Aversa. Anno 1958: tre colpi di trincetto posero fine ai maltrattamenti e alle minacce
L’intenzione era quello di sfregiarlo ma morì dissanguato.
Forse il testamento della moglie quale movente del delitto.
Il 16 febbraio del 1958, verso le ore 10 e 30 in Gricignano di Aversa, Raffaele Andreozzi, di anni 70, armatosi di un affilatissimo trincetto da calzolaio affrontava di sorpresa il genero Giorgio Esposito, di anni 54, nato a San Giorgio a Cremano ma sposato con la figlia in Gricignano, che proveniva da Aversa, montato sulla propria bicicletta, colpendolo con vari colpi di trincetto sul viso ed in altre parti del corpo. Il povero Esposito fece appena in tempo di scendere dalla bicicletta e fare pochi passi che venne sorretto da alcuni passanti che lo adagiarono sopra una sedia dove decedeva pochi istanti dopo. Infatti egli presentava alla Regione temporale destra una ferita saldo piuttosto lunga e profonda ed una seconda ferita sarà gli all’angolo esterno dell’occhio destro. Presentava anche un taglio dietro la schiena come si notava dal foro della giubba ed infine la falda del cappello che indossava presentava un taglio netto. Ciò dimostra che l’Andreozzi ha adoperato un trincetto bene affilato ed ha colpito più volte il genero allo scopo preciso di ucciderlo. L’Andreozzi dopo avere compiuto l’omicidio, calmo e disinvolto, si dirigeva con il coltello in mano verso il posto fisso dei Carabinieri di Gricignano, ma incontrato l’appuntato Agostino Di Lanno che si stava portando sul luogo del delitto, consegnava a questi il coltello e lo seguiva al Posto Fisso. In quel frangente disse: ”Ho fatto quello che dovevo fare…ora sono a vostra disposizione”.
L’Andreozzi dichiarò che era stato spinto a ciò dal fatto che il genero continuamente lo maltrattava e per ultima la notte scorsa, mentre era a letto, venne picchiato dal genero tanto è vero che alle grida disperate di aiuto accorsero le vicine di casa, Luigia Barile, Vincenza Dello Margio, Giuseppe Fiorillo, e Anna Gentile che provvidero ad allontanare l’energumeno. Esposito mentre si allontanava disse all’Andreozzi che l’indomani l’avrebbe ucciso. Aggiunge che per tema che il genero mettesse effettivamente in esecuzione la minaccia fattagli durante la notte, egli ha pensato di precederlo. Afferma, infine, che il genero spesso lo maltrattava nottetempo anche perché si ritirava a casa quasi sempre ubriaco. Nello stesso pomeriggio l’Andreozzi veniva associato al carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Giuseppe Fiorillo dichiarò che prima del decesso della moglie dell’Andreozzi spesso questi veniva a questioni per motivi di interesse con il genere Giorgio Esposito.
Da circa un mese non si sentivano più litigi nell’abitazione della Andreozzi però la sera prima del delitto – mentre stava rincasando – aveva sentito che i due stavano litigando nuovamente di entrato nella loro abitazione aveva visto che l’Esposito scendeva dalla stanza superiore (occupata dal suocero) con il quale si scambiavano parole ingiuriose senza frasi minacciose. Chiesto all’Esposito il motivo questi gli rispose che si era portato nella stanza del suocero per prelevare un poco di granone per gli animali ma lo stesso l’aveva investito con parolacce. Secca fu anche la smentita di Anna Gentile.
Augusto Petrachi, maresciallo comandante della Stazione dei carabinieri di Cesa smentì categoricamente nel suo primo rapporto che la sera precedente al delitto l’assassino era stato minacciato dal genero. Appurò che spesso avvenivano liti per ragione di interesse così come precisò la moglie della vittima Giuseppina Andreozzi (costretta a letto perché paralitica) e che l’Andreozzi aveva premeditato il delitto avendo fatto affilare appositamente il trincetto con il quale tolse la vita al genero.
