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Attualità

Tra i grandi di Francia

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È stata un personaggio storico dalle mille sfaccettature, una famosa ballerina con i capelli cortissimi, top e gonnella di banane, abbigliamento futuristico per gli Anni Venti, anni in cui raggiunse l’apice del successo e della popolarità, in Francia e nel resto d’Europa. Ha dedicato una vita intera, con grinta, determinazione, sangue freddo e coraggio, alla difesa dei diritti civili delle minoranze etniche, contro la segregazione razziale, ed all’ideale di libertà femminile. Un’artista militante che, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, volle impiegare il proprio denaro per finanziare la Resistenza, arruolandosi nei Servizi Segreti della Francia Libera di Charles de Gaulle. E per tutti questi motivi, nel 1961 ricevette la massima onorificenza francese, la “Légion d’Honneur”, istituita da Napoleone Bonaparte nel 1802.
Dopo anni di riflessioni, a partire già dal 2013, anni di ripensamenti, di petizioni popolari, coronate dal raggiungimento di trentottomila firme, il 21 luglio 2021, Emmanuel Macron ha annunciato alla nazione l’unanime decisione del governo, di dare seguito alla pantheonizzazione di “questa figlia di Francia, che si è battuta per la libertà, l’integrazione ed il ruolo delle donne nella società”, parole che quel giorno, il “Le Monde” ha riportato letteralmente in prima pagina ed a caratteri cubitali.
Josephine Baker, al secolo Freda Josephine McDonald, era nata il 3 giugno 1906 a Saint Louis, nel Missouri. All’età di otto anni, aveva iniziato a lavorare in una ditta di pulizie, assieme alla madre, ed a nove, aveva già più volte calcato alcuni palcoscenici di modesti teatri di periferia. Il giornalista Laurent Kupferman, nel suo documentario a lei dedicato per l’evento, dal titolo “Josephine Baker, a French Destiny”, ha commentato: “Capì da subito quello che avrebbe voluto fare”. Infatti, appassionata di musica e di ballo, discipline che aveva nel sangue, ancora adolescente, si era trasferita a New York ed aveva iniziato ad esibirsi, danzando in una compagnia tutta afro-americana. Nel 1925, durante uno di quegli spettacoli, fu notata da un talent scout parigino che, senza fatica, la convinse a seguirlo nella capitale francese. Aveva diciannove anni. Nel documentario, viene evidenziato come “l’amore, per quel Paese, iniziò non appena scese dalla nave”, nel porto di Marsiglia. Nel prendere il treno per Parigi, un tale le aprì lo sportello del vagone e le porse il proprio braccio per facilitarle la salita. Era la prima volta che una persona, non di colore, le offriva aiuto, e con un sorriso per giunta. Ne rimase indelebilmente colpita. Venne ingaggiata in uno show, anch’esso di matrice “nera”, chiamato “La Revue Negre”. Lo spettacolo era marcatamente stereotipato e in linea con le concezioni europee, del momento, verso i “nowhites”, ma pian piano la Baker fece emergere il lato più libero delle sue esibizioni, criticando, con fine ironia, tutti i preconcetti sulla razza e sul genere. Ed i costumi di scena, volutamente succinti, erano un chiaro segnale di libertà. “Anche così, lei manteneva intatta la propria dignità. Un grandissimo risultato, per una donna molto giovane, che non conosceva ancora bene la società nella quale si era inserita”, commentò lo storico francese Pap Ndiaye. Di sicuro, il successo fu immediato, il suo volto su tutti i manifesti della città e i suoi recital sempre “sold out”. Nel giro di pochissimi anni, riuscì a parlare correntemente il francese ed incominciò a cantare. La bambina, che aveva ripulito le case a Saint Louis, divenne una star, anche per l’elite intellettuale ed artistica francese, l’appuntamento fisso de “Les Folies Bergères”, il famoso music-hall, nato nella “belle époque”, che presentava giornalmente cartelloni con spettacoli di varietà, operette, canzoni popolari e balletti, sicuramente la più famosa sala di musica d’Europa.
