L’angolo dello psicologo/ La dipendenza affettiva
Siamo al terzo numero della rubrica “L’angolo dello psicologo”. Il tema di oggi riguarda il tema della dipendenza affettiva.
Negli ultimi anni assistiamo, nel panorama della divulgazione scientifica, ad un’esplosione di interesse per il fenomeno della dipendenza affettiva quasi sempre connotata come una patologia della relazione. Chi scrive crede sia opportuno fare un passo indietro, comprendere cos’è la dipendenza affettiva per poi gettare uno sguardo alle sfumature patologiche che può assumere in alcuni casi particolari. Dal punto di vista etologico il cucciolo umano, confrontato ad altre specie animali, alla nascita presenta scarsissime capacità motorie e cognitive che lo rendono di fatti incapace a provvedere ai propri bisogni di natura fisiologica, di protezione e affettivi. Chi si prende cura del neonato, generalmente la madre, ha nei primi anni di vita un ruolo fondamentale per la sopravvivenza del bambino. Gli studi sulla relazione madre – bambino nei primissimi anni di vita mostrano come il neonato presenti molto precocemente dei comportamenti innati tesi a garantire una vicinanza di chi si prende cura di lui, pendiamo al pianto, al sorriso rilfesso, al riflesso di prensione. Sul piano relazionale viene in questi primi anni a palesarsi una chiara relazione di dipendenza, in cui il neonato incapace a provvedere ai propri bisogni necessita della presenza di un altro adulto che si prenda cura di lui. Questa dipendenza non ha nulla di patologico, ed è anzi essenziale alla sopravvivenza del cucciolo umano. Quando questo momento di totale dipendenza è superato in maniera sufficientemente positiva, il neonato poi bambino e adulto sarà in grado nel tempo di dimostrare gratitudine all’altro per le cure ricevute e andrà soprattutto a creare una capacità fondamentale per le relazioni mature: la capacità di accettare un certo grado di dipendenza nei confronti delle persone che amiamo. In una relazione matura, entrambi i partner si prendono cura uno dell’altro reciprocamente e sono consapevoli di aver bisogno del supporto dell’altro. In realtà per noi terapeuti, nella stanza di analisi, accade sempre più spesso imbattersi in persone che hanno un profondo e radicato timore di aprirsi all’altro e che quindi mostrano grosse difficoltà ad accettare i propri bisogni di dipendenza dalle persone vicine, per timore di essere deluse o abbandonate. Questo timore è, quasi come un dipinto, una rappresentazione cristallizzata e chiara delle precoci difficoltà che hanno caratterizzato le prime relazioni vissute da queste persone ed emergono racconti di maltrattamento, trascuratezza, abbandono che documentanto in maniera fin troppo concreta tali difficoltà. A queste si contrappongono storie diametralmente opposte di genitori “perfetti”: la signora M racconta di come la madre fosse come un’amica per lei, sempre presente e pronta ad indirizzarla. In questi casi spesso assistiamo ad un arresto dello sviluppo delle capacità di autonomia, ad una incapacità da adulti a prendersi cura di se stessi che può predisporre a svariate forme di dipendenza, tra le quali la dipendenza affettiva.
Per contattare il Dott. Bortone fare riferimento all’indirizzo mail contenuti in quest’articolo in cui è stato trattato il tema relativo all’incapacità di amare.
Rubrica, l’angolo dello psicologo/ Perché alcuni non riescono ad amare?
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