Il racconto dei detenuti – “Gli agenti ci dissero: ‘Vi dobbiamo picchiare ancora’?”. 30 reclusi trasferiti in altre strutture: rischiano ancora ritorsioni.
Nei giorni successivi al furioso pestaggio del 6 aprile 2020, gli agenti del penitenziario di Santa Maria Capua Vetere provarono a “convincere”, non proprio con le buone, i detenuti a ritirare le denunce e a chiedere scusa per le rivolte dei giorni precedenti, quando l’emergenza Covid fece salire la temperatura delle proteste a livelli preoccupanti.
L’obiettivo era chiaro: ribaltare le colpe, far passare il messaggio, con documenti alla mano da produrre in amministrazione penitenziaria, che in fondo è stata colpa loro, dei reclusi. Se l’erano cercata.“Mio marito mi disse che le guardie giravano coi fogli da far firmare in bianco, minacciando lui e altri se non lo avessero firmato”, sostengono diverse mogli e compagne dei reclusi al Fatto Quotidiano.Il 22 maggio 2020 un detenuto, B. D. A., mette a verbale che tre agenti “mi dissero di ritirare la denuncia per poter vivere più tranquillamente all’interno del carcere”.Sono le stesse circostanze riferite da A. T. al pm il 22 aprile 2020: “Un ispettore chiese sia a me che a E. di ritirare le denunce e di dissuadere anche gli altri detenuti dal proporle, ma gli facevo presente che ‘ogni testa è un tribunale’ e quindi non avrei potuto offrirgli certezza in merito”.A. T. viene risentito in giugno: racconta di una perquisizione subita insieme ad altri 16 reclusi pochi giorni dopo il pestaggio, seguita da minacce: “Non avete abbuscat assai, vi dobbiamo picchiare ancor. Macafatt ci hai denunciat”.Diversi racconti concordano sul punto: ci furono pressioni sui detenuti per ridimensionare o cancellare le accuse.E tra queste presunte pressioni – che il Gip di Santa Maria Capua Vetere, Sergio Enea, non ritiene riscontrate, valutando insussistenti i gravi indizi di colpevolezza degli indagati – c’è anche la storia della lettera di scuse alla commissaria capo e alla direttrice del carcere sammaritano, firmata da 35 detenuti di 12 celle della terza sezione del Reparto Nilo, il reparto dove avvenne “l’orribile mattanza”.Lettera “con cui si chiede scusa per il comportamento assunto nei giorni precedenti (da intendersi 5 e 6 aprile 2020), assicurando che mai più avranno a verificarsi episodi analoghi”, si legge nell’ordinanza.Copia della lettera verrà ritrovata su una chat di gruppo di dipendenti dell’amministrazione penitenziaria, estrapolata dal cellulare di Antonio Fullone, il provveditore campano alle carceri ora sospeso dal giudice.Fullone l’aveva ricevuta il 9 aprile da un altro indagato, Pasquale Colucci, il comandante del gruppo di supporto agli interventi. Il “regista” del pestaggio, secondo i capi di imputazione.Dalle carte, la nascita di questa lettera non è chiara. Diversi detenuti sostengono che l’idea sia stata della polizia penitenziaria e uno aggiunge un dettaglio importante: “Fu formulata e ce la propose un certo brigadiere C. al fine di ottenere i benefici di regime aperto all’interno del carcere. In effetti si trattava di assumerci noi le responsabilità degli accaduti”. Un altro recluso però la attribuisce “all’avvocato“. È il soprannome di un detenuto della terza sezione, cella 6. “Ce la propose lui due giorni dopo gli eventi”, dice uno dei firmatari.Un altro dei sottoscrittori, sentito l’8 giugno 2020, precisa: “Io non volevo firmarla, ma per paura di ritorsioni la firmai”.Paura è una parola che ricorre spesso. F. B., interrogato il 10 giugno 2020, spiega invece cosa rispose agli agenti della penitenziaria che lo avvicinarono per chiedergli di firmarla e perché si rifiutò di farlo: “Io non dovevo delle scuse, dovevo riceverle, in quanto torturato senza nessun motivo”.Intanto il Dap ha sospeso altre 25 persone, tra cui i due vice direttori del carcere e il vice comandante della polizia penitenziaria. Vanno ad aggiungersi ai precedenti 52, che riguardano le persone raggiunte dai provvedimenti cautelari emessi lunedì scorso dal gip su richiesta della Procura guidata da Maria Antonietta Troncone.E sempre su richiesta della Procura, accolta dal Dap che l’ha formalizzata in un provvedimento, trenta detenuti del carcere sammaritano sono stati trasferiti presso altri istituti penitenziari tra la Campania, il Lazio e altre regioni.Il provvedimento, confermato dalla direzione del carcere, sarebbe stato dettato dalla necessità di tutelare la loro sicurezza.