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Repubblica. Addio al gran direttore: Da Calvino al demone dei giornali: Scalfari e il suo Quarto potere

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Non solo “Repubblica”. Compagno di banco di Italo, poi l’espulsione universitari fascisti e gli anni al “Mondo”. La “bigamia” e il Gruppo Espresso.

Il giornalismo e molto, molto altro. È il titolo dell’introduzione di Alberto Asor Rosa al Meridiano dedicato a Eugenio Scalfari, scomparso ieri a 98 anni: ottimo per raccontare una vita lunghissima, che ha attraversato il 900 e ne ha scritto un pezzo di storia. Nel volume Mondadori c’è un lungo Racconto autobiografico pieno di particolari inediti.
Tutto inizia nell’aprile 1924 a Civitavecchia, in un palazzo della piazza centrale. Ci sono i panorami dell’infanzia, gli orizzonti liceali di uno studente “un po’ secchione” e apostrofato “Napoli” dai compagni di classe di Sanremo, dove nel frattempo si è trasferito con la famiglia e dove fa una conoscenza che lo segnerà: Italo Calvino. “L’ho conosciuto nell’ottobre del ’38, quando il professore di latino e italiano, un dotto e severo sacerdote, chiamò l’appello degli alunni della prima C del regio liceo Cassini. Fummo destinati allo stesso banco e da allora, per tre anni, vivemmo insieme a scuola e fuori”.
C’è la famiglia: una mamma romantica e dolce e il padre, dirigente al Casinò, che alla fine degli anni Trenta si convince a mandare il figlio a Chianciano a fare il croupier. Eugenio cresce, il Regime anche.

Tra le prime esperienze giornalistiche, mentre studia Giurisprudenza, c’è Roma Fascista, organo del Gruppo Universitario Fascista (Guf). Scriverà lui stesso: “Io ero fascista. Ero cresciuto nel fascismo come tutti i giovani della mia età. Il liceo mi aveva fornito una piattaforma culturalmente autonoma dalla politica ma non alternativa, erano due parallele, la cultura e la politica, fino a quando sotto la spinta dei fatti si incontrarono e si scontrarono” (all’inizio del ’43 alcuni corsivi non firmati gli costano l’espulsione dal Guf). Al referendum a cui dobbiamo la forma repubblicana, poi, il futuro fondatore di Repubblica votò monarchia.

Nel 1947 comincia a lavorare per la Bnl, ufficio estero. L’Italia, ridestata dagli anni bui della dittatura, è in fermento. Scriverà Nello Ajello per gli 80 anni di Scalfari: “Con la nascita del Mondo, 1949, l’ingresso del giovane bancario-giornalista nel gruppo più esclusivo della Capitale può dirsi acquisito. Far parte di quella équipe, scrivere sul settimanale, cooperare alle sue iniziative – albeggiano i convegni del Mondo – significa legarsi a una sorta d’Olimpo, popolato da figure oracolari, artisti di gran nome e begli spiriti”. Da questo milieu nascerà forse il suo libro più bello, La sera andavamo in via Veneto.

Nel 1950 si sposa con la figlia del giornalista Giulio De Benedetti, Simonetta. A lei e all’altro grande amore della sua vita (Serena, già segretaria di redazione all’Espresso, sposata dopo la morte della moglie) Scalfari ha dedicato parole difficili: “In piena coscienza ho vissuto la fatica della bigamia. Sapendo la fatica, ben maggiore, che si sono assunte le mie compagne. Sapevano l’una dell’altra. Provavo a stare con una sola. Ma era come se tentassi di tagliarmi una gamba”.

Nel 1955 partecipa alla fondazione del Partito Radicale, da cui si distaccherà litigando col gruppo dirigente. Se ne trova traccia in un epistolario tra Pannunzio e Leo Valiani, Democrazia laica (Aragno). In due missive dei primi Sessanta, Pannunzio racconta a Valiani la frattura con Scalfari: “Instabile, femmineo, esuberante. Non ha veri legami o affinità ideali e morali con nessuno. Tutto è strumentale, utilitario; tutto deve servire alla sua splendida carriera. Ha sempre avuto la sensazione di perder tempo stando con noi”.

Intanto nel 1955 è cominciata l’epopea dell’Espresso: Scalfari è direttore amministrativo, dal ’63 anche responsabile: il settimanale è un successo a cui contribuiscono polemiche e scoop come la scoperta del “Piano Solo”, un progetto di golpe dei carabinieri la cui rivelazione costa a lui e Lino Jannuzzi una condanna, aggirata nel 1968 grazie all’elezione in Parlamento col Psi.

Nel 1976 Scalfari vara l’operazione più importante, Repubblica, di cui per anni fu la santa trinità – fondatore, direttore ed editore – pulpito da cui visse in prima persona la lunga guerra giudiziaria con Silvio Berlusconi.

Il quotidiano nasce corsaro, con l’ambiziosa missione di “ristrutturare” la sinistra italiana e, a questo fine, capace di alleanze tattiche come quelle con Enrico Berlinguer (celebre l’intervista sulla “questione morale” proprio a Scalfari) o con Ciriaco De Mita (in funzione anti-Craxi). Si era dimesso dalla direzione nel 1996, ma aveva continuato ad andare in ufficio e, da buon “illuminista”, a festeggiare ogni anno il 14 luglio, giorno della presa della Bastiglia. Proprio quello in cui è morto.

(Di Silvia Truzzi – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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