Sufficienza della legalità formale quando il soggetto regolatore è un organo rappresentativo della comunità. Parte IV
L’art. 7 del T. U. recita che: «nel rispetto dei principi fissati dalla legge e dallo statuto, il Comune e la Provincia adottano regolamenti per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e l’esercizio delle funzioni».
Con la generica formulazione «per l’esercizio delle funzioni» che conclude l’art. 7 del T.U., si è riconosciuto a Comuni e Province un’amplissima potestà regolamentare che si estende a tutte le funzioni di competenza: è, quindi, sia alle funzioni proprie attribuite dalla legge statale che a quelle delegate dalle Regioni, per finire alle funzioni spontaneamente assunte nell’esercizio della propria autonomia esponenziale che si caratterizza con l’emanazione dei regolamenti indipendenti.
Per completezza si fa riferimento che tra i regolamenti indipendenti possono rientrare tra l’altro anche quelli edilizi previsti dalla legge urbanistica, nonché alcune norme del codice civile.
Da questa opera di ricostruzione si ricava che gli enti locali possono emanare regolamenti indipendenti nel rispetto del principio di legalità formale negli spazi concessi dal nuovo titolo V della Costituzione, dalla legge ccdd. La Loggia e dagli statuti degli enti locali.
La lett. c) del primo comma dell’art. 17 della L. 400/1988 prevede che possono essere emanati dal Governo i regolamenti indipendenti nelle materie prive di «disciplina da parte di leggi o atti aventi forza di legge» e che non siano «comunque riservate alla legge».
I regolamenti indipendenti emanati dal Governo rappresentano una categoria molto discussa dalla dottrina. Alcuni ritengono che siano incompatibili con la Costituzione, altri, invece, ritengono tale compatibilità possibile in base al principio della legalità formale.
È stato affermato che l’ostacolo principale ad accettare l’ingresso di tale tipologia di atti nell’ordinamento giuridico italiano è costituito dal principio di legalità, non solo quando lo si intenda in senso sostanziale ma anche quando si voglia attribuirgli significato solo formale: anche in questo secondo senso il principio richiederebbe per l’emanazione di regolamenti indipendenti un’attribuzione specifica di potere e non potrebbe, quindi, ritenersi soddisfatto dal disposto che si commenta che sembrerebbe solo una previsione generica oltre che generale. Si sostiene che l’incostituzionalità dei regolamenti indipendenti discenderebbe, in particolare, dall’esigenza dell’esistenza di una previa norma idonea a costituire un parametro di riferimento per la loro sindacabilità; per effettuare il controllo giurisdizionale è necessario che una previa legge delimiti il potere conferito e costituisca un parametro di riferimento per il giudice che deve sindacare.
Vi è altra parte della dottrina che assume una posizione intermedia sul riconoscimento della legittimità dei regolamenti indipendenti, emessi dal Governo.
Questa dottrina fa notare che in base al principio di legalità bisogna fare una netta distinzione tra leggi che autorizzano una potestà regolamentare rispetto ad oggetti specifici indicati dalle stesse leggi e una legge che attribuisce una generale e generica potestà regolamentare, tale per cui è l’autorità regolamentare che sceglie l’oggetto da regolamentare. Il primo caso rientra nel principio di legalità formale, il secondo sta fuori dal principio di legalità e, quindi, è incostituzionale. E dunque, mentre per tutte le altre tipologie di regolamenti governativi la potestà regolamentare attribuita al Governo è sempre collegata all’indicazione dell’oggetto contenuta nella legge, anche la lettera c) che prevede i regolamenti indipendenti, per essere compatibile con i principi della Costituzione dovrebbe essere intesa come attribuzione di potere regolamentare riferito ad un oggetto indicato dalla legge, ma non disciplinato dalla stessa e quindi indipendente dalla legge, ma che sarà disciplinata esclusivamente e successivamente dal Governo.
In sostanza, questa corrente di pensiero ritiene che non è ammissibile un generale e generico conferimento di potestà regolamentare tale che sia l’autorità regolamentare a scegliersi l’oggetto da normale; una legge ordinaria che disponesse che un’altra autorità può normare qualsiasi materia di sua propria iniziativa, significherebbe il trasferimento della potestà normativa del Parlamento ad altra autorità. Questo potere può essere distribuito ad altri soggetti ma solo nei modi e nei limiti dalla Costituzione e del principio di legalità che la Costituzione implicitamente pone. Ciò è tanto vero che l’art. 76 della Costituzione pur prevedendo la delegazione della potestà legislativa prevede che essa può accadere solo per oggetti determinati.
Questa tesi dottrinaria non è completamente condivisibile, dato che chiedere per i regolamenti indipendenti un’attribuzione legislativa specifica indicando un oggetto determinato, sarebbe possibile solo a condizione di negare la stessa categoria dei regolamenti indipendenti, che attraverso una previsione caso per caso da parte della legge, cesserebbero di essere tali per spostarsi nell’area dei regolamenti esecutivi e di attuazione.
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