Mai urlato, sempre garbato e con poche parole. Eppure tra affermazioni, smentite e silenzi, quello che si sta consumando in questi giorni sulla vicenda dei verbali resi dall’avvocato Piero Amara davanti ai pm di Milano e consegnati all’ex consigliere del Consiglio superiore della magistratura Piercamillo Davigo è uno scontro tutto interno alle istituzioni. Una domanda su tutte dunque: quei verbali arrivarono al Colle? Davigo sul punto tira dritto: ieri al Fatto ha confermato che la copia, senza firma dei pm, di quei verbali (che lui aveva avuto in qualità di consigliere del Csm dal pm di Milano Paolo Storari) li ha consegnati al vicepresidente del Csm David Ermini. Che interpellato ieri dal Fatto non smentisce: “Quello che dovevo dire l’ho già detto”.E dunque ancora molte domande restano senza risposta: se è vera la versione di Davigo, Ermini li tenne per sé? Lì consegnò materialmente al Colle?Per capire bene ciò che è avvenuto nel corso di queste settimane bisogna ritornare alla scorsa primavera. È aprile 2020, pieno lockdown, quando avviene l’incontro a Milano tra Davigo e Paolo Storari, magistrato del capoluogo lombardo che consegna all’ex pm di Mani Pulite una copia di lavoro di alcuni verbali di Piero Amara, in cui l’avvocato siciliano racconta di una fantomatica loggia massonica denominata Ungheria. Di questa farebbero parte, a sua detta, anche magistrati, politici ed esponenti delle forze dell’ordine. Amara mette a verbale che farebbe parte di questa fantomatica loggia anche il consigliere del Csm in carica Sebastiano Ardita (circostanza diffamatoria come ha dichiarato al Csm il consigliere Antonino Di Matteo). Storari consegna quei verbali a Davigo perchè convinto che la procura di Milano, guidata da Francesco Greco, non spingesse abbastanza l’acceleratore sulle indagini innescate dalle parole di Amara.La prima settimana di maggio, finito il lockdown, Davigo torna a Roma e ne parla con Ermini. “Ho consegnato i verbali a Ermini”, ha spiegato ieri. Su questo il vicepresidente del Csm al Fatto risponde: “Quello che dovevo dire l’ho già detto”. Secondo il racconto dell’ex pm di Mani pulite, Ermini a quel punto informò il Quirinale e poi incontrò nuovamente l’ex consigliere, porgendogli i ringraziamenti del Colle e il messaggio che a quel punto non era necessario intraprendere ulteriori iniziative. Una ricostruzione della quale Il Fatto ha scritto il 4 maggio, chiedendone conto il giorno prima ad Ermini, che ha confermato solo la prima parte della versione di Davigo – “confermo solo che me ne parlò” – mentre non aveva smentito nè confermato il resto del racconto. Ossia le interlocuzioni con il Quirinale.
Il 5 maggio in un lancio dell’agenzia Ansa si legge: “Quanto al merito della questione che sta agitando la magistratura il Colle, interpellato in proposito, ribadisce quanto sia essenziale, per tutti, il rispetto assoluto delle regole. Della vicenda si stanno infatti occupando ben 4 procure. Ogni ulteriore intervento si configurerebbe come una indebita interferenza nelle indagini in corso”.
Passano altri tre giorni e ieri arriva una smentita di Ermini. Il vicepresidente del Csm scrive al Fatto: “Nell’articolo ‘Davigo diede anche un rapporto scritto al vicepresidente Ermini’ (…) si sostiene che io avrei ricevuto una informativa dal dottor Davigo. È falso. Smentisco in modo fermo e assoluto che il dottor Davigo mi abbia consegnato report, informative o note scritte; non è vero inoltre che mi feci portatore di alcun ringraziamento o di indicazioni da parte del Presidente della Repubblica”. Quindi smentisce di aver ricevuto una nota informativa ma non nega di aver ricevuto i verbali da Davigo.
Dopo Ermini, nella versione di Davigo l’ex consigliere parlò della questione anche con alcuni consiglieri del Csm come Giuseppe Marra, Fulvio Gigliotti e Giuseppe Cascini, per motivare la distanza presa dal consigliere Ardita e sempre vincolando i suoi colleghi al segreto.