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Politica: a sinistra non sanno ancora distinguere fra ‘Meloni’ e le fresche e ristoratrici… ‘angurie’?

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Quando domandavano a Giovanni Malagodi, presidente del Senato ed intellettuale di spessore non comune, quale fosse la differenza tra un politico liberale ed uno di sinistra, questi soleva così rispondere: quelli della sinistra ripetono sempre gli stessi errori per trent’anni prima di comprendere ed aggiornarsi.

Una definizione emblematica, che trova, in tutta la storia del nostro Paese, puntuali e plurimi riscontri. Anzi, la situazione sembra addirittura peggiorata negli ultimi tempi.

Nel secolo scorso i partiti erano fin troppo organizzati e monolitici: avevano precisi punti di riferimento ideologico e valoriale, rispondevano al proprio elettorato già fidelizzato, perpetravano, nel tempo, la storia già vissuta, spesso drammaticamente in talune circostanze economiche e sociali.

Era quindi abbastanza ragionevole attendersi che su determinate questioni ciascuno di essi attingesse al bagaglio consolidato dei propri “convincimenti” di riferimento manifestando una tenace forma di resistenza al cambiamento di posizione.

Erano quelli i tempi in cui la politica nazionale subiva la pesante influenza delle contingenze internazionali, della contrapposizione ideologica tra l’Occidente libero e liberale e l’Oriente marxista-leninista ed internazionalista.

Il muro di Berlino e la cortina di ferro separavano nettamente le due grandi zone d’influenza geo politica: quella Atlantica con a capo gli Usa e quella comunista con a capo Mosca ed i suoi paesi satelliti.

Un mondo che per decenni era stato ingessato dalla logica e dagli interessi dei due blocchi di potere contrapposti. Con la disgregazione dell’impero dei soviet vennero meno le forze di attrazione ed i condizionamenti che la Russia aveva esercitato sugli Stati dell’Est Europa.

Attenzione però. E’ risaputo infatti che le cose che stanno insieme per contrapposizione sono destinate a cadere se una di queste viene meno. Tradotto: la dissoluzione dell’Urss comportò il venire meno anche delle ragioni dell’anti comunismo liberando da questa logica partigiana sia l’Oriente che l’Occidente.

L’introduzione di principi di liberalità, dei diritti individuali, delle libertà di stampa, di circolazione e di impresa nei paesi dell’ex blocco sovietico determinò una vasta e profonda mutazione non solo nei loro governi, eletti democraticamente, ma anche nelle classi politiche che avevano dominato la scena sotto la ferrea supervisione del Cremlino. In Italia la trasformazione progressiva dell’ex Pci in partito di natura diversa, di revisione critica (sia ideologica che politica), portò a diversi nuovi approdi e nuovi protagonisti.

Nel frattempo era cambiato anche il mondo. Le nuove tecnologie, la globalizzazione dell’economia, l’emancipazione della vecchia classe proletaria divenuta ceto piccolo borghese, determinarono l’abbandono progressivo del rigore ideologico e dei vecchi pregiudizi e con esso quello dei blocchi sociali che fungevano da elettorato di riferimento. Una rivoluzione corroborata anche dall’introduzione nei primi anni Novanta del secolo scorso, del sistema elettorale maggioritario che sviliva le politiche identitarie dei singoli partiti a vantaggio, però, delle larghe coalizioni, costituite per area politica di appartenenza.

Cambiando forma il sistema politico, dovettero, necessariamente, cambiare anche i programmi e gli interessi entro i raggruppamenti antagonisti. E veniamo ai giorni nostri. Il filosofo Massimo Cacciari, notoriamente di sinistra, testualmente ebbe ad affermare che “la destra rappresentata da Fratelli d’Italia è una destra sociale con un’identità che spesso si è affermata in tutta Europa.

Si muove sui territori affrontando problemi che la sinistra ha abbandonato da tempo come le periferie, i quartieri popolari, i ceti a basso reddito. Tematiche come scuola, lavoro, sanità dovrebbero essere riprese anche dalla sinistra”. Ne consegue che continuare a ripetere l’errore di criminalizzare lo schieramento di Giorgia Meloni con la vecchia litania di essere espressione di un Fascismo incipiente e pericoloso per l’Italia, significa ripetere il medesimo errore del recente passato.

Coagulare attorno a questo pseudo argomento intellettuali, giornalisti, opinionisti nazionali ed esteri, significa reiterare anatemi per indurre paure e ricordi ormai archiviati, tornare al più becero passato, a sistemi e metodi basati sulla falsificazione storica e sulla inconsistenza di proposte alternative a quelle che la Meloni va diffondendo. La “Pasionaria” di FdI dovrebbe essere rintuzzata con altre proposte non con gli anatemi.

Rispolverare l’anti-fascismo militante suona malinconico, inutile e ridicolo.

Dopo l’attacco del New York Time a Giorgia bollata come fascista questa è cresciuta ancora nei sondaggi perché alla gente interessa sapere cosa intende fare chi la governa non altro.

La sinistra l’avrà capito? Riuscirà a distinguere la Meloni dalle fresche e ristoratrici…angurie? Lo sapremo presto.

(di Vincenzo D’Anna, ex parlamentare – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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