‘Io sono io, voi non siete un ca**o’: ‘spigolature’ dalla ‘Leopolda’ di ‘Italia Viva’
«Sono l’ago della bilancia» ha detto Matteo Renzi alla Leopolda con un tic linguistico persino più usurato di «qualcosa bolle in pentola», «la madre di tutte le battaglie» e «non ci sono più le mezze stagioni». Tanto più che, in questo lungo momentaccio, l’ago più ambito non è quello dell’equilibrio, ma quello della siringa, l’ago che fa il buco, l’ago della terza dose contro, ça va sans dire, la quarta ondata.
Ovviamente l’ago della bilancia torna comodo quando «impazza il totonomine», quando bisogna eleggere, votare e dunque scegliere anche se non c’è una maggioranza.
Perciò l’ago si confonde con il “king maker” o “regista” che, ovviamente, è “occulto”. Come sempre è accaduto alle parole-rifugio, quali per esempio “periferia” “sessismo” o “resilienza”, anche “l’ago della bilancia” ha avuto il suo posto d’onore nella coscienza collettiva prima di aggiungersi al lungo elenco dei non-luoghi semantici della politica – “popolo”, “palazzo”, “processo” -, prima di ridursi a deliquio come «intanto Venezia muore», «ce lo chiede l’Europa» e «tre indizi fanno una prova». Il modello più alto, l’ago della pace e del Rinascimento, è stato Lorenzo il magnifico, celebrato da Machiavelli come «l’ago della bilancia intra i principi italiani» lui neppure principe e d’un piccolo principato, e per giunta, secondo Guicciardini, «di statura mediocre», «il viso brutto la pronunzia e voce rauca» e «libidinoso e tutto venereo». Dal Quattrocento al Novecento tocca a Montale consegnare l’ago della bilancia al disincanto dello scetticismo: «Per me / l’ago della bilancia / sei sempre tu. / M’hanno chiesto chi sei. / Se lo sapessi/ lo direi a gran voce. E sarei chiuso / tra quelle sbarre donde non s’esce più».
Più modestamente, l’ago che sulla bilancia seppe spostarsi a scatti, ora equilibrando e ora squilibrando, fu Bettino Craxi. E però Matteo Renzi, che con il consenso ha via via ridotto l’ambizione, a questa Leopolda ha citato Pierferdinando Casini che con il suo Centro occupava, ha detto, «lo spazio politico». Casini era insomma ridotto a una miseria elettorale come il raccolto andato a male del contadino Sancho, ma con un 7 per cento oscillava, si offriva e si negava e dunque diventava determinante: faceva l’ago della bilancia per emergere dal sottoscala dell’irrilevanza. Ed ecco dunque che l’ago della bilancia si confonde con il Centro, altro tic linguistico, altro sinonimo di irraggiungibile equilibrio. Nell’universo che ha aperto il suo perimetro, nella politica che si affida alla testa e alle gambe, Renzi torna dunque all’ombelico, che è la cicatrice natale, il punto mediano dove tutto l’ingorgo politico va a defluire.
Come l’Esaù dell’Opera dei pupi, il quale nega quel che rivela e rivela quel che nega – «A voi non dico/ di essere incantato nell’ombelico» Renzi vuol fare l’ago della bilancia per continuare ad esibirsi nella colpevole ma simpatica inadeguatezza di rimirarsi e rimuginarsi l’ombelico.
Il Marchese del grillo (di Davide Desario da “Leggo”)
(di Francesco Merlo – la Repubblica – Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)