‘Loggia Ungheria’: Ecco come si tentò di inquinare l’inchiesta: ce lo spiega ‘Il Fatto Quotidiano’
La storia dell’inchiesta sulla loggia Ungheria e della divulgazione dei verbali secretati di Piero Amara, rischia di dover essere riscritta alla luce di una scoperta che il Fatto Quotidiano è in grado di rivelare ai propri lettori: l’esistenza – e la circolazione – di ben nove verbali d’interrogatorio resi dall’ex legale esterno dell’Eni che riportano le seguenti date: 18 e 24 novembre 2019; 2, 6, 12, 14 e 15 dicembre 2019; 11 gennaio 2020.
Quel che finora è stato ricostruito, infatti, è che nell’aprile del 2020, il pm Paolo Storari consegna al consigliere del Csm Piercamillo Davigo sei verbali in formato Word, quindi non firmati.
Datiamo l’evento ad aprile 2020 perché è lo stesso Storari a indicare questa data, confortato dinanzi alla Procura di Brescia da Davigo che però l’anno prima, dinanzi ai colleghi di Perugia, qaundo collega la rottura col consigliere del Csm Sebastiano Ardita, alla conoscenza di notizie coperte dal segreto, colloca l’ evento a marzo, l’epoca in cui venne messo a conoscenza dell’esistenza della Loggia Ungheria.
Chi vi scrive, però, di verbali secretati ne ha visionati nove – quindi tre in più – ma, soprattutto, non in formato Word: si tratta di verbali firmati dai pm, dall’indagato, dal suo avvocato. Copie che dovrebbero essere nei cassetti delle Procure.
Ma non è stato né un pm, né un investigatore a metterci nelle condizioni di vederli. Erano altrove. E già questo è un elemento inquietante: perché mai queste copie sono in giro? Prendiamo a prestito le parole che Storari proferisce alla Procura di Brescia quando dà una definizione del contenuto di questi interrogatori: un “inferno”, roba che, se fosse risultata vera, avrebbe potuto far “cadere mezzo Paese”.
Bene, com’è possibile che questo “inferno”, che questo materiale incandescente sia in circolazione? Delle copie Word affidate da Storari a Davigo s’è già scritto molto e le copie che il Fatto ha visionato non vanno confuse con i documenti Word affidati all’ex consigliere del Csm. Qui si parla d’altro: documenti ufficiali che qualcuno ha fotografato e portato all’esterno della Procura. A quale scopo? E soprattutto, quando?
Armanna è un ex dirigente Eni, in quel momento imputato per corruzione internazionale, con l’ad di Eni Claudio Descalzi e Luigi Bisignani, nell’ambito del processo Opl 245 (sarà assolto con tutti gli altri imputati in primo grado). Ma è anche l’uomo che ha dichiarato, confortato dalle conferme di Amara, di essere stato convinto a ritrattare proprio da uomini legati a Eni le sue accuse nel processo in cambio di una riassunzione nel colosso petrolifero e la conclusione di altri affari.
Se tutto questo sia vero o falso lo stabilirà la Procura di Milano e l’eventuale processo. Quel che conta, però, è il dettaglio rivelato da Storari: “Il 17 febbraio viene interrogato Armanna… e durante l’interrogatorio mi sventola in faccia una pagina dell’interrogatorio dell’11 gennaio 2020, di Piero Amara, dove si parla di Ungheria. Interrogatorio secretato ovviamente… e me la sventola la fotografia dove ci sono le firme. Richiesto di dire: chi è che te l’ha dato s’inventa un sacco di balle”.
In sostanza, Armanna indica il nome di una persona – Filippo Paradiso, ex funzionario del ministero dell’Interno – che, perquisito, non risulterà in possesso di alcun documento. Il punto è questo: se la fotografia di quell’ultima pagina sventolata da Armanna, quella del verbale dell’11 gennaio 2020, dovesse coincidere con quella che il Fatto ha visionato, allora è certo che questo verbale – e potenzialmente, tutti – è in circolazione già dal febbraio del 2020. Quindi appena due mesi dopo le dichiarazioni di Amara e due mesi prima dei file Word consegnati da Storari a Davigo. Non male per essere un’inchiesta delicatissima.
Una spiegazione la fornisce sempre Storari nel suo interrogatorio, quando dice che a dicembre – ma probabilmente confonde il mese con gennaio –, Amara chiede di poter rileggere tutti i suoi verbali e, precisando che lui non era presente, dichiara: “Probabilmente in un momento di distrazione (dei presenti, ndr) mentre leggeva (Amara, ndr) ha fotografato una pagina”. Spiegazione valida per una pagina, ma non per un blocco di circa 90 fogli.
A meno che – ed è difficile da credere conoscendo la serietà degli inquirenti – Amara non sia stato lasciato solo a pascolare per le stanze della Procura di Milano. Altra ipotesi: gli atti sono stati fotografati in più occasioni. Anche perché alcuni verbali – quello del 16 dicembre, per esempio – risultano fotografati direttamente dal monitor (con i bordi neri e di marca Samsung) di un computer. Ma essendo secretati, da quale altro computer, se non quello di una Procura o di un investigatore, potevano essere stati fotografati?
Per quanto il Fatto ha potuto verificare, i verbali combaciano nel contenuto letterale (anche se a volte sono disallineati: a tratti non collimano le righe, le ultime parole di qualche pagina finiscono nella successiva) con quelli in formato Word consegnati da Storari a Davigo e, quindi, da questo esame risultano autentici. Altri verbali sono stati invece fotografati mentre erano sul tavolo di una scrivania.
Si scorge un codice (non si capisce se di Diritto civile o penale) edito dalla Hoepli. In altri casi i fogli presentano delle sottolineature o dei segni sui bordi con un pennarello. Non v’è scenario, in questa ricostruzione, che data la delicatezza di una simile indagine non risulti inquietante.
Ipotizziamo che li abbia fotografati Amara per conservarne memoria: ma come mai Armanna è in possesso di uno di questi fogli? Chi glielo ha dato? E perché? Qual è l’obiettivo? E come mai Armanna riporta il foglio in Procura “sventolandolo”? Qual è il segnale che sta lanciando agli inquirenti?
I casi sono due: o la circolazione di questi verbali era funzionale a distruggere l’indagine avvertendo gli indagati o spingendo qualcuno a smentire Amara, oppure a rafforzarla, fornendo a eventuali testimoni l’opportunità di confermare le sue parole. In entrambi i casi, saremmo di fronte a un inquinamento probatorio devastante.
e davvero le foto e il contenuto di questi verbali, come è probabile, erano in circolazione già nel febbraio 2020, l’inchiesta sulla Loggia Ungheria è stata inquinata sul nascere. E, se così fosse, per raccontare la vera storia di questa indagine – e forse dell’esistenza stessa della Loggia Ungheria – è proprio da qui che si dovrebbe ricominciare.
(di Antonio Massari – Fonti: Il Fatto Quotidiano – Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)