Intercettazioni e segreto di Stato: così Bergoglio ha incastrato Becciu
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Delenda Cartabia
Stupirsi perché l’informazione non informa, anzi disinforma, è come meravigliarsi perché la pioggia non è asciutta. Eppure, a vedere le tv e i giornali sulla “riforma” Cartabia, c’è da rabbrividire. L’Anm, che non è un covo di terroristi ma il sindacato dei magistrati, prevede la morte di 150 mila processi in corso e chissà quanti futuri. Cafiero de Raho, che non è una testa calda ma il procuratore nazionale antimafia, dichiara in Parlamento che l’improcedibilità in appello dopo 2 anni dalla sentenza di primo grado e in Cassazione dopo 1 anno da quella d’appello “mina la sicurezza e la democrazia” perché manda impuniti “reati gravissimi di mafia, terrorismo e corruzione”; e affidare al Parlamento la scelta dei reati da perseguire o ignorare “non è conforme alla Costituzione”. Gli stessi concetti, condivisi da magistrati, giuristi e avvocati, li esprimerà oggi il Csm, che non è un covo di tupamaros ma un organo costituzionale presieduto dal capo dello Stato, se finalmente il Colle gli leverà il bavaglio. Davigo dimostra sul Fatto, sentenze Cedu alla mano, che la procedura d’infrazione, scampata grazie alla blocca-prescrizione Bonafede, ora è assicurata.
Cosa arriva ai cittadini dell’immane catastrofe che sta per abbattersi sulla giustizia, sulla sicurezza, sulla Costituzione, sul dovere dello Stato di punire i colpevoli, sul diritto delle vittime a essere risarcite e degl’innocenti a essere assolti? Nulla, se non che c’è uno “scontro” fra il cattivo Conte e i “giustizialisti” 5Stelle da una parte e i bravi e onniscienti Draghi e Cartabia dall’altra per mettere i bastoni fra le ruote ai Migliori. Sul merito, non una sillaba. Sulle decine di migliaia di processi di mafia, corruzione, stupro, rapina, frode fiscale, giù giù fino ai reati minori (un saluto affettuoso alla legge Zan) al macero, tutti zitti. Dove sono i grandi costituzionalisti che si stracciavano le vesti nel 2009, quando B. tentò la stessa porcata (un po’ meno porca) col “processo breve”? Spariti. Dove sono i Saviano e gl’intellettuali antimafia e anticamorra da parata e da anniversario? Estinti. Nessuno si prende neppure la briga di smentire De Raho, Davigo, l’Anm, il Csm. L’unica cosa che conta è non disturbare il governo, che peraltro nessuno disturba. A questo punto è inutile avvitarsi in mediazioni al ribasso, come se evitare di incenerire 150 mila processi non fosse un dovere di Draghi & Cartabia, ma una gentile concessione a Conte (e naturalmente al Fatto). Molto meglio lasciar passare la porcata così com’è. Chi la vuole vota sì, chi non la vuole vota no. Ciascuno si assume le proprie responsabilità. Poi, ai primi mafiosi, stupratori e rapinatori improcedibili cioè impuniti, le vittime sapranno chi andare a ringraziare. E anche i lettori e gli elettori.
Le riforme dei “migliori” restano al palo
In ritardo la roadmap promessa all’Ue
di Luciano Cerasa, Patrizia De Rubertis e Roberto Rotunno | 29 LUGLIO 2021
Era – o almeno così si è letto un po’ ovunque sulla grande stampa – il fiore all’occhiello del Piano nazionale di ripresa (Pnrr) del governo Draghi. Eppure il capitolo “riforme” sembra essersi impantanato. Al netto della Giustizia, al centro di uno scontro il cui esito ancora non è chiaro, sono almeno tre quelle fondamentali (“abilitanti”, per usare il gergo del Pnrr) che slitteranno a fine estate o in autunno e che comunque rischiano di uscire assai ridimensionate rispetto alle aspettative sollevate: fisco, ammortizzatori sociali e legge sulla Concorrenza. Per tutte e tre, il governo si era impegnato a consegnare un testo al Parlamento entro la fine di luglio, e invece, vuoi per la mancanza di fondi, vuoi per il disaccordo all’interno dell’ampissima maggioranza che regge l’esecutivo, il cronoprogramma è slittato. Le riforme fanno parte di “un intervento epocale, per cui forse non vi sarà più il tempo per porvi rimedio”, ha spiegato Draghi nel suo discorso di presentazione del Piano alla Camera. Ora che inizia il “semestre bianco”, e le Camere non potranno essere sciolte, il lavoro si complicherà ancora. Ecco lo stato dell’arte.