Josephine divenne il simbolo dell’era Jazz, ammaliando i francesi, e non solo, con il suo senso dell’umorismo, le sue danze frenetiche e le sue iconiche canzoni, come “J’ai Deux Amours” (Ho due amori), alludendo al suo Paese natale ed alla città di Parigi. Recitò, prima attrice di colore, in un lungometraggio, il film muto “La Sirène des Tropiques” del 1927. Nelle pause dal lavoro, si cimentava nella stesura di saggi e libri, contro il razzismo. Nel 1936, corteggiata da impresari americani, che la rivolevano in patria, portò i suoi shows alle “Ziegfeld Follies” di Broadway, che si ispiravano, ovviamente, alle “Folies” parigine. Non ebbe, però il successo e l’accoglienza che si aspettava. Dovette fare i conti con le odiose “Leggi Jim Crow” (in vigore negli USA, dal 1877 al 1964), che si accanivano ancora nel mantenere viva la segregazione razziale, in tutti i servizi pubblici. Josephine era costretta ad entrare nei teatri dagli ingressi di servizio e, molto spesso le capitava, arrivando in hotel, di scoprire che le sue prenotazioni erano state cancellate. Dopo aver vissuto per undici anni in un ambiente libero ed accogliene, come quello francese, non riusciva più a sopportare tutto ciò. Decise di ritornare a Parigi e, sarebbe stato per sempre. Nel 1937 sposò Jean Lion, il primo dei tre mariti, e divenne cittadina francese. Acquistò un castello, nella bucolica regione della Dordogne, oggi di proprietà di Angélique de Saint-Exupéry, una quarantacinquenne dalle nobili origini, cresciuta, a suo dire, ascoltando, entusiasta, le canzoni della Baker ed ammirando quel palazzo dalla finestra della sua camera. La struttura, denominata “Chateau des Milandes”, è oggi considerato un monumento storico nazionale, visitato da più di centomila turisti l’anno. “È il mio regalo per Josephine, che adottò dodici bambini, combatté contro il razzismo per tutta la vita e fu un’eroina francese, durante la Seconda Guerra Mondiale. È stata una donna straordinaria”, sembra aver detto la Saint-Exupéry. Ogni stanza del castello rappresenta un’epoca diversa. La “salle de la guerre”, ad esempio, racchiude foto, ritagli di giornale, uniformi e le numerose medaglie della Baker. Quando i tedeschi invasero la Francia, la soubrette lasciò Parigi e vi si rifugiò, perché non voleva cantare per i nazisti. Nei sotterranei, nascose armi, combattenti della Resistenza e rifugiati ebrei. Si impegnò per la sua nuova nazione fin dal primo spirare dei venti di guerra. Usava dire: “La Francia mi ha dato tutto, può chiedermi tutto e può usarmi come vuole”. Fece coppia con il grande “chanteur” Maurice Chevalier, intrattenendo le truppe francesi di stanza lungo la Linea Maginot. Usò la sua fama e la sua posizione di artista, acclamata in tutta Europa, per ottenere informazioni dalle ambasciate dell’Asse, compiendo rischiose missioni di spionaggio, spostandosi con facilità tra il Regime di Vichy, nel sud, e quello tedesco, a nord del Paese. Riuscì a trasmettere a Londra innumerevoli resoconti, appuntati sotto i vestiti o trascritti, con inchiostro simpatico, sugli spartiti delle sue canzoni. Disapprovava, intimamente, la creazione della “Repubblica di Vichy”, perché plagiava i francesi con un’illusione remota di neutralità, ma di fatto li rendeva vassalli del Terzo Reich. Il suo unico eroe, il generale Charles de Gaulle. E, per lui, mise a repentaglio non solo la carriera, ma la vita stessa. lo considerava un suo dovere verso la Francia”. E la Francia, nel corso degli anni, le appuntò sul petto numerose medaglie.
