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Attualità

Una lettera scritta dal carcere di Volterra (che accusava la moglie di adulterio) fece scalpore all’epoca dei fatti per lo scandalo nella terra dell’onore di Ferdinando Terlizzi

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Una lettera scritta dal carcere di Volterra (che accusava la moglie di adulterio) fece scalpore all’epoca dei fatti per lo scandalo nella terra dell’onore di Ferdinando Terlizzi

“Al signor Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Il sottoscritto Francesco Borriello da Casal di principe, domiciliato in via Larino 34, attualmente ristretto nelle carceri di Volterra (Pisa)  espone formale querela per il reato di adulterio e per tutti i reati che la signoria vostra illustrissima riscontra nell’istanza contro mia moglie Iolanda Galoppo fu Domenico nata a Casal di Principe. Nel mese di dicembre del 1955  e nei primi mesi del gennaio 56 allorquando ero detenuto nelle carceri di Trentola nel corso di vari colloqui con i miei figli minori e con alcuni parenti di mia moglie e tramite corrispondenza postale venni  a conoscenze che mia moglie aveva una continua relazione adulterina con tre fratelli a nome Ulderico, Vincenzo e Umberto Panaro, tutti da Casal di Principe che abitavano di fronte all’abitazione di mia moglie. Feci del tutto per avere rapporti buoni con mia moglie per poterla condurre alla confessione. Mia moglie, venne a colloquio e mi affermò testualmente: “Effettivamente vado spesso nella casa della famiglia Panaro come tutti in  paese dicono e ti confermo che in quella casa vado anche ballare e andai anche a Benevento in macchina con loro a casa della fidanzata di Ulderico ma voglio il perdono”. Il giorno dopo dalle carceri di Trentola fui associato alle carceri di Santa Maria Capua Vetere,  di transito,  per raggiungere le carceri di Volterra. In occasione del mio transito mia moglie venne di nuovo a trovarmi al colloquio e mi disse: “Sono qui per confessarti la verità, allo stato mi trovo in stato interessante. A Trentola non ho avuto il coraggio di parlare, ora confesso; effettivamente ho avuto relazioni con i tre fratelli Panaro però tutta la colpa è tua che sei andato in galera; tuttavia la maggiore responsabilità di tutto il fatto che mi è accaduto – che ha rovinato la mia vita e quella dei miei figli – è della madre dei Panaro. Infatti lei spesso mi veniva a chiamare e portandomi a casa sua mi incitava ad accontentare sessualmente a turno i suoi figli. Un giorno che eravamo soli il figlio Ulderico mi possedette in varie posizioni… io svenni e lui fece tutti i suoi comodi. Da allora nacque una relazione stabile. Dopo però il giovane andò soldato e da allora cominciarono a darmi fastidio gli altri due fratelli. Gli stessi praticavano il ricatto dicendomi che se non avessi continuato la relazione con loro ti avrebbero informato appena tu saresti uscito dal carcere. Della relazione con i tre fratelli  – disse ancora mia moglie – sono costretta a raccontarti tutto perché sono incinta di circa tre mesi”.  Ma il 21 dicembre del 1955 il Pretore di Trentola emetteva sentenza assolvendo con la formula “per non aver commesso il fatto”, nei confronti della Galoppo e dei suoi presunti amanti. Francesco Borriello sporgeva formale querela contro la moglie Iolanda Galoppo per il reato di “adulterio”. Assumeva il querelante che attraverso alcuni parenti della moglie dal cognato Carmine Iaiunese  della relazione della stessa con un certo Edurduccio o’ pittore ed altre persone di cui non sapevo indicare le generalità. Rinviati a giudizio per risponde del reato loro ascritto la Galoppo e il suo presunto amante – identificato poi per  Eduardo Scalia  – si professavano innocenti. La parte lesa confermava la sua querela senza poter fornire più precisi elementi di prova contro la moglie. Si vociferava infatti in paese che la Galoppo aveva avuto rapporti con molti uomini in assenza del marito. Amedeo, Anna e Alfonsina Galoppo, tutti sentiti dal magistrato – esclusero  in modo più assoluto che la condotta della sorella in assenza del marito fosse stata  contraria alla morale. Il teste Giovanni Caterino nel corso di un  confronto negava di aver propalato notizie deleterie sulla moralità della donna. I carabinieri con loro rapporto confermavano che si trattava di dissidio tra famiglie e che non vi era la prova certa della infedeltà della donna. Tuttavia, però, restava la macchia “come una lettera scarlatta”  la confessione fatta nel carcere al marito detenuto.