Lavoro È una “riformina”. Ma i fondi non si trovano
Il rinvio all’autunno della riforma degli ammortizzatori sociali rischia di essere doloroso per lavoratori e disoccupati. L’intervento dovrebbe estendere la protezione della cassa integrazione a tutti i settori e a tutti i datori, ma anche rendere più generosi e inclusivi i sussidi di disoccupazione. Promesso entro il 31 luglio, ancora non esiste un testo ufficiale presentato al tavolo con sindacati e Confindustria. Ormai è scontato che sarà rimandato a ottobre, con la legge di Bilancio. Nel frattempo, il primo luglio sono stati sbloccati i licenziamenti e sono partite le prime ristrutturazioni. Per la verità, quello di questi giorni è il secondo posticipo della riforma. Il governo Conte-2 era pronto a presentare un impianto già a fine gennaio, ma poi c’è stata la fuoriuscita di Italia Viva, la nascita dell’esecutivo Draghi e l’arrivo al ministero di Andrea Orlando al posto di Nunzia Catalfo che ha interrotto tutto. Ora, invece, il problema è dato dalle risorse, perché l’unica dote concessa è il miliardo e mezzo ottenuto con la cancellazione del cashback; troppo poco rispetto agli almeno 8 miliardi necessari per un sistema di tutele comunque annacquato rispetto all’ipotesi iniziale. Poi c’è il dilemma di chi deve pagare, con le aziende che si oppongono ad aumenti contributivi. L’esigenza di garantire la cassa integrazione a tutti è un’urgenza emersa soprattutto con la pandemia, quando tante attività hanno dovuto chiudere ma è stata necessaria la cassa in deroga per coprire soprattutto i dipendenti di piccole imprese e servizi.
Fisco Tante idee (sbagliate) Ma senza copertura
Mario Draghi, nell’annunciare davanti al Senato il programma del governo sulle tasse era stato chiaro. Serve una riforma complessiva e profonda basata su due pilastri: ridurre il carico dell’Irpef mantenendo la progressività e la lotta all’evasione. “È un meccanismo complesso, le cui parti si legano l’una all’altra”, per questo, aveva scandito il premier, “non è una buona idea cambiare la tasse una alla volta”. L’Europa si attende tempi rapidi, ricordava il presidente del Consiglio che si era dato una scadenza precisa per la presentazione di una legge delega, il 31 luglio e un modello da imitare: “Faremo come la Danimarca”, filtrava da Palazzo Chigi, dove nel 2008 fu nominata una commissione di esperti che incontrò partiti politici e parti sociali e che solo dopo presentò una relazione in Parlamento. Draghi notava che “un intervento complessivo rende anche più difficile che specifici gruppi di pressione riescano a spingere il governo ad adottare misure scritte per avvantaggiarli”. Sono passati 5 mesi, l’annunciata Commissione di esperti non è stata convocata e in sostituzione si sono fatte avanti le Commissioni Finanze del Senato e della Camera, che hanno trasformato in un documento di indirizzo al governo le audizioni conoscitive condotte nel frattempo con parti sociali e cultori della materia. Nel testo si chiedono riduzioni di imposte per 2 punti di Pil, tra le quali spicca l’abolizione dell’Irap e la riduzione delle tasse sulle plusvalenze finanziarie. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, in una recente audizione, apparentemente ha recepito in pieno le richieste dei partiti, ma con un’avvertenza: non ci sono risorse stanziate e nulla sarà finanziato in deficit. Il Consiglio dei ministri per l’approvazione del ddl non è stato ancora convocato. Se ne riparla ad agosto o, più probabilmente, nella legge di Bilancio.
Concorrenza Dall’Energia ai servizi: troppi i nodi divisivi
Draghi l’aveva presentata come una delle riforme “imprescindibili per la ripartenza del Paese”. L’impianto parte dalle segnalazioni dell’Antitrust e va dai farmaci al mercato libero dell’energia, dai porti ai rifiuti passando per le concessioni autostradali e i servizi pubblici locali. Il provvedimento era stato annunciato per oggi ma, salvo sorprese, potrebbe approdare in Parlamento con uno schema definitivo solo a settembre, se tutto va bene. Il lavoro di stesura del testo ha subito rallentamenti per gli svariati rilievi posti dai ministeri su singoli temi. E la messa a punto del ddl per ora è inimmaginabile. Tempi che si dilateranno ancora di più tenendo conto che, una volta approvata la riforma, poi serviranno una serie di decreti attuativi. Quello sulla Concorrenza è uno dei dossier più ostici da maneggiare. Di sicuro, nella legge non ci sarà la messa a gara delle concessioni balneari prorogate fine al 2033 nonostante la procedura di infrazione Ue per violazione della direttiva Bolkestein. Dovrebbero entrare nel testo le procedure semplificate per l’autorizzazione a realizzare nuovi impianti di gestione dei rifiuti, le norme che rivedono le regole sulle concessioni portuali e le misure per facilitare l’installazione delle colonnine di ricarica per le auto elettriche. Sul fronte della fine della maggior tutela per le bollette di luce e gas, si sta cercando di anticipare il passaggio nonostante nel mercato libero i prezzi in media siano più alti. Potrebbe finire nella legge anche l’uscita del canone Rai dalla bolletta elettrica (ma va evitato il rischio di aprire un buco nei conti Rai). Sui servizi pubblici, dovrebbe arrivare una stretta per il mancato ricorso alle gare, ma sul punto Comuni e partiti non sono d’accordo. Nel Pnrr il governo ha assunto l’impegno di rilanciare a cadenza annuale la legge sulla Concorrenza almeno fino al 2024. Dovrebbe arrivare ogni anno in Parlamento, così come imposto nel 2009. Ma fino a oggi c’è stato un solo provvedimento approvato nel 2017, stilato nel 2015.
