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Giustizia, il Pd prova a mediare col M5S ritardando la “riforma”

Giustizia, il Pd prova a mediare col M5S ritardando la “riforma”

Lunedì Giuseppe Conte tornerà a Palazzo Chigi per incontrare Mario Draghi. L’appuntamento era atteso, ma è stato messo in agenda ieri dalla Presidenza del Consiglio: i tempi per questo faccia a faccia erano maturi a prescindere dall’attualità parlamentare, visto che Conte ha appena preso ufficialmente la guida del Movimento 5 Stelle, dopo settimane di guerra interna. Ma è ovvio che i due parleranno innanzitutto dei dossier sul tavolo della maggioranza.

Innanzitutto il premier vuole garantirsi il sostegno dei Cinque Stelle nel voto in Vigilanza Rai per la nomina della presidente Marinella Soldi, indicata dal governo, ma poco gradita ai membri della commissione, in particolare del centrodestra. Ma la questione più delicata resta la riforma della giustizia, sulla quale l’Avvocato ha annunciato battaglia. Draghi non sembra intenzionato a concedere troppo all’ex premier, visto che i ministri 5S hanno già votato il testo in Cdm e, soprattutto, per evitare di far mettere di traverso le altre forze politiche, che già hanno faticosamente digerito alcuni compromessi con i grillini. A farsi carico di un tentativo di mediazione è il Pd di Enrico Letta, che – pur condividendo l’impianto della riforma – è consapevole della necessità di tenere dentro M5S. Le interlocuzioni sono costanti, anche con lo stesso Conte. In particolare, l’uomo del dialogo è Andrea Giorgis, ex sottosegretario alla Giustizia nel Conte-2, ora in commissione Giustizia. “Stiamo facendo la nostra parte per trovare le soluzioni che vadano bene all’intera maggioranza”, spiega Alfredo Bazoli, capogruppo dem in Commissione.

Il Pd, non vuole forzare troppo sui tempi. E anche se Draghi a Letta ha ribadito la necessità di un’approvazione alla Camera prima della pausa estiva, l’approdo nell’aula di Montecitorio potrebbe slittare: è previsto il 23 luglio, troppo presto politicamente, ma anche dal punto di vista dei lavori. Ieri c’è stata una seduta fiume della Commissione, con diverse audizioni di giuristi, avvocati e magistrati (le trovate qui a fianco, ndr). Un incidente ha contribuito ad aumentare la tensione: il ministero della Giustizia ha mandato un testo difforme a quello approvato in Cdm su un emendamento che riguarda i tempi della prescrizione (che risultavano accorciati). Per poi precisare che si è trattato di un errore.

Al di là dei pasticci, tra le possibili mediazioni per intervenire sui tempi della prescrizione, se ne fanno strada due in particolare: una norma transitoria, per farla entrare in vigore in maniera meno immediata (come si fece ai tempi della riforma Bonafede) e l’allargamento del catalogo dei reati con tempi prescrittivi più lunghi. Marta Cartabia, ministro della Giustizia, sa che il rischio di una implosione della maggioranza è alto, quindi ha aperto a possibili modifiche. Ma non è detto che siano sufficienti a convincere Conte: l’ex premier, nell’incontro di lunedì, ribadirà che in gioco non c’è la lealtà alla maggioranza, nessuno – insomma – ha intenzione di far cadere il governo. Però, sarà il suo ragionamento, non si tratta nemmeno di una pura questione di principio: alle elezioni del 2018, oltre dieci milioni di italiani hanno votato il Movimento che aveva tra i suoi impegni principali proprio quello di riformare la Giustizia e le norme sulla prescrizione, impegno mantenuto con l’approvazione della legge Bonafede, ora presa a schiaffi dai suoi stessi compagni di partito. “Per noi c’è un limite invalicabile: non possiamo tollerare alcuna sacca di impunità – spiegherà Conte – Non ci possono chiedere di smantellare le riforme per cui i 5 Stelle sono stati votati”.

