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L’uomo di Gelli alla Boschi: “1 mln di voti se cacci Conte”

L’uomo di Gelli alla Boschi: “1 mln di voti se cacci Conte”

La rivelazione – Domani nella trasmissione di Rai3, il colloquio tra il cronista e l’ex tesoriere della Lega Gianmario Ferramonti

di Alessandro Mantovani | 11 APRILE 2021

Di sé dice “non sono massone”, ma anche “mi considero un gelliano”, rivendicando il legame con il Venerabile della P2. “Sono stato amico di Gelli anche gli ultimi anni della sua vita. Gli ultimi quattro Capodanni li ho passati a Villa Wanda, assieme a lui”, si vantava Gianmario Ferramonti, leghista della primissima ora e uomo di mille affari in mezzo mondo.

Così parlava a Giorgio Mottola di Report ai primi di gennaio. Il giornalista è tornato da lui a fine mese, stavolta senza fargli vedere microfono e telecamera, precisamente il 27 gennaio e cioè all’indomani delle dimissioni di Giuseppe Conte, bersagliato tra gli altri – specie sui giornali di Antonio Angelucci, senatore forzista e signore delle cliniche – da un personaggio come Luigi Bisignani, che ha sempre negato l’iscrizione alla P2 ma compariva negli elenchi sequestrati a Licio Gelli nel 1981.

A Ferramonti, che anni fa aveva raccontato il suo interessamento per dare una mano a Pier Luigi Boschi nell’avventura di Banca Etruria, Mottola ha chiesto dei suoi rapporti con la figlia renziana, Maria Elena: “Anche per questa crisi vi siete sentiti?”. “Diciamo che con la Boschi ho una corrispondenza”, gli ha risposto compiaciuto l’ex leghista. Report trasmetterà il dialogo domani sera su Rai3, nella prima puntata della nuova stagione. “Ci scriviamo, non ci parliamo”, ha chiarito un attimo dopo Ferramonti. “E la stai consigliando anche su questa fase?”, chiede Mottola. “Be’ – spiega Ferramonti – gli avevo dato una piccola notizia, che se buttavano giù questo cretino di Conte magari gli davamo una mano, vediamo”. “Ma gli davate una mano chi voi?”. “Allora, qui hai un rappresentante di Confimpresa – e Ferramonti indica un uomo, oscurato da Report, seduto alla sua destra davanti alla telecamera nascosta –, qui hai un rappresentante di Confimea, della Cifa – e indica se stesso… – Insieme qualche milione di voti ce l’abbiamo, no? E se decidiamo…”. “Spostarli sulla Boschi?”, chiede il giornalista. “Chi sarà al momento giusto al posto giusto…”, dice lui. E poi continuano a parlare di Cecilia Marogna, la misteriosa ex collaboratrice dell’ex numero due della Segreteria di Stato vaticana, il cardinale dimezzato Angelo Becciu. L’inchiesta di Mottola è infatti dedicata allo “sterco del diavolo” e passa da Immacolata Chaouqui a Ferramonti e a Francesco Pazienza, fino a protagonisti di vicende più recenti dei nostri Servizi segreti, passando per Flavio Carboni e Bisignani.

Boschi ha risposto per iscritto a Report che “nei mesi di gennaio e febbraio” ha “ricevuto diversi messaggi telefonici da un numero che non conoscevo ma che, secondo il mittente, corrispondeva all’utenza di tal Gianmario Ferramonti. Non ho mai risposto ai suddetti messaggi – ha assicurato Boschi, né parlato con il sig. Ferramonti, men che mai della crisi di governo”. Sarà senz’altro vero, ci mancherebbe. Come è vero che un mondo di faccendieri legato alle massonerie si agitava e perseguiva uno scopo sostanzialmente sovrapponibile a quello di Italia Viva, promettendo o millantando sostegno a chi avesse agevolato la fine del governo Conte 2 e della maggioranza giallorosa che lo sosteneva. Il giorno in cui Ferramonti si è fatto registrare da Mottola iniziavano le consultazioni al Quirinale, verrà poi l’inutile incarico esplorativo a Roberto Fico e poi quello vero a Mario Draghi. E il 7 febbraio Bisignani, che qualche rapporto anche con Ferramonti l’ha avuto, passava all’incasso, con una lettera al direttore del Tempo Franco Bechis: “Caro direttore, grazie a Renzi e a un Mattarella risvegliatosi in zona Cesarini, l’Italia avrà un governo finalmente autorevole. A parte gli unici tratti in comune rappresentati dal tifo per la Roma, i capelli curati e il completo blu d’ordinanza, Mario Draghi è proprio l’antipode di Giuseppe Conte, per formazione, preparazione e stile di vita”.

