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Covid-19. Vaccinazioni, terza dose no, ‘ni’ e infine si: comincia sempre col ‘chiacchiericcio’?

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Carlo Alfaro, Dirigente Medico di Pediatria presso gli Ospedali Riuniti Stabiesi 

(Napoli), ove è titolare di Incarico professionale di consulenza, studio e ricerca di Adolescentologia ci spiega se sarà opportuno (o meno) somministrare la terza dose del vaccino contro il Coronavirus. 

Nonostante dalla fine del 2020 sia iniziata la più impegnativa e imponente campagna di vaccinazione della storia dell’umanità, la pandemia da Sars-CoV-2 continua a imperversare ovunque nel globo, creando sempre nuove sfide alla scienza nel tentativo di dominarla.

Tra queste, sta dividendo il mondo scientifico il dubbio sull’opportunità di somministrare una terza dose del vaccino contro il Coronavirus, oltre le due già previste dal ciclo vaccinale, o, nel caso del vaccino Johnson & Johnson, di una seconda dose dopo la dose singola.

La dose di “rinforzo” (booster) servirebbe a richiamare le difese immunitarie elicitate dal ciclo vaccinale di base. La vaccinazione sarebbe infatti meno potente nello stimolare delle difese dell’ospite dell’infezione naturale: secondo un ampio studio israeliano uscito su medRxiv (dunque in preprint, non ancora sottoposto alla revisione dei pari) la protezione immunitaria naturale che si sviluppa dopo l’infezione da Sars-CoV-2 offre uno scudo molto maggiore e persistente contro la variante Delta rispetto a due dosi del vaccino Pfizer-BioNTech. Ancora migliore risulta la risposta immunitaria in chi riceve una dose di vaccino Pfizer-BioNTech dopo aver contratto il virus.

Il problema è l’incertezza che sussiste sui tempi di protezione offerti dal vaccino una volta completato il ciclo previsto in scheda tecnica, visto che il follow-up delle persone vaccinate è ancora troppo breve per dirlo.

In base agli studi disponibili, il completamento del ciclo di vaccino dovrebbe proteggere per almeno 9-12 mesi. Le aziende Pfizer e BioNTech hanno pubblicato a fine luglio una ricerca preliminare da cui emerge una riduzione nell’efficacia del vaccino di una media del 6% ogni 2 mesi, fino a scendere dal 96% all’84% a 6 mesi.

In Israele, i ricercatori hanno trovato che le persone completamente immunizzate a gennaio avevano il doppio del rischio di essere infettate da Sars-CoV-2 a giugno e luglio rispetto alle persone vaccinate ad aprile.

Pfizer e BioNTech hanno annunciato di aver presentato all’agenzia statunitense Food and Drug Administration (FDA) i dati iniziali della loro sperimentazione che supporta la terza dose di vaccino, in quanto il booster produce un livello di anticorpi neutralizzanti significativamente più alto. Johnson & Johnson ha comunicato a luglio sul New England Journal of Medicine i dati preliminari di uno studio in base al quale le risposte degli anticorpi neutralizzanti e delle cellule T generate dal vaccino restano robuste e stabili almeno fino a 8 mesi dopo e sono valide anche contro la variante Delta. Successivamente, il 24 agosto, ha aggiunto nuovi dati secondo cui una dose di richiamo aumenta ulteriormente le risposte anticorpali. Il booster del Johnson & Johnson sarebbe necessario in particolare contro la variante Delta verso la quale secondo uno studio americano sarebbe meno efficiente (sebbene questa ricerca sia condotta in laboratorio, non in vivo).

Tuttavia, non si conosce con certezza quale sia la soglia di anticorpi neutralizzanti al di sotto della quale non si sia più protetti, dato che la memoria cellulare mediata dai linfociti T che popolano i centri germinali dei linfonodi potrebbe stimolarli in occasione di un nuovo contatto, anche qualora quelli circolanti fossero scesi considerevolmente. Il vaccino Astrazeneca potrebbe indurre una produzione molto elevata di cellule T della memoria, che assicurerebbero una protezione più prolungata nel tempo rispetto ai vaccini a mRNA.

Un’altra incognita è la capacità di elusione delle risposte immunitarie indotte dai vaccini da parte delle varianti che non si erano ancora affermate nel momento in cui sono stati sviluppati, come la variante Delta, attualmente dominante in molte aree del mondo. Per esempio, in Israele il diffondersi della variante Delta ha fatto documentare un sensibile calo dell’efficacia protettiva del Pfizer (dal 95% al 64%) che può aver favorito l’attuale nuova ondata nel Paese. Nel Regno Unito, uno studio ha trovato un calo di protezione nei confronti della Delta dalla seconda dose vaccinale sia con AstraZeneca (dal 68% di protezione 2 settimane dopo la seconda dose al 61% dopo 90 giorni) che con Pfizer (85% dopo 2 settimane dalla la seconda dose e 75% dopo 90 giorni).

I contagiati vaccinati hanno in genere sintomi più lievi e di più breve durata, nelle casistiche pubblicate. Pfizer e BioNTech hanno reso noto che in base a studi preliminari la terza dose del vaccino induce una produzione di anticorpi neutralizzanti contro la variante Delta, rispetto a due dosi, 5 volte superiori nelle persone più giovani e più di 11 volte superiori nelle persone anziane.

La variante più resistente ai vaccini sarebbe la Beta (sudafricana), per fortuna a circolazione estremamente limitata in Europa.