E lo stesso vale per il Reddito di cittadinanza, un’altra delle bandiere del Movimento che rischia di finire ammainata. Conte ha intenzione di discutere con Draghi anche di questo, illustrandogli una serie di interventi che possano migliorarlo, incidendo soprattutto sulle politiche attive del lavoro. Lo stesso tasto su cui vuole battere il ministro dem Andrea Orlando, anche lui convinto che il Reddito non vada smontato ma migliorato, attraverso investimenti sul reinserimento lavorativo, sui centri per l’impiego e poi su ammortizzatori sociali e istruzione. Un altro possibile terreno di convergenza per i vecchi alleati giallorosa.

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L’aiutino dei governatori per i referendum leghisti

L’aiutino dei governatori per i referendum leghisti

Il via libera ai referendum della Lega (e dei Radicali) per accogliere di nuovo i corrotti in Parlamento non passerà più dalla “volontà popolare”, intesa come le 500mila firme raccolte in 120 giorni dai militanti in tutta Italia, bensì dalla votazione verticistica di sei mozioni in 5 consigli regionali, come prevede l’articolo 75 della Costituzione. Dopo nemmeno due settimane dall’avvio della campagna referendaria (il 2 luglio), Matteo Salvini sembra aver alzato già bandiera bianca e ha chiesto ai governatori-amici un paracadute per far in modo che, ben che vada, la raccolta firme ai banchetti si dimostri un esercizio di stile, più che di democrazia.

Il primo a correre in soccorso del segretario è stato Attilio Fontana. Il consiglio regionale della Lombardia, il 13 luglio, ha approvato a maggioranza le sei proposte di approvazione di referendum abrogativo indette dai leghisti: hanno votato a favore Lega e Forza Italia, contro Pd e M5S, mentre Fratelli d’Italia si è astenuto.

L’esempio di Fontana&C. è stato subito seguito dai vicini di casa, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. La Regione di Luca Zaia ha fatto partire la discussione mercoledì scorso in commissione, facendo registrare – anche qui – la dissociazione di FdI, e ha calendarizzato la votazione degli ordini del giorno per le giornate di martedì e mercoledì prossimi. Nel Friuli di Massimiliano Fedriga, invece, la Commissione accoglierà la proposte leghiste il 22 luglio e ha già previsto di portarle in aula il successivo 26 luglio: qui i promotori sono arrivati addirittura a citare la Lombardia. Non si sottrae nemmeno l’Umbria di Donatella Tesei: lunedì i quesiti andranno in Commissione, su richiesta del capogruppo della Lega, Stefano Pastorelli. “Mi stupisce la velocità con cui la richiesta di calendarizzazione è stata accettata, quando anche noi come M5S avremmo voluto proporre al consiglio il nostro quesito per l’eutanasia legale”, dichiara il capogruppo del M5S Umbria, Thomas De Luca. Si cerca una quinta regione. Con la Calabria di Nino Spirlì ferma per la campagna elettorale, la scelta è ricaduta sulla Liguria. Al momento la Regione di Giovanni Toti (leader di Cambiamo) è quella che sta più indietro, con la votazione prevista per il 3 agosto, nonostante la protesta delle opposizioni. In alternativa, il senatore Roberto Calderoli ha già parlato con il forzista Alberto Cirio: il governatore del Piemonte – assicurano fonti leghiste all’ombra della Mole – si sarebbe già reso disponibile.

Fra le proposte di Lega e Radicali non c’è solo l’abolizione della cosiddetta Legge Severino, che fra le varie norme prevede l’incandidabilità per le cariche nel Parlamento italiano, nel Parlamento Ue e negli Enti locali per tutti coloro che abbiano riportato condanne legate alla corruzione. I quesiti vorrebbero anche l’introduzione di alcuni temi già cari ai vari governi Berlusconi: la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere fra giudici e pm, la reclusione preventiva in carcere solo per i “reati gravi” e la raccolta firme per i magistrati che vogliono far parte del Csm. Alcune di queste norme, fra l’altro, sono state già affrontate nella riforma proposta dalla ministra Cartabia. Di sicuro l’approvazione in consiglio regionale permetterà a Salvini in primis di evitare figuracce, ma probabilmente anche di risparmiare qualcosa sui banchetti e sulla campagna referendaria. In fondo, prevenire è meglio che curare.

(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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