Ergastolo ostativo L’autunno caldo. Boss in libertà I pareri: delle toghe
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Ergastolo ostativo L’autunno caldo. Boss in libertà I pareri: delle toghe
Via alla discussione sulla norma che la Consulta ha chiesto di riscrivere I pm: “La dissociazione al clan da sola non basta”
Entrerà nel vivo, da mercoledì, la discussione in commissione Giustizia alla Camera sull’ergastolo ostativo, la norma che, attualmente, impedisce a detenuti mafiosi e terroristi di accedere alla libertà condizionata se non hanno collaborato. Il procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero De Raho, l’ex procuratore Gian Carlo Caselli e anche l’ex Pg di Palermo Roberto Scarpinato, sono tutti stati chiamati per esprimere il loro parere (che Il Fatto in alcuni casi ha già raccolto) sui disegni di legge presentati da diverse parti politiche. Il Parlamento, infatti, ha tempo fino al maggio 2022 per approvare una modifica dell’attuale normativa (articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario). A dettare la linea di un ammorbidimento della legge e anche i tempi in cui deve avvenire, è stata la Corte costituzionale con una sentenza del 15 aprile, dopo che la Cassazione aveva chiesto che dichiarasse l’illegittimità costituzionale della norma.
La sentenza la corte: “art. 4 bis incostituzionale”
La Corte, però, ha scelto una “terza via”: ha stabilito la violazione dei principi dell’uguaglianza e della rieducazione della pena (articoli 3 e 27) e del divieto di pena disumana (articolo 3 della Cedu) e contemporaneamente ha anche deciso che deve intervenire il Parlamento. Che dovrà tenere conto, come hanno indicato i giudici, “sia della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia”.
Non siamo nel campo dei tecnicismi: le modifiche del 4 bis avranno conseguenze concrete su quel sistema di contrasto alla mafia ideato da Giovanni Falcone e diventato legge solo dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. E soprattutto riguarderanno la condizione in cui si trovano importanti boss, come – in astratto – anche boss stragisti come i fratelli Graviano o Leoluca Bagarella, appena condannato in Appello a 27 anni nell’ambito del processo sulla Trattativa.
In aprile la Consulta non si è spinta fino a un intervento netto come nel dicembre 2019, quando la Corte, presieduta dall’attuale ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha consentito, sia pure tra diversi paletti, i permessi premio pure ai boss o terroristi ergastolani che non hanno collaborato.
M5s, fdI e Pd Le tre proposte di legge in discussione
All’esame della commissione Giustizia ci sono dunque tre proposte di legge. Quella targata M5S (firmata da Vittorio Ferraresi, Alfonso Bonafede, Giulia Sarti e altri) si preoccupa di non aprire varchi ai mafiosi con questa modifica imposta dalla Consulta. Per poter accedere non solo alla libertà condizionata, ma anche ai permessi premio, il detenuto dovrà fornire “elementi concreti”, al di là della “mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale, che consentano di escludere con certezza” collegamenti con i clan; deve anche giustificare il perché della mancata collaborazione; deve dimostrare di aver risarcito le vittime del reato da lui commesso e in caso contrario deve dimostrare di non averne le possibilità. A decidere in merito ai benefici di legge, secondo il ddl M5S deve essere, come chiedono i magistrati antimafia, un unico ufficio, presso il Tribunale di sorveglianza di Roma, in modo da non sovraesporre i singoli giudici. Simile la proposta di Fratelli d’Italia (iniziativa dei deputati Delmastro Delle Vedove, Ciaburro e altri), che chiede la prova che i detenuti abbiano rescisso ogni legame con le associazioni criminali. “A tal fine – si aggiunge – il magistrato di sorveglianza acquisisce dettagliate informazioni”, per esempio anche in merito alla mancata collaborazione e fa le proprie valutazioni. C’è anche un ddl precedente alle pronunce della Corte costituzionale, della deputata Vincenza Bruno Bossio (Pd). Propone che “siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva”, ma vorrebbe un giro di vite per i pareri dei pm antimafia: senza valutazioni sulla concessione dei benefici, si dovrebbero limitare solo a “elementi fondati e specifici” sui collegamenti o meno dei detenuti con gli ambienti criminali.
I magistrati “si tratta di uno strumento irrinunciabile”
La commissione Giustizia comincerà con le audizioni di rappresentanti di categoria e magistrati già da mercoledì. Alcuni li abbiamo sentiti per anticiparci qualche punto che, a loro parere, dovrebbe contenere la nuova normativa. Secondo Gian Carlo Caselli “si dovrà escludere la rilevanza di ogni mera dichiarazione di dissociazione, posto che la stessa Consulta l’ha definita come un atteggiamento facilmente strumentalizzabile per dissimulare il persistere di una sostanziale adesione al clan. Né dovrà bastare la buona condotta carceraria del boss ergastolano, come indicato anche dalla stessa Corte. Quindi auspico che si preveda uno speciale rilievo delle relazioni obbligatorie dei procuratori (nazionale e distrettuali) antimafia che potranno essere disattesi, ma solo in base a un’attenta, puntuale e specifica motivazione”. “In caso di impugnazione del pm – conclude l’ex procuratore –, il provvedimento non dovrebbe essere eseguibile fino alla successiva pronuncia”. Il giudice di Sorveglianza di Napoli ed ex pm a Palermo, Alfonso Sabella (che sarà in commissione giovedì), sentito dal Fatto, parte da una premessa: “La sentenza della Corte costituzionale ce la siamo un po’ cercata: abbiamo esagerato nella misura in cui abbiamo fatto morire al 41-bis Bernardo Provenzano, ormai un vegetale e Raffaele Cutolo, che era a capo di una organizzazione camorristica che non ha più potere da 20 anni. Ma riconosciuti questi errori di ‘applicazione di pancia’, deve essere chiaro che non possiamo permetterci di rinunciare a strumenti come questo, imprescindibili per il contrasto alle mafie”. Secondo Sabella c’è del buono nella proposta M5S: “È centrata nella misura in cui chiede una prova reale dell’interruzione di qualsiasi collegamento del detenuto con l’organizzazione criminale”.
Nelle intenzioni dei 5Stelle c’è poi anche la possibilità di chiamare in commissione Giustizia alla Camera anche il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli (non ancora convocato formalmente). Ex pm antimafia a Caltanissetta e a Roma, Tescaroli vorrebbe che la nuova normativa contenesse un’eccezione restrittiva per boss di spicco ergastolani che non hanno collaborato: “Il legislatore potrebbe virare sul mantenimento, a tempo, di una presunzione assoluta di pericolosità sociale, sino all’annientamento del relativo sodalizio. La caratura di questi detenuti potrebbe essere stabilita da relazioni delle Procure distrettuali e della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, che dovrebbero essere vincolanti per il giudice. In tutti gli altri casi, si potrebbe prevedere che il giudice si possa discostare da un eventuale parere negativo dei pm, ma con provvedimenti specificatamente motivati”. Come tanti altri magistrati antimafia, se non la totalità, Tescaroli auspica che “la semplice dissociazione, anche con dichiarata ammissione delle proprie responsabilità, sia esplicitamente esclusa come prova del ravvedimento del detenuto; dovrebbe, inoltre, esserci un obbligo di dimora in aree diverse da quelle del sodalizio criminale di appartenenza del detenuto ergastolano”.
La questione ora è in mano alla politica.
FONTE: di Antonella Mascali e Valeria Pacelli | 26 SETTEMBRE 2021
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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