintivamente alzano lo sguardo verso la vetta del monte Epomeo, che la pioggia battente — l’altra notte — ha inzuppato e sbriciolato, facendo scivolare giù un fiume di detriti in burrasca.
Al bancone del bar Topless, l’unico aperto, si annusa parecchio fastidio per la storia dell’abusivismo che ha aggredito l’isola come una tigna, creando terrazze innaturali, il cemento al posto degli alberi, una casa sopra l’altra, incastrata all’altra, un presepe sbilenco che, periodicamente, tra temporali e terremoti, crolla in un fumo di macerie. Bevono un caffè, sgranocchiano una frolla, scuotono la testa: «Vi siete fissati con i condoni e sciocchezze varie. Risalga invece le strade del paese, arrivi a piazza Bagni, guardi bene in alto. Capirà cosa è davvero successo», dicono allusivi.
D’accordo: salire, vedere meglio, capire
A metà di corso Vittorio Emanuele, una signora gentile dice che dal suo balcone è possibile valutare bene larga parte della catastrofe. Fa strada dentro un vicolo stretto, arriviamo davanti a una porta: corridoio, soggiorno, terrazza chiusa su tutti i lati. Sulla destra, c’è una veranda con un’anziana seduta in poltrona: «È mia sorella, ci mancava una stanza e allora ho fatto costruire questa verandina». Scala a chiocciola, così ci ritroviamo su un ballatoio su cui affacciano due finestre: «Qui, in origine, c’era la cantina: ora l’estate ci vive mio figlio, quando viene in vacanza». Entriamo in una stanza arredata tipo sala da pranzo e, finalmente, usciamo sul balcone. Signora, perdoni: ma qui è tutto abusivo? «In che senso, tutto? Una verandina… e che sarà mai!». Creda: la favela di Salvador de Bahia, ovviamente assai più sporca, ha una struttura architettonica simile a questo pezzo di paese. «Lei sta scherzando…». No, scusi: e la cantina trasformata in appartamento? «E me lo chiama abuso? Guardi che quello, mio figlio, ad agosto si schiatta pure di caldo».
Il colpo d’occhio, in basso, è eloquente: la colata, scesa dal monte Epomeo, si è incanalata in quattro strade diverse. Una è soprannominata via della Lava. «E sa perché?» — questa è la voce di Giovanni Mattera, 65 anni, fino a pochi mesi fa comandante dei vigili urbani. Punta il dito verso la montagna: «Perché sono secoli che, da lassù, l’acqua fangosa scivola verso il mare. Però i nostri vecchi erano saggi: e avevano costruito ben tre canali di scolo, che impedivano all’acqua di stagnare, accumularsi e poi precipitare. Vede: il terreno di questa montagna non è mica diventato improvvisamente argilloso. Lo è sempre stato».
L’ex comandante — «Dia retta: il problema, perciò, non è quel po’ di abusivismo che pure c’è» — si rivolge ad un suo amico, e gli chiede di mostrare le foto che ha sul cellulare: sono foto in bianco e nero, anno 1936; un lavoro di ingegneria con i fiocchi. «Purtroppo non c’è più stata manutenzione e i canali, le “briglie”, come le chiamiamo noi in dialetto, sono state sommerse dalla vegetazione. Ecco spiegato la causa del disastro».
Non solo
Ovunque il fiume di fango abbia trovato un ostacolo, e sia stato costretto a deviare la sua corsa, ha lasciato cumuli di detriti: rami secchi e rocce, ma anche scaldabagni arrugginiti, carcasse di lavatrici e frigoriferi, divani sfondati. Gli abitanti, ai piedi della montagna, avevano costruito una diga di rifiuti.
Sono responsabilità che si intrecciano, difficili da conoscere, e riconoscere. L’ultima volta che lo Stato provò ad abbattere una villetta abusiva di 70 metri quadrati lungo la via Borbonica, che collega il comune di Lacco Ameno con Casamicciola, ci furono tafferugli con la popolazione, sette agenti feriti. Però se provi a ricordarlo, quell’episodio, così emblematico, ti guardano storto: proprio adesso?
Sì, certo, per forza: soprattutto adesso. Mentre arriva la notizia che hanno trovato la settima vittima, ed è il terzo bambino: un neonato, questo, di 22 giorni; Giovangiuseppe Scotto Di Minico, ancora nel suo pigiamino di flanella. Non lo sapeva dov’era nato, piccolo amore. Non sapeva di dormire sotto la montagna che si scioglie, e frana, e uccide.
Tre bare bianche.
Nessuno speri di cavarsela con un Atto di Dolore. (Fabrizio Roncone)
Abusivi (di Marcello Sorgi) La Stampa:
Prima che la questione – subito, in risposta a interrogazioni – approdi in Parlamento, occorrerà mettersi d’accordo su un punto: è inutile piangere, versando lacrime da coccodrillo: siamo un popolo di abusivi. E abbiamo avuto e continuiamo ad avere una classe dirigente – non proprio tutta ma neppure esclusivamente locale, come quella di Ischia e della Campania – che in nome della “necessità” ha incoraggiato e legittimato l’abusivismo negli ultimi quasi quarant’anni, dal 1983 – quando il governo Craxi annunciò per la prima volta un decreto per rilegittimare le costruzioni abusive, con l’obiettivo di risanare, almeno in parte, i conti pubblici – a oggi.
Se poi di condono in genere, e non solo edilizio, si vuol parlare, si può risalire indietro di altri dieci anni, al 1973 del IV governo Rumor che varò una delle tante sanatorie fiscali (allora non c’era la fantasia di definirle «scudo»). Di lì in poi, la cadenza subì un’accelerazione: 1982, governo Spadolini e nuovo condono per gli evasori; 1985, il già citato provvedimento del governo Craxi.
