Giustizia: quella che si prospetta è ‘una riforma sbagliata, che intimidisce i magistrati’?!
La speranzosa attesa di una riforma capace di rafforzare la fiducia nel sistema giudiziario sta ricevendo una risposta assai deludente.
Il progetto di iniziativa del Governo ha perso di vista che il mestiere di magistrato è tra i più lontani dal concetto di carriera, intesa burocraticamente; e che pubblico ministero e giudice esercitano sì funzioni diverse ma appartengono allo stesso ordine, con le stesse prerogative di autonomia e di indipendenza, per non attrarre l’azione penale nell’area del Potere esecutivo. Nella Costituzione è scritto che i magistrati si distinguono tra loro soltanto per diversità di funzioni! Per null’altro: non per gradi, non per supremazia gerarchica o per soggezione ad essa. Ed è sancita l’unicità del ruolo tra pubblici ministeri e giudici.
La riforma in gestazione, indifferente ai principi, si muove in continuità con quelle dei primi anni 2000 a firma dei ministri Castelli prima e Mastella dopo, e ne amplifica gli aspetti critici. All’insegna di troppi luoghi comuni, del tipo “i magistrati non vogliono essere valutati” e “il pubblico ministero deve rivolgersi al giudice con il cappello in mano”, si porta avanti il completamento di un disegno che viene da lontano. Si enfatizza la regola meritocratica per avere magistrati timorosi; si invoca l’imparzialità dei giudici per giungere, di fatto, alla separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici, indebolendo così sia l’uno che l’altro ruolo.
È una riforma in danno della giustizia. Il malessere della magistratura non ha motivazioni, che pure sarebbero nobili, di tipo sindacale, perché oggi è in gioco il profilo autenticamente democratico della giurisdizione. Faccio solo un esempio, sul tema più esposto alle semplificazioni per slogan, quello delle valutazioni di merito. I magistrati, già oggi e da tempo, sono periodicamente valutati, come poche altre categorie professionali. Con un facile artificio retorico si mostra stupore per il fatto che dette valutazioni non falcidino percentuali elevate di magistrati. E non si considera, o si ignora deliberatamente, che sarebbe sorprendente il contrario, come lo sarebbe apprendere che i piloti di aerei, che ci hanno condotto in giro per il mondo, alla successiva verifica attitudinale dovessero risultare inidonei e fossero privati della patente in misure percentuali consistenti.
Si alimenta confusione, e ciò al fine di introdurre meccanismi di valutazione insidiosi, incentrati, assai più di oggi, sull’esito delle cause nei successivi gradi di giudizio. Si accredita come indiscutibile la premessa, falsa e fuorviante, che la riforma in Appello o l’annullamento in Cassazione significhi che il giudice, la cui decisione sia stata riformata o annullata, sia impreparato e tecnicamente scadente.
Se questo progetto diverrà legge, i magistrati saranno indotti al conformismo interpretativo, pur quando ciò dovesse risultare iniquo; non proveranno a far mutare giurisprudenza, per il timore di ricadute sulle valutazioni del loro profilo professionale. Saranno impauriti, concentrati sul loro fascicolo personale e meno inclini a trattare le cause con il coraggio che a volte è richiesto per aprirsi all’ascolto di qualunque istanza di giustizia, anche la più imprevedibile. Non occorre essere profetici per immaginare che il prezzo più alto di questa improvvida riforma sarà pagato dai cittadini, da quelli meno forti che più hanno bisogno di un giudice che agisca senza timori e senza speranze di carriera.
(di Giuseppe Santalucia * Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati – L’Espresso, 17 aprile 2022 – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)