Don Felipe: l’italo-venezuelano che rese grande la sua terra d’origine
La lunga e dolorosa storia delle emigrazioni, delle fughe, delle speranze verso mondi nuovi e sconosciuti, noi italiani la conosciamo molto bene. Come già raccontato in precedenti articoli (si leggano La diaspora italiana nel mondo: dalle valigie di cartone alle nuove città italiane oltreoceano e I soldati italoamericani e il fenomenale turismo di ritorno nei luoghi d’origine), siamo stati un popolo di massiccia emigrazione, un costante flusso partito e sviluppatosi principalmente tra fine ‘800 ed i primi decenni del ‘900, per buona parte organizzato verso Europa e Americhe, inizialmente proveniente quasi esclusivamente da Veneto, Friuli, Lombardia e Piemonte, regioni afflitte da carenza di terra e da povertà, poi allargatosi copiosamente pure all’ugualmente poverissimo sud. Una fuga possibile anche a causa della necessità di mano d’opera a basso costo in diversi paesi d’oltreoceano, citiamo ad esempio Brasile, Argentina e Venezuela, capace di sopperire all’abolita schiavitù per coltivare sterminati campi o costruire infrastrutture e palazzi simbolo dei Paesi d’oltreoceano. Ma nonostante gli umilianti riti d’ingresso a New York, emblema della spietata società statunitense, ed altre problematiche incontrate approdando nei nuovi mondi, il genio italiano ed il duro lavoro consentirono spesso il tanto atteso riscatto. Molti nostri conterranei riuscirono nell’impresa di diventare facoltosi imprenditori, alcuni addirittura personaggi politici in terra straniera, altri vere e proprie star della comunità italiana all’estero. Tra questi, dopo esser partito per il Venezuela a 15 anni, con uno dei bastimenti della disperazione e un misero biglietto di terza classe, si ricorda il figlio di Montesano sulla Marcellana (SA), il conosciutissimo Don Felipe, più semplicemente Filippo Gagliardi, l’uomo della provvidenza per tanti territori italiani nel dopoguerra.
Devoto alla madre Mariannina, che gli infuse la forza necessaria a superare le avversità, il Gagliardi approdò a Caracas, capitale del grande Paese sudamericano, dove nell’ambito del fervente settore edilizio diventò uno degli imprenditori di successo più in vista del ‘900. A riprova di tale scalata sociale, ma soprattutto dell’importanza acquisita da Don Felipe nel mondo venezuelano, si annovera sia la costruzione del suo quartier generale, denominato Palazzo Roma, dove creò una vera e propria comunità di connazionali e parenti fidati, sia la fortissima amicizia con il “generalissimo” Marcos Pérez Jiménez, diventato Presidente del Venezuela tra il 1953 ed il 1958. Ma la storia del Gagliardi si trasformò in leggenda proprio nella sua Italia dove, tenendo fede alle promesse fatte prima di andare al di là dell’Atlantico, fece ritorno più volte da “Zio d’America” elargendo fondi per costruire ex novo edifici fondamentali per le comunità italiane. Infatti, va ben sottolineato, Don Felipe non si limitò a far rinascere il territorio d’origine, la provincia di Salerno, ma arrivò a dare contributi anche in altre zone dello Stivale, come i 100.000 dollari americani messi a disposizione della comunità del Polesine e dei fratelli del nord, vittime della tremenda alluvione del 1951.
Montesano sulla Marcellana, però, insieme alla madre, fu sempre il primo pensiero della sua esistenza. A questo territorio del salernitano, situato al confine con la Lucania, sui Monti della Maddalena, il suo illustre cittadino donò la necessaria Caserma dei Carabinieri, intitolata “Mamma Gagliardi” esattamente come l’Asilo comunale, sempre costruito grazie ai fondi di Don Felipe. Ma la sua “mano della provvidenza” permise perfino una vita più umana a tante famiglie del territorio, ad esempio con l’edificazione di oltre un centinaio di case per i poveri della comunità locale, sebbene uno dei grandi segni della sua presenza fu la costruzione del fondamentale Acquedotto comunale.
Il suo lascito più tangibile, però, è quello che ancora oggi caratterizza non solo il territorio del salernitano ma, dobbiamo ricordalo, l’intero Bel Paese. Siamo abituati a pensare che chiese e architetture di elevato pregio e bellezza siano sempre un’eredità artistica del passato, ma a Filippo Gagliardi riuscì nell’impresa più difficile per gli italiani del dopoguerra: costruire un tempio religioso moderno stilisticamente perfetto.
La chiesa di Sant’Anna, caratterizzata anche dalla presenza di un busto che ritrae mamma Mariannina nella piazza antistante, leit motiv costante della vita di questo magnate italiano, è la vera perla custodita a Montesano sulla Marcellana, una struttura imponente in stile tardogotico costruita tra il 1954 ed il 1959, tra l’altro mutuata dalla Iglesia de San Juan Bautista a Valera, completata nel paese sudamericano praticamente a ridosso dell’inizio dei lavori della grandiosa opera in Italia, sebbene siano state di riferimento anche altre imponenti strutture venezuelane simili, tra cui è possibile ricordare la bella e famosa Iglesia de Nuestra Señora de Lourdes a Caracas.
Citato perfino dal premio Nobel Gabriel García Márquez, in un capitolo delle sue “Cronache” intitolato L’ultimo trucco di Gagliardi, proprio mentre lo scrittore colombiano era corrispondente a Caracas (1957-1959), Don Felipe fu anche ideologo quasi estemporaneo o, potremmo dire, estremo. Inquieto e ambizioso nei progetti politici, ipotizzò addirittura di trasformare il comune di Montesano in un territorio indipendente da chiamare “Repubblica dei Gigli Bianchi“, una specie di San Marino del Sud Italia, raggiungendo l’apice con il tentativo di sponsorizzare il tanto discusso Ponte sullo Stretto di Messina, struttura che avrebbe dovuto unire la penisola con la Sicilia e consentire il riscatto della Trinacria.
Insomma una storia, quella di Gagliardi e delle sue opere, che vale la pena toccare con mano andando a visitare la piazza a lui intitolata ed una delle più grandiose chiese costruite nel dopoguerra in Italia. Montesano sulla Marcellana, tra l’altro vicina ad un altro grandioso luogo di cultura e religione come la Certosa di Padula, vi aspetta per mostrarvi una delle storie di successo di quei figli espatriati e diventati grandi senza dimenticare origini e concittadini. Allora che fate, non andate?
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