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Milano. Diana (16 mesi) lasciata morire di stenti da chi l’aveva concepita: l’Italia ‘non è un Paese per madri’?

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Abbiamo sempre dato per scontato il ruolo materno, anzi, ne abbiamo fatto un mito. Qui più che altrove.
L’Italia vuole le donne madri presenti, dedicate, perfette, depositarie uniche della virtù della cura; schiaccia a suon di sensi di colpa chi è madre, mentre giudica chi non lo è, che sia per scelta o meno. Tanto che la metà delle italiane e degli italiani pensa che il ruolo più importante per una donna sia quello di prendersi cura della casa e della famiglia (Eurobarometro, 2014-2017). Così come un terzo di chi risiede nelle province italiane crede che la maternità sia l’unica esperienza che consente a una donna la piena realizzazione (WeWorld 2018).
In questo contesto una madre che ripudia suo figlio è inconcepibile. Una donna che non trova altro modo per smettere di essere madre se non uccidere il figlio è fuori dalla nostra comprensione, inammissibile. E invece, il caso di Alessia Pifferi e della piccola Diana ci ha messo di fronte alla possibilità che questo accada. Un evento che la mente non arrivava nemmeno a immaginare è diventato l’immagine vivida e tangibile di un abbandono.

A giugno 2022 Eures presentava i dati sui figlicidi: nel periodo 2010-2022, 106 casi di omicidi di figli nella fascia d’età 0-5 anni. Solo in questa fascia la percentuale di madri e di padri che commettono l’omicidio è ribaltata: nel 57% dei casi è la madre a compiere l’omicidio. I numeri per chi si intende di statistica non sono alti, ma sappiamo bene che, in casi come questi, non sono i dati a fare la salienza sociale di un fenomeno.

Mettiamo al mondo un figlio con in testa l’idea che appena lo avremo tra le braccia sarà amore incondizionato. Invece non sempre è così. A volte ci vuole tempo per fare spazio a questa nuova vita, all’identità che cambia dopo che il centro del mondo smettiamo di essere noi e i nostri bisogni, a una quotidianità in cui il peso della cura ricade sulle nostre spalle ed è sfiancante, in cui la compagna più prossima è la solitudine. Talvolta questa accoglienza non arriva. C’è un saggio diventato famoso qualche anno fa, Pentirsi di essere madre, della sociologa israeliana Orna Donath, in cui con una raccolta di interviste si parla proprio di donne che si sono pentite di aver messo al mondo dei figli. Come si può includere anche questo nella narrazione della maternità? Alcune donne non si trasformano in madri accudenti di fronte a figli non desiderati. Non iniziano a mettere questi figli davanti a tutto. Alcune arrivano ad ucciderli.

Difficoltà, pentimento e omicidio non sono sullo stesso piano, ma stanno dallo stesso lato della medaglia, quello che tendiamo a nascondere. E invece dobbiamo guardarlo a fondo. Solo così facendo potremo capire se e quanto possiamo agire per evitare casi estremi come questo. Senza giustificare o deresponsabilizzare, ma comprendendo le varie ramificazioni che l’esperienza della maternità può innestare, abbattendo stereotipi, analizzando la realtà per quello che è: libera da miti sfavillanti, piena di ombre.

(Di Alessandra Minello – ricercatrice in Demografia all’Università di Padova, il suo ultimo libro è “Non è un Paese per madri” – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

 

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