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Processi a distanza fino al 2023, avvocati furiosi: ‘così si ledono i diritti degli imputati, scelte del governo illogiche’

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Un altro anno di processi a distanza: fino al 2023 collegamenti da remoto per le indagini e le sentenze: “Così si ledono i diritti degli imputati. Scelte del governo illogiche”.

Collegamenti da remoto durante le indagini preliminari, i detenuti che seguono le udienze dei loro processi in videoconferenza, camere di consiglio fuori dalle mura dei tribunali. Le norme per i processi decise dal governo Conte durante la prima ondata di contagi Covid saranno valide per tutto il 2022. È quanto stabilito nel milleproroghe firmato da Mario Draghi alla fine dello scorso anno. Con tanto di irritazione da parte della categoria degli avvocati che gridano alla violazione della sacralità del processo e dei diritti dei loro assistiti.

Le disposizioni in materia di giustizia civile, penale, amministrativa e tributaria sono elencate all’articolo 16 del milleproroghe. Se per molti magistrati la misura è adeguata, per tanti altri avvocati un termine così lungo non è pensabile: “Si poteva procedere con una proroga fino al 31 marzo, come fatto per il processo tributario. E poi in caso rinnovare”, spiega Antonino Galletti, presidente dell’ordine degli avvocati di Roma. Perché il punto è anche questo: la stretta per i processi civili e penali è prevista fino al 31 dicembre 2022, mentre per il processo tributario per ora solo fino al 31 marzo 2022. “Non riconosco alcuna logica in questa scelta del governo. I giudici e gli avvocati amministrativi si infettano meno dei penalisti?”, aggiunge Galletti.

Le norme al centro della questione prevedono diverse modalità nella trattazione dei procedimenti. Per citarne alcune: nel corso delle indagini preliminari pm e polizia giudiziaria possono avvalersi di collegamenti da remoto per quegli atti che richiedono la partecipazione dell’indagato, della persona offesa, di un consulente o di avvocato, “salvo che il difensore… si opponga, quando l’atto richiede la sua presenza”. I detenuti potranno partecipare alle udienze tramite videocollegamento. E ancora: da remoto saranno anche le decisioni collegiali dei processi civili e penali: “Il luogo da cui si collegano i magistrati – dice il decreto legge al quale fa riferimento il milleproroghe – è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge”. Norme contestate da più di un avvocato. Per Cesare Placanica, responsabile dell’osservatorio “Unione Camere Penali sul giusto processo”, “questa proroga danneggia la sacralità del processo, e con esso anche i diritti di indagati e detenuti. Come si può pretendere che avvocati, indagati, pm e giudici, ognuno da una parte diversa perché collegati da remoto, riescano a confrontarsi in modo corretto? Il giudice inoltre non ha sottomano tutte le carte processuali. In camera di consiglio il fascicolo è sul tavolo, cosa che non avviene nelle udienze da remoto. La mancanza di fisicità del fascicolo evita che vi sia una reale collegialità delle decisioni”.

Sulla stessa linea l’avvocato Galletti. “Le disposizioni sui processi – spiega – sono state prolungate non si capisce in base a quale calcolo statistico, senza nessuna previsione, fino al 31 dicembre: è un termine sicuramente eccessivo soprattutto in alcuni settori come il penale dove l’oralità ha un ruolo importante”. Per aggirare l’ostacolo in alcuni distretti sono stati creati dei protocolli d’intesa: “Come è avvenuto a Roma – prosegue Galletti – dove per le sentente è previsto che i magistrati si riuniscano fisicamente in Corte d’appello. Invece questo provvedimento consente al collegio di riunirsi da remoto, ognuno da casa propria. Nessuno si sente tranquillo a farsi giudicare da tre magistrati di cui uno in ciabatte a casa, l’altro al mare e un altro ancora a Cortina…”.

Sono posizioni non condivise dalla categoria dei magistrati. Per Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, “questa normativa di emergenza è l’unico modo che consente alla giustizia di andare avanti. In passato, durante il primo lockdown, vi è stato di certo un rallentamento della macchina della giustizia dovuta a quella iniziale sospensione. L’udienza per sua natura è un assembramento, per questo la misura a mio parere resta adeguata rispetto al periodo che stiamo vivendo”.

E non rileva un rallentamento dell’attività Elisabetta Garzo, presidente del tribunale di Napoli. “È vero — spiega —, è sorta un po’ di incertezza da parte degli avvocati che si sono meravigliati del fatto che non ci fosse stata una proroga al 31 marzo, ma al 31 dicembre. Però non è che influisce particolarmente: non è vero che da remoto i giudizi civili vanno a rilento. Posso dire che, dati alla mano, non vi è stata una diminuzione dei giudizi trattati, anzi abbiamo mantenuto i carichi esigibili e il numero dei procedimenti definiti nel passato. Quindi da questo punto di vista la trattazione dei procedimenti da remoto in sede civile è stata abbastanza vincente a mio giudizio”.

 

(DI VALERIA PACELLI – Fonti: Il Fatto Quotidiano – Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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