La perizia medico legale e tossicologica sulla causa della morte – L’istruttoria e le varie testimonianze – Il rinvio a giudizio per omicidio volontario aggravato
Achille Canfora, docente nella scuola di specializzazione in medicina legale e delle assicurazioni dell’Università di Napoli, fu incaricato dal giudice istruttore Camillo Grizzuti di eseguire l’autopsia sul cadavere di Giorgio Esposito nel cimitero di Gricignano di Aversa il quale concluse che la causa della morte era stata una “anemia acuta per dissanguamento che la stessa rimontava ad oltre 24 ore e non più di 52 dall’autopsia e che i mezzi che l’avevano prodotto erano da identificarsi in un’arma da punta e taglio che lesero – tra l’altro – l’arteria polmonare destra. Che l’aggressore al momento del fatto doveva trovarsi a destra della vittima, spostato all’indietro e per le lesioni al VI spazio intercostale, la posizione poteva essere alle spalle della vittima. La vittima, infine, non versava in stato di ubriachezza al momento del fatto.
Nel corso della fase istruttoria i difensori di Andreozzi presentarono numerose istanze per dimostrare con testimoni che il loro assistito era stato minacciato e che non aveva avuto intenzione né di premeditare il delitto né di ucciderlo ma semplicemente di sfregiarlo. Nella circostanza si allungò la lista dei testimoni con Angela e Raffaella Barbato, e Francesco Braciolla, che avrebbero potuto affermare che l’Andreozzi era stato dal genero sottoposto a continua maltrattamenti.
Il 16 novembre del 1959, nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, veniva notificato a Raffaele Andreozzi la sentenza del giudice istruttore che lo rinviava al giudizio della Corte di assise per rispondere di omicidio volontario aggravato. Nel giorno fissato per l’apertura del dibattimento i difensori presentarono istanza di rinvio per una gravissima malattia che aveva costretto l’imputato al ricovero presso l’ospedale per essere sottoposto ad un delicato intervento chirurgico. Nell’udienza successiva l’Andreozzi fu tradotto e potette assistere al processo.
In apertura di udienza si costituiva parte civile l’avvocato Luigi Fusella quale procuratore speciale di Concetta Esposito madre della vittima. L’imputato confermava che il genero maltrattava sia lui che la di lui moglie pretendendo da costei donazione di parte del fabbricato poi dalla moglie donato alla figlia, sposa dello Esposito ed anche essa deceduta. Che i maltrattamenti avvenivano di solito soltanto quando lo Esposito si ubriacava, il che accadeva molto spesso, e che diverse volte il genero li aveva anche percossi per cui avevano dovuto richiedere le cure dell’allora medico condotto di Gricignano Guido Perugino.
Il giorno precedente al delitto il genero si ritirò ubriaco e incomincio ad ingiuriarlo ed a percuoterlo senza ragione minacciandolo anche di morte. Impressionato dalla minaccia la mattina successiva nell’uscire si era armato di trincetto per difesa personale e mentre si ricava dal medico – a farsi visitare per le lesioni riportate la notte – aveva casualmente incontrato il genero il quale nel vederlo lo minacciò di nuovo dicendogli: ”Adesso vai pure dal medico poi ce la vedremo”, per cui egli sotto l’irrefrenabile spinte della nuova minaccia diede di mano al trincetto colpendo il genero diverse volte finché non gli cadde addosso.
Il difensore di parte civile chiedeva affermarsi la responsabilità dell‘Andreozzi con la condanna ai danni da liquidarsi in separata sede e con l’assegnazione di una provvisionale di un milione di lire. Il rappresentante della pubblica accusa chiedeva la condanna ad anni 24 di reclusione per l’omicidio volontario esclusa la premeditazione e non dovessi procedere per la contravvenzione perché estinta per amnistia. La difesa di Andreozzi chiedeva condannarsi l’imputato al minimo della pena con le attenuanti dei motivi di particolare valore morale e sociale con la scriminante della provocazione e la concessione delle attenuanti generiche.
Il processo con la condanna a 15 anni di reclusione – La concessione di tutte le attenuanti – In morte a Poggioreale di un imputato in atteso del processo d’appello –
Raffaele Andreozzi – scrissero i giudici nella motivazione della loro sentenza – arrivato all’età di 70 anni del tutto incensurato senza incappare neppure in una lieve contravvenzione è da ritenersi uomo ossequiente alla legge, rispettoso degli altrui diritti ed alieno da violenze che difatti non è nella sua natura, come si è rilevato nel dibattimento, in cui è apparso ancora smarrito per il grave fatto di sangue di cui fu il protagonista, incerto nel difendersi, piegato dagli acciacchi e dagli affanni: in una parola è un uomo d’ordine e tale in certo senso si rivela perfino dopo la commissione del delitto allorché immediatamente va a costituirsi ai Carabinieri del posto fisso, poco distante, mettendosi a disposizione dei tutori della legge e malamente cercando di attenuare la propria responsabilità se tra l’altro dichiara di aver affilato pochi giorni prima il trincetto omicida, conscio e quasi desideroso di una pronta e giusta punizione riparatrice dell’ordine turbato dal suo delitto.
