‘Io, specchio dei tuoi occhi malati’: intrigante ‘romanzo-duetto’ del docente universitario Roberto Calvo
Figura intellettualmente complessa, poliedrica, che spazia dal diritto alla musica, l’autore Roberto Calvo è docente ordinario di Diritto privato presso l’Univda, musicista, autore di articoli, testi e saggi giuridici, si è cimentato (sotto lo pseudonimo di Elia Carsen) in un’opera letteraria che offre al lettore delle novità interessanti.
Il suo romanzo si presenta nella forma del “duetto amoroso e psicologico”, grazie al quale l’Autore dialoga o meglio duetta, appunto, con sei personaggi femminili, veri o immaginari (poco importa): Petra, Franziska, Federica, Luana, Grace e Sophia.
Tale duetto amoroso, che si trasforma, poi, in un vero e proprio “duello”, riporta il lettore, che abbia reminiscenze musicali, alla cantata“Amarilli Vezzosa” di Händel, i cui protagonisti Amarillys e Daliso si rimproverano reciprocamente le incomprensioni, gli equivoci e le colpe che hanno ucciso sul nascere il loro “idillio”.
Anche le coppie che l’Autore crea di volta in volta con i sei personaggi femminili, come Amarilli e Daliso, si “rimproverano” una serie di peccati o colpe reciproche che poi rappresentano la causa della fine del rapporto.
L’opera si articola in un dialogo interiore, ininterrotto e intimistico in cui l’Autore rivive, analizza e psicanalizza i personaggi e se stesso, cercando di spiegarsi e spiegarci l’amore, le relazioni, le dinamiche ad esse sottese, l’Io e l’Altro nel Noi: una lettura – e in questo l’opera fa da specchio al lettore – che sollecita riflessioni profonde, a condizione che chi legge,come insegnava Umberto Eco, non sia “ingenuo”.
Si scoprono così nel viaggio, all’interno del testo, una serie di temi che servono al lettore per comprendere il pensiero dell’Autore, ma anche per interpretare in piena autonomia il testo. Il gioco amoroso, il peccato, il vuoto e l’horror vacui, lo specchio rappresentano, infatti, i tasselli per ricomporre il puzzle.
L’analisi di se e degli altri passa, quindi, per il tramite della relazione amorosa intesa come un “gioco”, come “giochi” sono definibili, del resto, tutte le relazioni e i prodotti della cultura umana. A riportarci alla dimensione ludica della vita è anche Huizinganel con il suo “Homo Ludens”, il quale sottolinea come ai giochi non si può giocare senza la “serietà” e “responsabilità”, che sono elementi indefettibili del “gioco” stesso, anche di quello amoroso (avete visto quanta serietà mettono i bambini nel gioco?), affinché il “fanciullino” che gioca non si trasformi in un adulto “puerile”, dispotico e dispettoso, che anziché giocare e creare il gioco lo distrugge.
In questo gioco non vi è spazio per il Super-Io, per le superfetazioni, i beceri pregiudizi, i bias cognitivi, che la cultura della famiglia, in primis, del clan e della società, impongono o vogliono imporre al fanciullino; in questo gioco non vi è spazio per il Censore interiore, che pure domina anche a loro insaputa gli spiriti poco allenati alla libertà interiore.
“Io non solo mai nessuno dei miei atti, dei miei comportamenti. Il buon parlatore è colui che gioca a parlare, perché non può essere parlante; l’allievo attento vuole essere attento […]. Perpetuamente assente al mio corpo, ai miei atti, io sono, a dispetto di me stesso, la divina assenza d cui parla Valery. Non posso dire né che sono qui né che non ci sono, nel senso in cui si dice <questa scatola di fiammiferi è sulla tavola>; sarebbe confondere il mio essere nel mondo con un essere in mezzo al mondo. Da ogni parte sfuggo all’essere e tuttavia sono”
Tornando al romanzo, il prof. Calvi ci presenta la relazione amorosa come la condizione attraverso cui è possibile trasmutare la materia grezza del “piacere”, della passione, della energia sessuale, di quello che il Censore interiore chiama il “ peccato”, il nigredo, nell’oro alchemico della consapevolezza di sé (conosci te stesso e conoscerai il mondo e gli dei). Attraverso questa trasformazione ci si libera dai morbosi giudizi del Censore, per passare platonicamente dall’amore dei corpi e per i corpi, all’ amore per tutte le cose, all’amore per la Conoscenza, come spiegava Diotima a Socrate.
Non è un caso, infatti, che la prima dei personaggi dell’opera del nostro Autore si chiami Petra e l’ultima delle sei fanciulle, invece, Sophia.
È arrivando ad amare tutte le cose, che alla fine, Poliphilo, il sapiente, l’amante, l’Io cosciente, ritrova la sua Polia, scegliendo, cioè la terza via, che passa attraverso la ricerca del vuoto: il “ vuoto”, l’assenza del Censore, il silenzio del Censore interiore, il vuoto, in cui può, finalmente, esprimersi il vero Sé, potendo essere tutte le cose, senza l’assillo e le catene dei giudizi del mondo esterno, che lo incatenano, costringendolo ad essere un eterno Sisifo, che compie sempre gli stessi errori e senza più le pulsioni patologiche derivate dalla repressione individuale e sociale.
Solo così, abbracciando il vuoto, vincendo l’horror vacui, lo specchio finalmente si rompe e l’Io è libero dagli occhi malati da cui è nato l’Es (il luogo della psiche che contiene tutti gli impulsi giudicati socialmente inaccettabili)
Le sei teste di un’unica Idra sono, ora, sei Muse.