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Puccianiello di Caserta. Per un gioco di carte e alcuni bicchieri di vino un ‘secondino’ fece una strage

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Anni ’60, a Puccianiello, frazione di Caserta, un agente di custodia, per un gioco di carte e dei bicchieri di vino – uccise un uomo e ferì gravemente altre due persone.

“Ecco qui la pistola ed il caricatore – disse il Russo all’agente di servizio alla porta del carcere Paolo Rosa,  tutto sconvolto e sudato  – mi costituisco, ho fatto un guaio”.   

 Rolando Russo, 41 anni, agente di custodia del Carcere di Caserta, quello di Via Tanucci, che è stato l’asilo anche di Sofia Loren, viveva con la sua famiglia a Puccianiello, frazione di Caserta.

Il 19 giugno del 1958 ebbe una violentissima discussione in una Osteria con un suo compagno di gioco,  Pasquale Di Caprio e dopo l’accesa discussione corse a casa ed armatosi della pistola d’ordinanza ritornò nell’osteria ed uccise a colpi di pistola prima il Di Caprio e poi ferì gravemente la figlia della vittima Giovanna Di Caprio, che riportava ferite alla gola e poscia sparava anche contro gli altri compagni di gioco accorsi sul posto Vito Natale e Giuseppe Coppola,  cagionando al Natale ferite al polso ed all’addome.

Poi si andava a costituire nel carcere dove prestava servizio. Subito la macchina della giustizia si metteva in moto.

Ordine di cattura firmato dal G.I. Vincenzo Cimmino. Autopsia sul cadavere della vittima affidata al Prof. Francesco Tarsitano. Perizia sulle lesioni riportate delle vittime, Giovanna Di Caprio e Vito Natale, affidata al Dr. Franco Agresti. Poi il viatico dei difensori con i loro fogli di lume al Giudice Istruttore. La sentenza istruttoria portava l’imputato ad essere giudicato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere.

Il 18 giugno del 1958 alle ore 23,45 il funzionario di turno della Questura di Caserta, che in quel momento stava seguendo una trasmissione tv,  venne avvisato che alla Frazione Puccianiello vi era stata una sparatoria con morti e feriti.  Recatosi sul posto constatò che vi era il cadavere di Pasquale De Caprio colpito a morte dall’agente di custodia Rolando Russo in servizio presso il locale carcere di via Tanucci. Nella circostanza constatò inoltre anche il ferimento della figlia della vittima Giovanna De Caprio di anni 14, da Puccianiello, apprendista sarta e di Vito Natale, di anni 47, ferroviere  da Ercole. Oltre al funzionario della Questura erano già giunti sul posto il Pretore Mario Bellucci,  il  cancelliere Federico Fiore, con il medico legale Mario Rinaldi ma nel giro di qualche ora giungeva una telefonata dal carcere dove l’agente-assassino si era costituito consegnando l’arma con il caricatore. “Ecco qui la pistola ed il caricatore – disse il Russo all’agente di servizio alla porta Paolo Rosa tutto sconvolto e sudato  – mi costituisco, ho fatto un guaio”.  Il giorno successivo nel cimitero di Caserta il Professor Francesco Tarsitano, direttore dell’Istituto di Antropologia criminale e Docente    Al dottor Franco Agresti di Caserta, toccò il compito di diagnosticare le lesioni riportate dai feriti.

La difesa: non vi fu premeditazione, attenuante della provocazione e non fu un motivo futile. Il drammatico racconto dell’imputato –

 <Il 12 aprile del 1960 ci fu la prima mossa della difesa per il ‘secondino’ assassino fu fatta dall’avvocato Carlo Cipullo, il quale segnalò al G.I. Vincenzo Cimino che… “L’unica questione che in questa sede si ritiene opportuno sottoporre all’esame della S.V. e quella di accertate se sussistono gli estremi dell’aggravante contestata e cioè quella del motivo futile”. Il 16 aprile del 1960 il giudice istruttore emise la sentenza chiedendo il rinvio al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per il reato di omicidio. L’11 novembre del 1960 si apriva il processo innanzi la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere e gli avvocati che ‘tentano’ di salvare il loro assistito con una perizia psichiatrica (anche se lui non è pazzo e non riesce a simulare) e l’imputato con voce sommessa che tenta di sminuire la sua cruenta reazione come si dice ‘frigido pacatoque animo’ che racconta il fatto.

“Erano le 21… mi ero portato all’osteria del Fusco per cenare e bere un po’ di vino. Nel locale avevo incontrato sei/sette amici: Pasquale De Caprio, Vito Natale, Egidio Iannucci, Giuseppe Coppola, Giovanni Giaquinto, Carmine Di Guida e Francesco Macchiarella, con i quali mi sono trattenuto a bere ed a giocare a bocce.

Terminata la partita la cui posta consisteva in due litri di vino ero risultato vincitore io, il Coppola, il Macchiarella e il De Caprio. Senonchè decisero di distribuire il vino ricorrendo al gioco della passatella ed il Natale e Giaquinto, che risultarono l’una ‘padrone’ e l’altro ‘sottopadrone’, nel dividere il vino fecero sì che i quattro vincitori restassero senza bere.

Io ci rimasi male e protestai vivamente ma la mia reazione colpì il Coppola che pure non avendo bevuto. Tutti gli altri gli diedero torto ed anzi ad un certo momento il De Caprio lo prese per il bavero della giacca.

