Marcianise. ‘Stalking’ all’inverso: quando è lei ad usare violenza e ricattare il compagno
Quando si parla di violenza si può inciampare nel sillogismo che ad essere vittima sia sempre una donna e ad essere carnefice sia sempre un uomo, il che è decisamente falso.
Cinque milioni di uomini, ogni anno, sono vittime delle violenze femminili; è raro che le donne arrivino ad uccidere, ma sono capaci di ricattare, umiliare e distruggere economicamente i propri compagni.
Cinque milioni non sono certamente pochi, semplicemente se ne parla meno per vergogna, per paura di non essere creduti o perché si riescono a nascondere meglio le conseguenze.
Tuttavia un uomo che subisce violenza prova le stesse sensazioni di una donna: paura, disagio, umiliazione, dolore e senso di colpa.
Considerati culturalmente il “sesso forte”, dovrebbero infatti gestire il senso di vergogna che proverebbero nell’ammettere pubblicamente di essere succubi delle proprie compagne al punto tale da ritenersi vittime della loro violenza.
E se anche non fosse un problema di stigma sociale, molto spesso violenze fisiche o psicologiche non sono riconosciute come tali, specie se vengono stabilite come modalità relazionale all’interno della coppia e della famiglia.
Le donne, inoltre, biologicamente hanno una forza fisica inferiore a quella dei maschi. Per questo motivo è considerato altamente improbabile che le donne siano in grado di commettere violenza fisica su un uomo. Ma anche questo non è vero: le donne graffiano, mordono, strappano i capelli, lanciano oggetti.
Molte di loro mettono in atto comportamenti violenti contro i propri partner senza aver paura di ripercussioni, perché perfettamente consapevoli del fatto che, anche se l’uomo provasse a denunciare l’accaduto, la sua testimonianza potrebbe venire considerata bizzarra o, comunque, non del tutto attendibile com’ è accaduto ad un’uomo di Marcianise.
A tal proposito si potrebbe rammentare qualche episodio dove il cosiddetto ‘gentil sesso’ opera qualche ricatto.
Commette estorsione e non VIOLENZA PRIVATA l’amante che si fa consegnare soldi dal partner per non rivelare la relazione extraconiugale alla di lui moglie.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con la SENTENZA n. 49315/2016 che ha accolto il ricorso del P.M. contro la decisione della Corte d’Appello.
Chi ha un’arma finisce sempre per usarla o, comunque, per minacciarne l’uso. Anche in tempo di pace.
Secondo un’indagine pubblicata da un noto rotocalco nazionale (ricavata da uno studio di psicologia forense dal titolo “Indagine conoscitiva sulla violenza verso il maschile”), la donna moderna mette in atto una serie di violenze fisiche, sessuali e psicologiche ai danni del compagno.
Qui non c’entra nulla la forza muscolare, ma quelle delle armi giudiziarie (quando non si tratta di calci, graffi e pugni cui, all’eventuale reazione, segue immediatamente la denuncia per violenza privata).
Lo studio evidenzia ciò che un po’ tutti – per vie dirette o traverse – sanno.
Dalla strumentalizzazione dei bambini alla minaccia di “mandare in rovina” l’ex con la richiesta di un cospicuo assegno divorzile: tutti strumenti utilizzati da un numero crescente di donne nei casi di crisi della coppia. E ciò proprio per via di una maggiore coscienza di quelli che sono gli indirizzi delle aule dei tribunali.
Secondo il report, il 68% delle donne ricatta il marito di chiedere la separazione, togliergli casa e ridurlo in rovina, chiedendo un mantenimento elevato (la classica trincea è la legge: “Voglio quello che prevede la legge”, quando, invece, come noto, la legge non fissa alcun parametro certo).
Il 58% lo minaccia di portargli via i figli mentre il 59,4% di ostacolarne i contatti. Il 43,8% delle donne addirittura ricatta il proprio marito di impedirgli definitivamente ogni contatto con la prole, anche dopo la separazione e l’affidamento che, per legge, è invece condiviso.
C’è dell’altro. Quand’anche tutto si svolga nella norma, sono poche le donne che, risultando collocatarie dei figli, evitino a questi i commenti dispregiativi nei confronti del papà, incrementandone l’avversità e, di fatto, l’incomunicabilità.
Insomma, addio stereotipi della donna vittima. La statistica ne è testimone.