Nel 1963, tornò negli Stati Uniti, invitata da Martin Luther King, per partecipare alla famosa “Marcia su Washington per il Lavoro e la Libertà”. Con addosso l’uniforme della Resistenza Francese, sollecitata da una folla acclamante, si rivolse a quei duecentocinquantamila, con parole che fecero la storia: “Quando ero una bambina e mi hanno bruciato la casa, ho avuto paura e sono scappata. E sono scappata anche da grande, in un posto chiamato Francia. Molti di voi ci sono stati, e molti no. Ma devo dirvi, signore e signori, che in quel Paese non ho mai temuto. Era come un posto fiabesco. A Parigi, potevo sedere in qualsiasi ristorante volessi, potevo bere acqua ovunque volessi e non dovevo andare in un bagno contrassegnato. Vi dico che era bello così, che mi ci sono abituata. Non ho mai avuto paura che qualcuno mi urlasse contro e mi riempisse di insulti. Voglio che abbiate anche voi l’opportunità di fare qui tutto quello che ho fatto io, senza che siate obbligati a scappare per ottenerlo”. Negli anni Cinquanta, trasformò il suo castello in un albergo di lusso, “Les Milandes”, con all’interno un bellissimo cabaret, frequentato dalla crème della società francese ed americana. Fuori un parco, che volle fosse pubblico e ricco di attrazioni per grandi e piccoli, anch’esso sempre brulicante di gente. Aveva vent’anni Georges Pasquet, nel 1959, quando ottenne un lavoro nell’hotel. Oggi, che ne ha quasi ottantatré, ripensa con affetto e nostalgia a quei tempi, mostrando orgogliosamente una foto di Josephine, memorizzata nel cellulare. È stato il suo maggiordomo personale, fino al 1966. In un’intervista, ha detto di lei: “La Signora aveva un’energia illimitata. Dormiva tre o quattro ore per notte e questo era tutto ciò di cui aveva bisogno. Si interessava di continuo dei problemi del personale ed a me chiedeva sempre dei miei genitori”.
La Baker chiamava i suoi dodici figli adottivi, “la tribù arcobaleno”. Uno di loro, Brian, che strappò ad un orfanotrofio in Algeria, dove si era recata, in veste diplomatica, durante la guerra di indipendenza di quel Paese, ha detto della madre: “Mi ha cambiato la vita. Crescere con 11 fratelli e sorelle, al castello, è stato come un campo estivo permanente, con bambini che urlavano e giocavano sempre. Lei era un po’ folle ed anche un po’ severa. Pretendeva che avessimo un’ottima istruzione, per il nostro futuro”. La soubrette voleva dimostrare al mondo, che quei bambini, provenienti dalle più svariate parti del globo, Giappone, Finlandia, Colombia, Algeria, Costa d’Avorio, Venezuela, Marocco, con religioni e culture diverse, potevano essere realmente fratelli, avere una sorta di fratellanza universale. E riuscì nel suo intento. Si accasciò a terra, all’improvviso, dopo aver cantato in un concerto di beneficenza, a Parigi, nel 1975. Morì alcuni giorni dopo, il 12 aprile, all’età di 68 anni. Migliaia di persone si radunarono per le strade, lungo il percorso del suo funerale, fino alla chiesa della Madeleine, dove le vennero tributati gli onori militari, prima di essere trasferita al cimitero di Montecarlo, per espresso desiderio della Principessa Grace, sua grande amica e connazionale.
Il 30 novembre del 2021, nella stessa data in cui molti anni prima la Baker aveva ricevuto la cittadinanza francese, il Presidente Macron, alla cerimonia ufficiale dell’ingresso dell’artista nel tempio consacrato ai Grandi di Francia, trasmessa in diretta dalla televisione di stato, attorniato dalla calorosa partecipazione dell’ancora folta “tribù arcobaleno”, del principe Alberto II di Monaco, delle numerosissime autorità politiche, religiose e sociali, anche statunitensi, nel suo discorso di apertura ha detto, con evidente emozione: “Josephine, hai abbattuto tutte le barriere, divenendo parte dei cuori e delle menti del popolo francese. Tu entri nel Pantheon anche perché, nonostante sia nata americana, qui non c’è nessuno più francese di te, e nessuno, più di te, merita di essere qui”.
Lei, che il mondo soprannominò “La Venere Nera”, è la prima donna di colore ad entrare a far parte della schiera dei “Grands de France”, a fianco di Voltaire, Victor Hugo, Marie Curie, Alexandre Dumas, Simone Veil, che la precedette nel 2018. Le sue spoglie sono restate, e resteranno, a Montecarlo e la sua imponente e significativa presenza al Pantheon rimarrà alla storia, impressa su una lapide del cenotafio, che raccoglie manciate di terra, provenienti da Saint Louis, sua città natale, dalla stessa Parigi, sua città di adozione, e dal Principato di Monaco, dove riposa.

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