Il Papa “scrittore”
Era sempre operante, nel Piccolomini, un vivo rapporto dialettico tra gesto e parola, una tendenza cioè, della parola a farsi gesto e del gesto a divenire parola. Fu quello il segreto della qualità calda e spontanea del suo umanesimo, l’esperienza della vita vissuta, che si organizzava in discorso e si trasformava in narrazione, cronaca, racconto. In tutta la sua carriera, egli si mostrò sempre interamente calato nell’attività, intento a seguire, dall’interno, la linea degli avvenimenti, a partecipare al loro svolgimento ed a determinarne i risultati. Al tempo stesso, apparve come un uomo che sentiva, sovente, il desiderio di soffermarsi ad ordinare e spiegare l’azione sulla pagina scritta, trasferirla in giudizio, trasfonderla in storia.
Papa Pio II, il 210° della Chiesa cattolica, al secolo Enea Silvio Piccolomini, era nato a Corsignano, nella Val d’Orcia senese, il 18 ottobre 1405. È stato, da sempre, considerato uno dei pontefici più significativi del XV Secolo, per le doti diplomatiche, l’alta dignità del magistero pontificio e per la forza, sfrontata e coraggiosa, nel difendere la cristianità dalla minaccia turca, del sultano Maometto II. Fu, altresì, uno dei più importanti umanisti della sua epoca, per la profonda conoscenza della cultura classica e per una peculiare abilità nel saper cogliere gli aspetti fondamentali dei generi letterari del mondo latino e greco. Fondatore della città di Pienza, vicino a Siena, fu un instancabile sostenitore della supremazia papale contro ogni forma di conciliarismo, garantendo all’istituzione pontificia una forte impronta autocratica e cancellando, altresì, quel suo passato, da convinto fautore di una tangibile limitazione dei poteri papali.
Sebbene le sue giornate fossero fitte di avvenimenti e di impegni, avvertiva il bisogno di accompagnare ai pensieri d’azione quelli di riflessione, durante i quali amava soffermarsi a rievocare i passi compiuti. Più volte, radunava sulla carta, tenendo in mano lui stesso una penna (cosa del tutto inusuale per un pontefice), o dettando ai segretari, ed in particolare al fido Agostino Patrizi, ricordi, osservazioni e pensieri. La prima volta che si concesse una pausa, per dedicarsi alla scrittura, fu nell’agosto del 1461, tre anni dopo la sua elezione, mentre si trovava in vacanza a Tivoli. La guerra in Italia contro gli Angioini e Jacopo Piccinino, era ancora aperta. Nei territori della Chiesa permaneva la minaccia di Sigismondo Malatesta, ma il potere papale si era fortemente consolidato ed uno dei signorotti ribelli, Jacopo Savelli, si era finalmente sottomesso. Nel luglio di quello stesso anno, era morto Carlo VII di Francia e la situazione europea era ancora molto confusa. Il suo intento, formulato all’inizio del pontificato, di organizzare una crociata, appariva al momento del tutto inattuabile. Mentre soggiornava a Tivoli, Pio II decise di rispolverare un’opera, che aveva cominciato anni addietro e di cui aveva composto una parte, con il titolo “De Europa”. L’ambizioso progetto, dall’ancora incerto titolo di “Cosmographia” o “Historia rerum ubique gestarum locorumque descriptio”, era quello di stendere un ampio lavoro sul mondo contemporaneo. Riprendere in mano quel lavoro, significava per lui mettere ordine nei suoi giudizi, sulla situazione mondiale contemporanea, cercando di indagare a fondo e comprendere, sul piano storico e geopolitico, le cause della crisi. Durante quel soggiorno termale, scrisse la parte dedicata al continente asiatico, il “De Asia”, nella quale dissertava sui popoli antichi e moderni di quella regione, senza tralasciare Maometto, sui Greci e sulle genti delle isole del Mediterraneo orientale. Nella prefazione del trattato, giustificava e spiegava il proprio pensiero, che definiva essere “non oziosamente letterario, ma frutto di lunghe veglie notturne”. Era solito ripetere: “Abbiamo privato la nostra vecchiaia del riposo che le è dovuto, per affidare alla memoria gli avvenimenti del nostro tempo degni di essere ricordati, aggiungendo brevi sommari degli avvenimenti più antichi [lett.]”. Voleva difendere polemicamente la validità della sua attività di scrittore, contro i detrattori, presenti nella curia anche tra gli stessi cardinali. Lo scritto ambiva essere un ricco manuale di storia contemporanea, simile a quello che avrebbe, come si vedrà, successivamente composto, con il nome di “Commentarii”.
Pio II, nel descrivere il mondo del suo tempo, ricorse sia alle fonti scritte che alle proprie esperienze e conoscenze personali. Ma tra i due tipi di saggistica, quella puramente erudita e quella direttamente legata ai ricordi, vi era stata una forte differenza di tono. Nei “Commentarii”, inserì quell’elemento di mediazione, sentimentalmente e stilisticamente uniforme, scrivendo, nonostante un’apparente frammentarietà e disordine, un racconto, romanzato ed epico, che avesse, come tema centrale, quello della crociata e, come protagonista principale, se stesso.
