‘Artemisia e Belle Greene’, donne da vera rivoluzione: intrigante intervista all’autrice del libro
Dopo la biografia dell’artista, Alexandra Lapierre esce con un libro sulla bibliotecaria di J.P. Morgan.
Alexandra Lapierre è come una bibliotecaria che accompagna il lettore tra gli scaffali. Consiglia cosa leggere. Chiede cosa si ama. Conserva il bello. E difende la memoria. “In questo sono come Belle”.
In qualche modo sì. Ma tutto parte sempre da un momento di collera, quando mi domando com’è possibile che un tal personaggio non sia conosciuto: era accaduto con Artemisia (libro del 1999), poi è successo con Belle; Belle è stata la prima a rincorrere il sogno di portare negli Usa la conoscenza, esattamente nel momento in cui gli statunitensi capiscono che i soldi non bastano a costruire una cultura.
La sua chiave di scrittura?
Essere più vera possibile, basarmi sulle testimonianze, sui documenti che toccano destini fantastici, completamente dimenticati; (sorride) ora, in Francia, Artemisia non è più una sconosciuta.
Mentre prima?
Quando ho iniziato a occuparmene, ed era il 1990, nel mio paese era un’artista anonima; l’editore era terrorizzato, non capiva la necessità di trasferirmi in Italia, poi giudicava il barocco come poco affascinante per i francesi. Alla fine sono rimasta a Roma cinque anni, e prima di arrivare mi sono iscritta alla Sorbonne per studiare Storia dell’Arte.
“Belle Greene” è un libro su una donna, ma non tende a compiacere le donne?
Voglio offrire a un ampio pubblico le chiavi per scoprire un mondo perduto, che ha ripercussioni sull’oggi: Belle era una donna di colore che decide di rischiare la vita e di passare per bianca; insomma era sì libera, ma incatenata a logiche della società.
Quanto è difficile staccarsi dai suoi personaggi, visto che ci convive per anni?
Molto. Ma dopo aver concluso un libro non lo riapro più e tratto i personaggi come gli amori che pian piano finiscono; (sorride) tempo fa ero in Spagna, per caso ascolto in inglese una storia. Mi fermo. Chiamo mio marito: “È un disastro, qualcuno mi ha rubato l’idea”. Passano cinque minuti, era di nuovo lui: “Ale, è il tuo libro!”.
Nei libri lascia traccia di sé?
Solo nella scelta del personaggio; Belle è un inno ai libri, alla vita e alla libertà. E sono così. Per il resto devo restarne fuori.
E con Artemisia?
Alla fine in molti si sono sbagliati e per strada mi hanno chiamato Artemisia. Io mi giravo, lo trovavo normale.
Suo marito è “stato” con Artemisia.
Non la sopportava più; (sorride) con Belle sono stata fortunata: i primi di marzo del 2020 torno dagli Stati Uniti con un numero incredibile di documenti. Dopo è scattato il lockdown: mi sono chiusa in casa senza i soliti sensi di colpa.
Nella scrittura è scientifica alla Simenon?
È fondamentale. Dopo la ricerca costruisco un impianto dettagliato e una sinopsi. Da quel piano non mi discosto e quando mi allontano sbaglio sempre; (ci pensa) il libro è una briciola rispetto a tutto quello che ho trovato e mi ha affascinato: è fondamentale saper scegliere.
Quando termina un libro, cosa pensa?
Che è l’ultimo. Che non ne posso più.
Quanto dura il “basta”?
Non ci sono regole.
Qual è la sua urgenza?
Combattere la morte, conservare la memoria, lasciare una traccia; Artemisia era un’artista talmente unica che gli esperti del tempo erano convinti che i suoi quadri in realtà fossero di Caravaggio: queste storie devono restare.
Il suo libro di formazione?
Anna Karenina: adoro il mondo raccontato da Tolstoj, con dei personaggi in teoria secondari in realtà formidabili.
Tra 250 anni cosa potranno scoprire di lei?
(Ride) Non mi sono mai posta questa domanda; (pausa) forse, come Belle, parleranno di una donna interessata a tutto. Una donna curiosa.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)