Allora io fui accecato dall’ira e corsi velocemente verso la mia abitazione dove mi impossessai della pistola di ordinanza con due caricatori. Tornai sul posto e sparai un colpo contro il De Caprio ed altri tre o quattro colpi contro gli altri che erano fuori all’osteria. Poi sono fuggito e mi sono andato a costituire  al carcere di via Tanucci.

Il Russo protestò con gli altri vincitori della partita a bocce per essere stato escluso dalla distribuzione del vino. Il Coppola aveva risposto al Russo che si vi era uno che avrebbe dovuto offendersi questi era lui perché forestiero e ‘più uomo di tutti’.

Tale frase, benché detta in tono scherzoso,  era stata però interpretata come un’offesa dal Russo che infatti replicò: ‘Ti credi di essere più uomo di me…tu non sei neanche il  c…. mio …’  e continuò poi ancora ad inveire nonostante il Coppola tentasse di por fine alla questione dicendogli…’Va bene superiore non fa niente’

Poi intervenne il De Caprio che richiamò il Russo dicendogli. ‘Sei sempre tu, la vuoi finire, adesso mi stai rompendo il c… e subito dopo il Russo si era diretto verso casa. Il Russo ritornato dopo pochi minuti aveva sorpreso il gruppo di amici fuori alla osteria ed aveva fatto fuoco dicendo: ’Don Pasquale De Caprio vediamo chi è più uomo addo sta o guappo?’ .

Il processo, la condanna a 22 di reclusione, l’appello, la conferma della sentenza, il sigillo degli Ermellini

Il verdetto di primo grado fu, pertanto, di infliggere per l’omicidio – in considerazione della particolare personalità, con la concessione delle attenuanti generiche, anziché la pena dell’ergastolo, quella di anni 20 di reclusione e di aumentare poi detta pena ad anni 22 per la continuazione.

Avverso la sentenza propose appello l’imputato perché ‘escludendosi’ la volontà omicida e l’aggravante del motivo futile, fosse concessa l’attenuante della provocazione con irrogazione della pena minima edittale.

Con altro motivo si chiedeva la perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato.

Gli avvocati Alfredo De Marsico e Carlo Cipullo che assistevano il Russo, il 28 novembre del 1960, depositarono in cancelleria i loro motivi di appello contro la sentenza di primo grado.

Risulta dagli atti che il Russo al momento del fatto, era affetto da un grave esaurimento nervoso che rendeva il suo carattere irritabile ed instabile. Stando così i fatti non si può stabilire fino a che punto questo male aveva compromesso la sfera intellettiva e volitiva dell’imputato.

Di tal che si rende necessario l’indagine chiesta per stabilire se “In ordine alla richiesta di perizia psichiatrica sull’imputato – replicarono i giudici della Corte di Assise di Appello di Napoli motivando il loro rigetto – si osserva che il vizio di mente intanto può riconoscersi in quanto discenda da uno stato morboso, dipendente a sua volta da uno stato patologico, tale da rendere certo che l’imputato, al momento di compiere il fatto, era, per l’infermità, in tale stato mentale da cogliere e da scemare grandemente, senza escluderla, la capacità di intendere e di volere.

E che, pertanto,  perché si possa disporre una perizia a questo fine è necessario che i gravi e fondati indizi si ricolleghino ad uno stato dell’imputato recante la natura e le conseguenze anzidette.

Orbene niente di simile si evince dai precedenti di vita dell’agente Russo nonché dal comportamento di questi durante il delitto e le mere affermazioni dell’imputato di un leggero esaurimento nervoso, a parte che non concretano quei seri e fondati indizi voluti dalla legge, non rendono evidente nè hanno riferimento sullo stato morboso patologico di cui sopra,  al pari della asserita possibilità di influire nel processo di determinazione e di inibizione, non sono tuttavia suscettibili di alterare la capacità di intendere e  volere, si rigetta, pertanto, il relativo motivo di appello”.

La difesa tentò anche altre ‘strade’ per cercare di ridurre la dura condanna.

Oltre alla ‘carta’ della seminfermità mentale si giocò anche quella della esclusione della ‘volontà’ omicida, in subordine, qualificare il fatto ‘colposo’ o quanto meno ‘preterintenzionale’.

Ma i giudici di appello respinsero anche questa tesi.

La speranza è l’ultima dea e la più preziosa di tutte le cose, perchè senza speranza gli uomini non possono vivere.

E nella speranza che la Cassazione (ultima spiaggia giudiziaria) accogliesse le ultime suppliche della difesa  e l’avvocato Ciro Maffuccini insistette.

La Corte di Assise di appello ha rigettato il secondo motivo di appello sostenendo che cause del fatto sarebbe stata una discussione dovuta per motivi di gioco. Evidente è l’errore di motivazione, invero, i giudici di appello avrebbero dovuto valutare il tenore della discussione.

Se ciò fosse stato fatto si sarebbe contestato che nel discorso, umano e giustificabile che intercorreva fra il ricorrente, Vito Natale e Giovanni Giaquinto, intervennero il Coppola e il Di Caprio, i quali, con violenza, pronunciarono  nei confronti del Russo parole ingiuriose.

Che le ingiurie furono la causa del delitto si deduce anche dalla deposizione del teste Giuseppe Della Peruta il quale interrogato dal giudice istruttore affermò che il Russo appena entrato nel carcere a sua domanda rispose: “Sono stato sfottuto e messo in croce”.

Si chiede, pertanto, la cassazione della impugnata sentenza con rinvio.

La Cassazione invece rigettò il ricorso.

LUNEDI’ 27 DICEMBRE SU CRONACHE di CASERTA

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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