Intercettazioni e segreto di Stato: così Bergoglio ha incastrato Becciu
Vaticano – Nell’indagine sul Cardinale il papa ha disposto nuove regole: più poteri ai magistrati
di Vincenzo Bisbiglia | 29 LUGLIO 2021
Intercettazioni telefoniche, riservatezza delle indagini, pieni poteri ai pm, rimozione dei segreti di Stato. Quattro disposizioni di Papa Francesco (in gergo “rescritti”, dal latino rescriptum), firmate fra il 2 luglio e il 13 febbraio 2020, hanno cambiato in corsa – e solo per questa inchiesta – il diritto ecclesiastico, dando alla magistratura vaticana carta bianca nelle indagini sulla gestione dei fondi della Segreteria di Stato. Si è arrivati così al processo, iniziato martedì, nei confronti di dieci persone, fra cui l’ex terza carica vaticana il cardinale Angelo Becciu, e i broker Raffaele Mincione e Gianluigi Torzi. Per Becciu, il 30 aprile 2021 il Pontefice ha disposto con motu proprio (ossia “di propria iniziativa”) che si potesse processare un cardinale, cosa mai prevista dalle leggi vaticane.
Il primo “rescriptum” di Papa Francesco è datato 2 luglio 2019, e segue una richiesta arrivata allo Ior (la banca vaticana) di “effettuare un finanziamento di consistente entità per ragioni istituzionali”. Da questa segnalazione nasce tutta l’inchiesta ora sfociata nel processo a Becciu e ad altri. Così Bergoglio ha consentito che l’Istituto delle Opere Religiose potesse “agire in deroga agli obblighi di segnalazione ad altre Autorità” e dare “dettagliata notizia di quanto a sua conoscenza al Promotore di Giustizia (la Procura vaticana, ndr)”. Lo Ior ha così evitato – come invece era di norma prima dell’intervento del Papa – di informare l’Aif, l’Autorità di informazione finanziaria, deputata al contrasto al riciclaggio, guidata da due degli indagati, l’avvocato svizzero René Brülhart e Tommaso Di Ruzza. Nella stessa lettera il Papa dispone anche che “per le attività di indagine necessarie, l’Ufficio del Promotore proceda (…) sino alla conclusione delle indagini stesse, con facoltà di adottare direttamente, ove necessario in deroga alle vigenti disposizioni, qualunque tipo di provvedimento anche di natura cautelare”. Così i pm vaticani hanno bypassato il giudice istruttore, il corrispettivo del gip nell’ordinamento italiano.
Un altro rescriptum ha poi autorizzato le intercettazioni, telefoniche e ambientali, fino a quel momento non previste dall’ordinamento vaticano. Il 5 luglio 2019 Bergoglio ha disposto che “tra i poteri” del Promotore di giustizia “siano compresi l’adozione di strumenti tecnologici idonei a intercettare utenze fisse, mobili, nonché ogni altra comunicazione anche di tipo elettronico”. Il 9 ottobre 2019 il Papa ha poi permesso agli inquirenti di “procedere (…) alla visione e utilizzazione ai fini giudiziari di tutti i documenti e materiali, cartacei ed elettronici, sequestrati nel corso degli adempimenti a oggi compiuti”. Questo terzo rescriptum è tornato utile ai pm quando Becciu ha provato a trincerarsi dietro il “segreto di Stato” in merito ai soldi destinati alla società slovena riconducibile alla manager cagliaritana Cecilia Marogna. L’ultimo rescriptum, quello del 13 febbraio 2020, ha disposto la proroga delle indagini.
Le nuove disposizioni decise da Bergoglio sono state duramente contestate dagli avvocati Luigi Panella e Cataldo Intrieri, che difendono rispettivamente l’ex gestore delle finanze vaticane, Enrico Crasso, e l’ex alto funzionario Fabrizio Tirabassi. I legali hanno evocato il “tribunale speciale” e la “mancata garanzia del giusto processo”, riscontrando anche l’impossibilità di rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale lo Stato vaticano non ha mai aderito. Paola Severino, ex ministra della Giustizia in Italia, avvocato per parte civile della Segreteria di Stato, ha risposto ricordando che Oltretevere “il Papa è legislatore”, mentre il promotore di giustizia Gian Piero Milano ha liquidato la polemica osservando che le disposizioni di Bergoglio sono “espressione della suprema potestà del Papa”.
(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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