La vecchiaia non poteva determinare di per sé solo il riaffioramento di atavici istinti belluini e se pertanto ha ucciso ha dovuto essere spinto al delitto da una causale adeguata chi agevolmente può avvicinarsi, alla stregua delle risultanze processuali, nei maltrattamenti da parte del genero indicati fin dal primo interrogatorio, per futili motivi, ma soprattutto per lo stato di ubriachezza quasi permanente del genero.
In aderenze alla risultanze processuali non può pertanto – chiarirono i giudici nella motivazione della loro sentenza .- la Corte condividere l’opinione del rappresentante della pubblica accusa secondo cui sarebbe cara soltanto una reciproca insofferenza per la vita in comune senza possibilità di concludere se l’imputato fu vittima od autore di una situazione familiare insostenibile: costui ne fu la vittima e reagì col delitto quando la disintegrazione del suo nucleo familiare per la perdita della compagna della sua vita e l’impotenza della figliola, inchiodata a letto dalla paralisi, rendevano più pressante l’esigenza di cure per i suoi molteplici acciacchi (era ed è affetta da miocardiosclerosi con enfisema polmonare e pielocistite acuta) e vieppiù squallido il grigio tramonto dei suoi giorni nella carenza di ogni affetto per l’incomprensione e la brutalità del genero.
Ad avviso della Corte – precisarono ancora una volta i giudici nella motivazione della loro sentenza – deve però escludersi la premeditazione che, come è noto, postula l’esistenza dello elemento cronologico – un congruo lasso di tempo tra l’insorgere del proposito criminoso e la sua attuazione – e quello psicologico – ossia la perseveranza della risoluzione criminosa nell’animo del reo per il periodo predetto senza soluzione di continuità – indice di maggiore intensità di dolo di un animo particolarmente pravo, poiché l’impulso criminoso non si spegne col trascorrere del tempo o trionfa la definitiva scelta del male col persistere della risoluzione omicida e la realizzazione dell’evento dopo che è cessato l’avvicendamento interiore delle contrastanti rappresentazioni del bene e del male.
A costui compete l’attenuante della provocazione – precisarono ancora i giudici nella loro motivazione – chiaro essendo per quanto precede che gli agì nello stato di ira indotto dai maltrattamenti del genero e quindi come reazione ad un fatto giustamente provocatorio. Ritiene altresì la Corte di concedere all’Andreozzi le attenuanti generiche perché incensurato fino all’età di 70 anni, mentre sulla sua determinazione al delitto dovette indubbiamente influire anche la depressione conseguita al decesso della moglie e della grave malattia della figlia che gli rese più insopportabile il comportamento del genero. Non può concedersi l’attenuante dei motivi di particolare valore morale e sociale poiché la reazione del vecchio ai maltrattamenti del genere non può qualificarsi motivo di particolare valore morale e sociale essendo soltanto espressione di un proposto di vendetta o del bisogno di evadere.
Si conclude così la storia di Raffaele Andreozzi, il ciabattino di 70 anni, che uccise il genero Giorgio Esposito e fu condannato dalla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere (Prisco Palmiero, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Gennaro Calabrese, pubblico ministero; Elisa Di Pietrantonio, Michele Del Vecchio, Rosa Di Franco, Emma Manna, Giuseppe Santoro e Giuseppe Lerro, giudici popolari) a 15 anni di reclusione. Il conteggio per giungere ad una pena bassa fu semplice: pena adeguata erano 25 anni, per l’omicidio volontario: ridotta di un quinto per la provocazione e per un quarto per le circostanze attenuanti generiche. Furono chiamati a testimoniare parente ed amici sui continui litigi per i maltrattamenti: Concetta Esposito, Giuseppina Andreozzi, Agostino Di Lauro, Luigi Basile, Vincenzo Delle Murgie, Giuseppe Fiorillo, Anna Gentile, Augusto Petralchi, Angela Barbato. La vittima aveva minacciato nella notte il vecchio calzolaio dicendogli che la mattina successiva l’avrebbe ucciso. Fu preceduto nel gesto dal suocero che, però, morì a Poggioreale – dopo 4 anni dal delitto – ma prima del processo di appello. Nel processo furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini, Carlo Cipullo, Alberto Martucci e Luigi Fusella.
(di Ferdinando Terlizzi– Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)