La Galoppo  premeditò l’aggressione contro la Letizia col fermo proposito di ucciderla perché accusava la stessa di volerle procurare un aborto per nascondere la relazione avuta con il figlio Ulderico

Né l’accusa può trovare conforto nei testi indicati dalla Galoppo: Alfonso Puoti, Caterina Prezioso Graziano Prezioso i quali hanno concordemente deposto di non aver mai parlato della donna con la madre dei Panaro signora Angelina Letizia: argomentazioni tutte corroborate dalla missiva in atto dei carabinieri di Casal di principe che così conclude: “Tanto il Borriello che la Galoppo sono più che capaci di commettere qualsiasi reato non escluso quello di calunnia”. Nessun credito, quindi, può trovare l’altra fantasiosa accusa lanciata contro la signora Letizia, relativa al procurato aborto, smentite dagli accertamenti generici ma, soprattutto, inconcepibile per il buon nome e la moralità dei Panaro, stimata e benestante famiglia di Casal di principe.  Anche la difesa della Galoppo e del Borriello si mosse con i fogli illustrativi. “Nell’interesse di Iolanda  Galoppo presa visione degli atti, mi onoro sottoporre alla signoria vostra – scrisse all’avvocato Carlo Cipullo in difesa della donna – delle osservazioni che ineluttabilmente impongono il rinvio a giudizio dell’imputata per il reato di tentata lesione e non per quello di tentato omicidio, mancando di questa fattispecie tutti gli elementi costitutivi. Benvero non si ravvisono nel fatto né atti diretti, in modo non equivoco, a commettere il delitto contestato, né una volontà di realizzarlo con gli atti compiuti. Nel momento in cui la Galoppo fu arrestata altri quattro colpi furono rinvenuti nel  caricatore della sua arma; e questo è un altro elemento, che conferma quanto si è esposto, perchè chi vuole uccidere non lesina sul numero dei colpi, ma esplode tutti quelli che ha a sua disposizione, senza esitazioni o incertezze, pur di causare l’evento, voluto.  Si vuol far credere ancora con uno testimoniale più che compiacente, che i colpi furono sparati quando la Letizia stava a terra e che a questo punto l’imputata  ritenendola colpita abbandonò l’impresa fuggendo. Tutto ciò è viziato dal livore di persecuzione e vendetta contro una donna, che pure ha una sua buona parte di ragione. Infatti chi sta sotto il tiro di una pistola e cade non certamente rimane immobile, ma cerca di rialzarsi  e di fuggire; e ciò indiscutibilmente fece la Letizia alla presenza dell’imputata, che raggiunto ormai lo scopo di intimidire la propria avversaria si astenne da ulteriori azioni, pur avendo una pistola ancora carica.  Non vale la pena di confutare il tentativo di far credere che la Galoppo avesse da tempo in animo di uccidere la Letizia e che prima di sparare avesse detto: “Mucione…lo sai che devi morire“. Ciò è smentito dalle modalità del fatto, non idonei a concretizzare la  frase, che ad ogni costo si vuol far dire alla Galoppo,  che invece, come affermano i  testi Filiberto Buonpane  e Luigi Natale nulla pronunciò né prima nè durante gli spari.  Giustizia quindi va fatta attenendosi a quelli che sono i fatti così come risultano attraverso la perizia generica e la parola della stessa imputata, che dal primo momento ho detto che la sua azione non era diretta a causare la morte della Letizia perché non voleva ucciderla. La causale è quella che dice l’imputata; e che ad essa non possono disconoscersi dei motivi umani, chi uniti a quelli giuridici impongono il suo rinvio a giudizio per il reato di tentata lesione. Solo così sarà  fatta anche per questo caso opera di alta giustizia.

