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‘PCTO’ non da eliminare ma da migliorare: proposta ragionata di Sgambato e Ghizzoni (PD)

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Dopo la tragedia della morte del giovane Lorenzo Pinelli, 

si è aperto un dibattito sulla cosiddetta alternanza scuola-lavoro (che da qualche anno è stata ridefinita Percorso per le competenze trasversali e l’orientamento – PCTO) sulla quale è necessario fare un po’ di chiarezza.

Lorenzo, come emerge da fonti giornalistiche, stava lavorando con un contratto di apprendistato, nell’ambito del modello «duale» delle scuole di formazione professionale, normate dalle regioni.

Un percorso formativo basato su molto apprendimento pratico, svolto anche nelle aziende, più di quanto ne sia previsto negli istituti professionali.

Il quarto anno, in particolare, prevede un percorso misto, tra periodi passati a scuola e altri in azienda.

Una sorta di formazione sul campo, ispirata dal modello tedesco, che valorizza le passioni e le attitudini di studenti e studentesse, messe in pratica in contesti protetti e in stretto collegamento con le scuole.

La tragedia di Lorenzo attiene dunque al problema della sicurezza sui luoghi di lavoro, non al percorso che stava frequentando.

Per questa ragione bene ha fatto il ministro del lavoro Andrea Orlando ad annunciare di voler aprire un tavolo insieme al ministro Bianchi “per rivedere complessivamente tutte le fasi in cui i ragazzi vanno sui luoghi di lavoro”.

Altrettanto positiva l’intenzione di avviare un percorso di “certificazione ulteriore” per le aziende che ospitano apprendisti in formazione.

Lo affermano Manuela Ghizzoni, responsabile Istruzione, Università e Ricerca del Pd, e Camilla Sgambato, già responsabile nazionale Scuola e componente direzione nazionale del Pd.

L’alternanza scuola-lavoro o, meglio, i PCTO, sono cosa ben diversa. Le ore di attività, 90 per i licei, 150 per i tecnici e 200 per gli istituti professionali, hanno l’obiettivo di sviluppare le competenze trasversali degli studenti e sono finalizzate all’orientamento.

Ovviamente vanno organizzate in maniera intelligente e coerente con i profili in uscita, in modo che abbiano una ricaduta vera nei curricula di ragazzi ragazze; inoltre ne va periodicamente e obbligatoriamente verificata l’efficacia.

Negli istituti professionali, con rapporti radicati con il tessuto produttivo in cui insistono, l’alternanza c’è sempre stata, anche prima della riforma Moratti, e, nei fatti, le ore svolte in azienda sono sempre state molto apprezzate da studenti e studentesse.

Stesso discorso vale anche per gli istituti tecnici, in cui la pratica sul campo è importante, anche se la quota di saperi teorici aumenta, perché in molti si indirizzano successivamente verso una formazione universitaria.

Esistono poi ottime esperienze anche nei licei, con ragazzi e ragazze entusiasti di trascorrere del tempo in laboratori scientifici all’avanguardia, nelle biblioteche o nei musei e vedere arricchiti così il loro percorso di studi e la loro formazione.

Non neghiamo che ci siano stati problemi nell’implementazione dei PCTO.

Così, non neghiamo che alcune proposte si siano tradotte in esperienze di mediocre qualità e quindi scarsamente formative; analogamente, in casi davvero rari, si sono trasformati in occasioni di sfruttamento dello studente, proiettato nella dimensione del lavoratore a costo zero”, continuano le componenti della segreteria nazionale dei democratici.

Tali storture vanno combattute sul campo, con l’intelligenza delle scuole, alle quali va concessa una maggiore autonomia, per poter organizzare i percorsi con più elasticità, ascoltando e coinvolgendo anche gli studenti nelle scelte.

Proporre però di eliminare i PCTO è sbagliato. Anche molti tra gli studenti che in questi giorni sono scesi in piazza chiedono di rivedere il sistema, di poter esprimere la loro opinione in seguito alle esperienze fatte, non di eliminare questa opportunità formativa.

Ci sono molte proposte di miglioramento del sistema che coinvolge il mondo della scuola e del lavoro, a partire dalla creazione di un albo di aziende certificate per poter ospitare gli studenti, dalla previsione di maggiori incentivi ai tutor, sia aziendali che scolastici, alla ottimizzazione del monitoraggio delle esperienze per verificarne la ricaduta, fino ad un maggiore coinvolgimento degli studenti nella scelta”, concludono Ghizzoni e Sgambato.

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