Allegra | Il Matrimonio
Alle nostre madri: senza di esse non saremmo state così… E noi, cosa siamo diventate noi? Le prime della classe, come Allegra e il suo matrimonio
Bianca Sannino
Incontrai per caso Vincenzo, un ragazzo biondo con degli occhi azzurri bellissimi. Era bello Vincenzo, era buono, davvero caruccio. Un maschio beta, di quelli da addomesticare e tenere a cuccia, un uomo con cui poter uscire dal tormento, scappare dalla trappola. Mi serviva per sottrarmi dal maschio alfa della mia famiglia, mio padre. Il padre padrone della nostra famiglia.
Non ne potevo più. Aveva ucciso tutti i miei sogni, le mie aspirazioni, le mie aspettative. Ero in trappola, una trappola fisica e mentale, le mie giornate lunghe noiose, angoscianti. Il mio malessere cresceva in proporzione allo sguardo di biasimo che mia madre mi lanciava. Si, lei mi guardava con biasimo e con una velata perfidia. Sembrava volermi dire: Cosa hai creduto di fare? Hai scelto di nascere femmina, pensavi che per te le cose potessero essere diverse? Guarda i tuoi fratelli, maschi, belli e indipendenti…
Vincenzo un giorno decise di avvicinarsi timidamente a me, gliene diedi il coraggio, guardandolo con finti occhi dolci, così per sciogliere il ghiaccio e permettergli di approcciarsi a me, la figlia del padrone, quella destinata a un altro tipo di matrimonio.
Si avvicinò e io lo attirai nella ragnatela, avevo deciso di usarlo, di renderlo complice della fuga, di usarlo per liberarmi del giogo, avevo bisogno di un altro legame per liberarmi da quello paterno. Ero giovane, molto giovane ma ero impaziente di vivere e l’ingenuità dell’ età legata all’illusione di poter vincere su tutto e tutti mi fece commettere il più stupido dei miei errori.
Il giorno del matrimonio, splendida nel mio vestito da sposa piangevo, piangevo lacrime di sconforto. Sapevo che stavo per commette il più grande errore della mia vita, ma dovevo vendicarmi, mio padre doveva pagare per quello che mi aveva fatto e mia madre doveva vedermi infelice come lo era lei.
Mio padre mi accompagnò all’altare in un muto silenzio, aveva minacciato di non presentarsi neppure a quell’assurdo matrimonio, con quell’imbelle, con quel ragazzotto buono a niente. Come avevo potuto sfidarlo tanto? Questo si chiedeva e non capiva che io avevo ereditato da lui tutta quella caparbia ostinazione che lo aveva portato a costruire un impero.
Ovviamente non poteva accettare che fossi io ad aver ereditato il suo acume per gli affari, la capacità di gestire il personale, il senso del dovere.
Si aspettava che fossero i maschi, due nel frattempo, ma loro erano belli, tanto belli, ma maschi beta pure loro, senza nerbo, senza sostanza, almeno non quella che avevo io, quella che dimostrai poi di avere quando fu necessario, quando salvai tutti.
Il giorno del matrimonio fu più simile ad un funerale, piansi tutto il tempo e non erano certamente lacrime di gioia.
Piangevo perché mi stavo condannando, ero disperata ma non potevo fare altrimenti, dovevo fuggire e al tempo immaginavo che quello fosse l’unico modo. Che stupida!
Bianca Sannino, docente appassionata nella scuola statale italiana, vive e insegna a Portici da più di vent’anni.
Dopo aver attraversato perigliosi mari in vari ambiti e settori ed essersi dedicata alla redazione di libri saggistici e specifici del settore dell’insegnamento, esordisce oggi nel genere novellistico.
Due lauree, corsi di specializzazione, master non sono bastati a spegnere la sua continua, vulcanica e poliedrica ricerca della verità.
Da sempre, le sue parole che profumano di vita e di umanità, arricchite dalla sua esperienza e sensibilità, restituiscono delicati attimi di leggerezza frammisti a momenti di profonda riflessione.
Nel 2021 inizia la collaborazione con LoSpeakersCorner.
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