 

Il processo e la battaglia sulla perizia ginecologica  – La condanna con la   derubricazione del delitto da  tentato omicidio a lesioni volontarie

In Corte di assise il processo si focalizzò sulla perizia ginecologica affidata a Michele Sanvitale, specialista in ostetricia e ginecologia con studio in Santa Maria Capua Vetere, che sottopose a visita la donna che era detenuta nel carcere sammaritano. .  “Sposata a 16 anni – scrisse tra l’altro Sanvitale nella sua dettagliata  perizia – Iolanda Galoppo ebbe 5 gravidanze a termine e tre aborti e riferisce che…dal mese di ottobre del 1955 tala Angelina Letizia, allo scopo di farla abortire, le fece ingerire in dosi rifratte per un periodo di circa due mesi, complessivamente circa 80 pillole di chinino; le fece praticare, allo stesso scopo, e nello stesso periodo di tempo, due iniezioni di un preparato di cui non conosce il nome, ma è in grado di precisare che ogni scatola conteneva due filiali che si mescolavano al momento dell’uso, ed il costo di ogni scatola era di 1500 lire. Inoltre le consigliò di bere una decozione di radici di canna, che lei assaggiò soltanto, perché di sapore amarissimo, e le fece praticare tre bagni caldi del bacino (semicupii).  A seguito di tutte le suddette pratiche  ebbe qualche dolore addominale accompagnata da vomito, ma nessuna perdita di sangue dai genitali e la gravidanza ha proseguito regolarmente. Attualmente accusa bruciori allo stomaco, iperacidità e vomito. Avverte inoltre, già da una quindicina di giorni,  dei dolori ai lombi e al bassoventre, che la paziente identifica come doglie che procedono all’abituale il parto. Urina regolarmente. Normali le funzioni intestinali. È cosa facile rispondere al primo quesito, cioè se la paziente sia incinta ed a quale mese. La donna presenta un aumento di volume dell’utero il cui fondo raggiunge quasi la ragione epigastrica; con la palpazione si avvertono nettamente i movimenti attivi del feto; con l’ascoltazione si trovano tanti rumori e battito cardiaco fetale. Il possesso di tutti  i sintomi noi possiamo senz’altro porre la diagnosi certa di gravidanza, la quale, come si sa, è fondata principalmente sui segni obiettivi che provengono dal feto.  In quanto al secondo quesito se vi siano stati tentativi di aborto da quando la paziente riferisce ci sono stati. Si tratta piuttosto di stabilire se i mezzi  adoperati fossero stati idonei o no a provocare l’aborto. In definitiva Iolanda Galoppo si trova attualmente al nono mese di gravidanza. I tentativi di aborto praticati di lei nelle proporzioni e dosi adoperate non erano idonei a provocare l’aborto né  direttamente né indirettamente. La Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Prisco Palmiero, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere, consigliere; Vincenzo Caladonato, Vincenzo Cinquegrani, Marina Vitelli, Giovanni Bosco, Francesca Della Tartaglia e Angela Letizia, giudici popolari) condannò la Iolanda Galoppo ad anni 2 di reclusione per tentato omicidio, mentre per il reato di adulterio giudicato dal Pretore di Trentola tutti gli accusati erano stato assolti per insufficienza di prove. Nei processi furono impegnati gli avvocati: Giuseppe Irace, Carlo Cipullo, Gennaro Fusco, Michele Verzillo  e Giuseppe Garofalo. 

 

 

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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