Nel 1991, nuova sanatoria fiscale del VI governo Andreotti; 1995, doppio condono, edilizio e fiscale, del governo Dini; 2003, nuova doppietta, stavolta di Berlusconi, che replica nel 2009 con la norma per agevolare il rientro dei capitali, cosiddetti «scudati», illecitamente portati all’estero, per arrivare a quello piccolo, rinominato da Draghi «delle multe», dell’anno scorso.
Complessivamente, secondo un antico calcolo della Cgia di Mestre, giudicato ottimistico da altri osservatori tecnici, i condoni di qualsiasi tipo in tre decenni, fino a Berlusconi, avrebbero portato nelle casse dello Stato 104,5 miliardi di euro, meno di quanti ne sottragga (anche in questo caso la stima è limitata) l’evasione fiscale in un solo anno. Un pessimo affare. Anche se c’è chi dice, non si sa se per celia o sul serio, che al conto bisognerebbe aggiungere, aggiornandolo alla valuta odierna, il ricavato in sesterzi del primo, primissimo condono, voluto nel 119 dopo Cristo dall’imperatore romano Adriano.
Ma al di là della convenienza economica inesistente per i governi e il Paese, e dei rischi per le popolazioni di abitanti di case edificate illegalmente, in spregio alle più elementari regole di sicurezza, è interessante ricostruire la genesi politica di questo genere di provvedimenti, varati sempre senza quasi opposizione – anzi, in una sorta di regime di unità nazionale – e riproposti, rimodellati e ampliati localmente, come appunto è accaduto in Campania per la legge del governatore De Luca (impugnata a suo tempo dal governo Gentiloni di fronte alla Corte costituzionale) e come stava per accadere in Sicilia per le case al mare costruite sulla battigia. Se si esclude una piccola pattuglia di coraggiosi giornalisti come Antonio Cederna, Mario Fazio, Gianantonio Stella, Sergio Rizzo, associazioni povere di mezzi come, ma non solo, Italia Nostra, e i Verdi, ma non tutti, nessuno ha fatto battaglie vere contro l’abusivismo. Ai tempi dello storico decreto Nicolazzi – il ministro dei lavori pubblici di Craxi che concepì la prima sanatoria nazionale e ne reiterò il decreto per 21 volte, anche per dilatarne i tempi di efficacia –, in Parlamento, formalmente, si opponeva il Pci. Ma nelle piazze era il sindaco comunista di Ragusa Paolo Monello a guidare le manifestazioni degli abusivi «per necessità». Monello, antesignano dell’esponente marxista leninista Gennaro Savio – che portò in piazza 600 dei 27 mila abusivi di Ischia nel 2010, minacciando di far saltare le elezioni regionali e ottenendo dall’allora ministra Mara Carfagna e dal candidato, poi eletto governatore della Campania, Stefano Caldoro la promessa di un nuovo decreto per bloccare le demolizioni – era stato il primo a coniare gli slogan più espliciti e efficaci della lotta contro l’antiabusivismo, tipo «Il popolo costruisce, il governo demolisce», oppure «No all’adeguamento antisismico», che sarebbe quasi un invito al suicidio legalizzato, stando a quel che è accaduto a Ischia negli ultimi sedici anni e ai terremoti verificatisi, dopo Belice, Friuli e Irpinia, nel periodo successivo, dall’Umbria all’Abruzzo al Centro Italia, con migliaia di vittime, senza-tetto e case crollate anche con scosse di media entità, alle quali, come a Ischia nel 2017, avrebbero dovuto invece resistere.
Nell’isola, dal 1981 al 2006 sono stati costruiti oltre centomila vani abusivi; nel solo 2004 e soltanto nel comune di Forio sono stati sequestrati 200 cantieri fuorilegge; una famiglia ischitana ogni 2,5 (in pratica quasi tutte, considerando cuginanze e parentele di secondo grado) ha chiesto il condono. Nel resto d’Italia nei quindici anni tra il 1982 e il ’97 i nuovi manufatti abusivi sono stati quasi un milione (970 mila). Un’enormità del genere non ha eguali in Europa, forse perfino nel mondo.
E dopo il pentapartito e i comunisti negli Anni Ottanta, i marxisti-leninisti nei Novanta e il centrodestra all’inizio del millennio, sono stati i 5stelle, in Sicilia, a unirsi al partito unico nazionale dell’abuso. Lo ha fatto, pur vantandosi di aver fatto prima demolire una palazzina da 700 metri quadri di un mafioso, l’allora sindaco stellato di Bagheria Patrizio Cinque, autore di una delibera comunale che avrebbe dato abitabilità provvisoria alle costruzioni abusive occupate per necessità; e lo hanno fatto, negli stessi termini, l’allora candidato governatore M5s della regione Bernardo Cancellieri, spalleggiato dall’aspirante premier Luigi Di Majo, negli stessi giorni in cui il sindaco Angelo Cambiano, l’unico a battersi davvero per l’abbattimento delle orrende villette costruite sulla spiaggia siciliana di Licata, veniva fatto fuori in consiglio comunale da una maggioranza trasversale. E riceveva la solidarietà dei comici Ficarra e Picone, protagonisti del film “L’ora legale” che sembrava una parodia della sorte del primo cittadino, ma è stato notevolmente superato dalla realtà. Così che non c’è alcun dubbio sul fatto che – quali che siano le posizioni che verranno fuori dal prossimo dibattito parlamentare – ogni decisione sarà presa a partire dalla garanzia che tutte le costruzioni rimaste in piedi dopo la frana e l’alluvione di due giorni fa, in un modo o nell’altro saranno salvate dal partito unico pro-abusivismo.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)