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Guy Debord. Uomo merce, tecnologia e società. Il situazionista “dottore in niente” aveva capito tutto

DI MASSIMO NOVELLI

3 OTTOBRE 2022

Debord, morto suicida quasi trent’anni fa, descrisse in La società dello spettacolo (1967), e nei Commentari sulla società dello spettacolo (1988), la natura della società capitalistica, che è esattamente quella in cui viviamo: cioè un’esistenza in cui tutto è inautentico, il falso è diventato il vero, e dove domina la merce, che “contempla se stessa in un mondo da essa creato”. La “merce – dice Debord – è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale”. Ciò che la produzione impone domina le nostre esistenze, i nostri consumi, il nostro tempo. Espropriato da sé, dalla sua natura, l’uomo è merce tra le merci. Così l’avere e l’apparire hanno cancellato l’essere, si abita un universo segnato da “il continuo rinnovamento tecnologico; la fusione economico-statale; il segreto generalizzato; il falso indiscutibile”, e da “un eterno presente”, che significa la fine della storia. Per qualcuno i testi di Guy Debord, come la Società dello spettacolo, sono tra i libri indispensabili per capire il nostro tempo, assieme a 1984 di Orwell e a Il mondo nuovo di Huxley. Scriveva: “Invertendo una famosa formula di Hegel notavo già nel 1967 che ‘nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso’. Gli anni trascorsi da allora hanno dimostrato i progressi di questo principio in ogni campo particolare, senza eccezioni”. E nei Commentari annotava: “Perciò non c’è da stupirsi che fin dall’infanzia gli scolari comincino facilmente, e con entusiasmo, dal Sapere Assoluto dell’informatica; mentre ignorano sempre più la lettura, che richiede un autentico giudizio ad ogni riga; e che è l’unica attività che permette di accedere alla vasta esperienza umana prespettacolare. Perché la conversazione è quasi morta, e presto lo saranno molti di quelli che sapevano parlare”.

I due libri di Debord sullo spettacolo, ha osservato il filosofo Giorgio Agamben, “costituiscono l’analisi più lucida e severa delle miserie e della servitù di una società – quella dello spettacolo, in cui viviamo – che ha esteso oggi il suo dominio su tutto il pianeta”. Essi, continua, vanno “usati come manuali o strumenti per la resistenza o per l’esodo”. A un certo punto Debord volle uscirne fuori, un esodo dalla vita non solo per questioni private e legate alla sua salute, e si sparò. Felice Piemontese in Dottore in niente, un libro che gli dedicò anni fa, un romanzo da leggere assolutamente, scrive: “Allora si uccise, perché gli sembrò che sforzarsi semplicemente di sopravvivere contraddicesse tutto ciò che la sua esistenza aveva voluto essere”.

FONTE:

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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