Era il 1462. In quell’anno, il papato di Enea Piccolomini, segnò una svolta. I rapporti tra la Chiesa ed il regno di Francia, tendevano a migliorare e le trattative con il nuovo re, Luigi XI, sull’abolizione della “Prammatica Sanzione” (costituzione imperiale romana, del V Sec. d.C., utilizzata per emanare provvedimenti eccezionali), erano giunte in porto. Il miglioramento generale della situazione, permetteva al Papa di rivalutare l’ossessivo progetto della crociata, progetto che, l’8 marzo, confidò segretamente a sei cardinali, tra i più intimi e fidati, di voler ad ogni costo attuare. La prima manifestazione pubblica del nuovo corso, il lancio propagandistico della nuova politica, si ebbe in aprile, quando venne portata a Roma, dono del despota Tommaso della Morea, sconfitto dai Turchi a Patrasso, la reliquia della testa dell’Apostolo Sant’Andrea. Si celebrarono solenni festeggiamenti in onore del santo, nel corso dei quali, il Pontefice ed il Cardinale Bessarione, umanista e filosofo bizantino, Arcivescovo di Tebe, pronunciarono animati discorsi, affermando con forza la necessità di organizzare, al più presto, una spedizione armata contro gli infedeli. In maggio, si verificarono altri due avvenimenti favorevoli: la scoperta delle miniere di allume della Tolfa, che permettevano di rinsanguare le esauste finanze papali, e la morte del Doge Prospero Malipiero, a cui successe Cristoforo Moro, che sembrava più favorevole alla crociata. Durante l’estate del ‘62, le diatribe italiane sembrarono giungere ad una risoluzione. Re Ferrante d’Aragona sconfisse definitivamente Jacopo Piccinino e Giovanni d’Angiò, a Troia, in Puglia, mentre Sigismondo Malatesta venne battuto dalle truppe papaline, nel corso di due battaglie risolutive, a Fano ed a Senigallia.
Durante il mese di maggio, Pio II si era recato a Viterbo per i bagni e fu lì, presumibilmente, che cominciò la composizione dei “Commentarii”. La sua stesura proseguì fino al 1463, in modo saltuario, con successivi ampliamenti ed un progressivo organizzarsi della materia. Vi confluirono, argomenti di varia origine, da quelli già usati per gli scritti geografici, alle memorie personali. Inserì, con dovizia di particolari, ad esempio, il racconto delle cerimonie in onore di Sant’Andrea e la cronologia dei momenti, del tutto intimi, inerenti la sua elezione a sommo pontefice, momenti che altrimenti sarebbero sicuramente rimasti segreti. Il Piccolomini aveva così trovato un elemento unificatore. Si poneva, come accennato, protagonista di una narrazione in terza persona, analogamente a quanto avveniva per gli altri “Commentarii”, quelli scritti da Giulio Cesare. E come quest’ultimo, seguì, passo passo, in tutto il suo svolgimento, la propria carriera, esaltandone i successi ed il crescente prestigio, mettendo in rilievo le vittorie sugli avversari, l’infusione di una nuova dignità ed energia nella Chiesa e nella cristianità in generale, ribadendo l’intenzione di concludere e coronare l’opera, con l’organizzazione di una spedizione contro il Turco. Il filo conduttore del componimento fu quello di una sincerità talvolta sconcertante. Il Papa considerò lucidamente e spietatamente l’azione propria ed altrui. Il suo pontificato aveva ormai superato le burrasche iniziali e la navigazione, anche se non calma del tutto, sembrava più sicura, con una rotta ormai definitivamente stabilita. Egli vinse, mosso da un entusiasmo interiore, ogni timore. Ma, a mente fredda, si accasciava nella consapevolezza di sapere che, comunque, le frenanti debolezze politiche europee ed italiane erano ancora molto gravi e forse irrimediabili. Avvertiva, altresì, che la sua salute si andava progressivamente deteriorando, ma una volontà indomita lo spingeva a portare fino in fondo il proposito di esprimere, nel gesto grandioso della partenza per l’Oriente, il suo messaggio politico. E fu con questo spirito che aveva composto i “Commentarii”. Come per il passato, ne scrisse di pugno molte pagine, leggendo e rileggendo, con accanimento, il lavoro della giornata, apponendo correzioni ed inserendo postille. Riviveva, con distacco e passione, gli avvenimenti passati, reimmergendosi nelle situazioni affrontate, facendole di nuovo proprie e fissandole in giudizi stringati e fulminanti.
La morte lo colse all’improvviso, anche se non inaspettata, ad Ancona, durante una visita pastorale alla città, il 14 agosto 1464. Nella storia, i papi hanno, da sempre, prodotto scritti, sotto forma di encicliche, esortazioni apostoliche, bolle pontificie, leggi di diritto canonico, trattati di teologia, ma solo Pio II si è dedicato alla stesura, esclusiva si potrebbe dire, di opere letterarie, racconti e “romanzi”. Questa fu la sua peculiarità. Di certo, per comprendere bene Pio, non bisogna mai dimenticarsi di Enea.
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