Ma l’obiettivo reale del vaccino non è la protezione dall’infezione, bensì dalla malattia grave con necessità di ricovero e rischio di morte, e questa protezione non sembra si esaurisca dopo pochi mesi.

Secondo una ricerca dell’Istituto superiore di sanità (Iss), i morti per Covid-19 da febbraio a luglio in Italia sono, nel 99% dei casi, persone non vaccinate o solo parzialmente. Uno studio britannico documenta che, sebbene la protezione immunitaria contro il contagio da parte dei vaccini Pfizer e AstraZeneca cali significativamente circa 6 mesi dopo la somministrazione della seconda dose, la protezione verso il rischio di una malattia grave o di morte resta circa del 96%. Anche in uno studio condotto a New York, l’efficacia del vaccino Pfizer contro l’ospedalizzazione è rimasta ancora oggi vicina al 95%.

La duratura protezione contro ricoveri e morte è il motivo per cui il Green pass sarà prorogato dagli attuali 9 mesi a 12 mesi.

Un altro aspetto critico delle campagne di vaccinazione anti-Covid è che è svanito l’obiettivo dell’immunità di gregge. La variante Delta, potendosi diffondere tra le persone vaccinate, pur non causando danni gravi, rende impossibile raggiugere l’immunità di gregge, che richiede che chi si è immunizzato non si possa riammalare.

Uno studio pubblicato sul British Medical Journal riporta che durante la recente epidemia da virus Delta di luglio nel Massachusetts tra i vaccinati e non vaccinati che hanno sviluppato l’infezione è stata rilevata la stessa carica virale e dunque la stessa probabilità di trasmettere l’infezione. In Italia entro il 30 settembre si prevede che sarà stato vaccinato l’80% degli italiani over 12 anni, una copertura che avrebbe consentito l’immunità di gregge, se non si fosse diffusa la variante Delta.

Dal rischio di perdita nel tempo dell’immunità e a causa dell’impossibilità di una immunità di gregge è nata l’idea di un ulteriore richiamo vaccinale. Rimane incerta la tempistica di questa somministrazione, se sarà il caso di farla. E con quale tipo di vaccino praticarlo: si propone con un vaccino a RNAm anche in chi ha completato il ciclo base con i vaccini a vettore virale (vaccinazione eterologa), in quanto secondo gli studi fornirebbe una protezione maggiore, soprattutto contro la variante Delta.

Un altro argomento dibattuto è se possa servire l’analisi degli anticorpi anti-Spike per verificare la risposta immune prima di decidere per la dose boost di vaccino, cosa al momento non richiesta per procedere al vaccino dopo aver contratto la malattia o dopo la prima dose.

Dal primo agosto Israele ha avviato una campagna di richiami con terza dose per tutti gli over 60 immunizzati con due dosi da almeno 5 mesi, via via estesa fino ai trentenni e da settembre fino ai dodicenni.

Negli Stati Uniti si è iniziato a somministrare una terza dose, a 8 mesi dalla seconda, ai soggetti più a rischio, come gli immunodepressi, mentre dal 20 settembre sarà estesa anche al resto della popolazione.

In Francia è stata raccomandata la terza dose alle persone con più di 65 anni e in fasce a rischio, come gli immunodepressi. Anche la Germania conta di attuare la stessa strategia da settembre.

In Italia si sta pensando di proporre la terza dose alle persone fragili, agli immunodepressi e poi agli operatori sanitari che hanno iniziato le prime dosi a partire da fine dicembre 2020. Infatti, l’Iss segnala un boom di contagi tra i sanitari, 600% in più in un mese, di cui l’84% sono infermieri. Ciò si attribuisce al fatto che i sanitari, vaccinati per primi, sperimentino ora una riduzione della propria immunità, anche se si ammalano per lo più in forme non gravi, grazie alla protezione della vaccinazione.

L’Organizzazione mondiale della sanità ha invitato tuttavia i Paesi ricchi ad astenersi dal somministrare le terze dosi, considerato che ci sono ancora miliardi di persone in tutto il mondo che non hanno ricevuto nemmeno una dose a causa della scarsa disponibilità dei vaccini. Ciò, oltre a non essere etico, non contrasterà la pandemia e favorirà l’emergenza di nuove varianti grazie alla presenza di una continua riserva umana per il Coronavirus.

Negli stessi Paesi ricchi, prima di pensare a una terza dose, bisognerebbe garantire almeno il ciclo base a tutta la popolazione. La Food and Drug Administration sostiene che i cittadini completamente vaccinati non hanno bisogno di una dose di richiamo in questo momento.

Anche secondo l’Agenzia europea del farmaco, Ema, al momento non ci sono dati sufficienti per indicare che sia necessario un richiamo. Contraria alla terza dose anche la rivista Nature che si è fatta promotrice di un appello per fermarne la somministrazione prima di dati sicuri.

Il problema maggiore è che la scelta della terza dose nasce da motivi politici, per la volontà dei governi di evitare nuovi lockdown, molto più costosi delle vaccinazioni, prima di un pronunciamento definitivo della Scienza.

La strada del lockdown, che in Italia e in altri Paesi occidentali è stata percorsa solo una volta e solo all’inizio della pandemia, in quanto difficilmente praticabile, è ancora molto battuta in altri Paesi per affrontare i focolai epidemici da Sars-CoV-2, come Cina, Nuova Zelanda, Australia e Singapore, con buon successo.

In Italia si punta invece sulla convivenza con il virus in persone vaccinate.

Chissà alla lunga quale strategia risulterà migliore.

(Fonte: Lo Speakers Corner – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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