Le Grandi Riforme

di Marco Travaglio | 11 APRILE 2021

Le prime Grandi Riforme dei Migliori sono quelle dei dizionari della lingua italiana e dei manuali di aritmetica. Mentre denunciavamo la vergogna del condono fiscale in compagnia dei tupamaros di Bankitalia e Corte dei Conti, abbiamo scoperto dai giornaloni che, siccome Draghi ha definito “condono” il suo condono, allora non è un condono (dal che si deduce che, se fai una rapina e la chiami rapina, non è una rapina). Per il rag. Cerasa del Foglio è una “svolta da seguire di Draghi: usare i condoni per denunciare le inefficienze dello Stato” (come usare le rapine per denunciare le inefficienze della polizia). E per il prof. Cottarelli, editorialista di Rep e consulente del governo per interposto Brunetta, “a ben vedere, nella sostanza, si tratta di un’operazione di semplificazione”. Pure le gaffe, quando le fa Draghi, non si chiamano gaffe. Anche quando dà dei salta-fila senza coscienza agli psicologi che si vaccinano per obbedire al suo decreto del 1° aprile (o era un pesce d’aprile?). E quando dà a Erdogan del “dittatore che ci serve”, causando una prevedibilissima crisi diplomatico-commerciale coi turchi che, come lui stesso dice, ci servono: siedono con noi nella Nato; comandano in Libia e così ci ricattano coi migranti; e per giunta hanno notevoli scambi economici con noi (ieri pare che abbiano sospeso una commessa da 70 milioni per 15 elicotteri di Leonardo firmata pochi giorni fa). Ma non è una gaffe: si chiama – spiega Stefano Folli su Rep – “nuova politica europea di Draghi”, “disegno che sta prendendo forma” per “innalzare la nostra proiezione internazionale” e “rischio calcolato”. Calcolato da chi e su cosa, non è dato sapere, specie se i turchi comprassero quegli elicotteri da un paese più diplomatico, con perdita di soldi e lavoro per la nostra partecipata di Stato.

Ma il “cambio di passo” dei Migliori rivoluziona anche l’aritmetica. A furia di “accelerare” con Figliuolo, la nostra campagna vaccinale resta sotto le 300mila dosi medie al giorno, mentre accelerano oltre le 600mila la Germania e oltre le 500mila la Francia, che col famigerato Arcuri erano sotto o al pari di noi. Ma ecco l’ideona: calcolare le dosi non più al giorno, ma a dècade. Così la frenata diventa un’accelerata. Rep: “Vaccini, tutto in 10 giorni: ‘Serve una terapia d’urto’”, “Anziani al sicuro, il governo accelera: 3 milioni di vaccini in 10 giorni”. E quanto fa 3 milioni diviso 10? Sempre 300mila. Ma sembrano di più, come gli scalcagnati carri armati che Mussolini faceva girare più volte davanti agli alleati tedeschi: erano sempre gli stessi, ma sembravano un’invincibile armata. E Figliuolo e Rep non erano ancora nati, sennòavrebbero gridato all’“accelerazione” e alla “terapia d’urto”.

La vendetta del “dittatore”: bloccati elicotteri per 70 mln

La vendetta del “dittatore”: bloccati elicotteri per 70 mln

Tensione – Dopo le parole di Draghi, Erdogan ferma una commessa da Leonardo alla Turchia e ora pretende un chiarimento pubblico

di Salvatore Cannavò | 11 APRILE 2021

Avrà pure ridato dignità all’Italia, come pensa gran parte del centrodestra, ma la sortita di Mario Draghi contro la Turchia, anzi contro il “dittatore” Erdogan, ha già iniziato ad avere ripercussioni economiche. A quanto risulta al Fatto sarebbe stata bloccata la commessa di elicotteri destinati da Leonardo alla Turchia dal valore di 70 milioni di euro.

La notizia era apparsa in forma dubitativa ieri mattina su La Stampa, ma ora si parla di un blocco sia pur momentaneo. Leonardo, contattata dal Fatto, non ha dato risposte (e ieri il sito della compagnia è andato in down). Diverse imprese che operano in Turchia hanno già espresso le loro preoccupazioni alle autorità per eventuali ripercussioni e tra queste ci sarebbe anche Ansaldo. La Turchia, dopo la convocazione, a caldo, dell’ambasciatore italiano, ha fatto ora sapere che vorrebbe un chiarimento pubblico da parte di Draghi e si parla di una possibile telefonata tra il presidente del Consiglio e il presidente turco.

In tanti si chiedono a cosa sia dovuta la sortita di Draghi. Anche perché, molti studiosi non condividerebbero la definizione di “dittatore” data di Erdogan: “L’opposizione è sotto assedio, ma esiste, è vitale, si batte in Parlamento e nelle piazze”, spiegava ieri Mariano Giustino nella sua settimanale, e molto dettagliata, rassegna stampa turca su Radio Radicale.

E poi se Erdogan è un dittatore cos’è l’egiziano al Sisi? Cosa dire delle vicende di Giulio Regeni e Patrick Zaki? Eppure proprio ieri l’Italia ha fatto salpare verso l’Egitto la seconda fregata multimissione Fremm, che faceva parte dell’accordo di vendita per due navi militari siglato nel 2020. La nave, il cui nome è stato mutato in Bernees e con il numero di immatricolazione egiziano 1003, come afferma la Rete Pace Disarmo, è attesa in Egitto per la cerimonia ufficiale.

Due pesi e due misure che lasciano sorpresi molti osservatori tanto che negli ambienti politici romani si addebita la dichiarazione di Draghi o a un tentativo di visibilità per fronteggiare il calo dei consensi o, addirittura, a una “voce dal sen fuggita”, sintomo di improvvisazione.

Altro problema non da poco e che preoccupa la nostra diplomazia è la ricaduta possibile in Libia, dove la Turchia ha un ruolo ormai inaggirabile. Solo giovedì scorso, poche ore prima delle dichiarazioni di Draghi, l’ambasciatore italiano ad Ankara aveva elogiato il ruolo della Turchia nella soluzione politica in Libia affermando: “Penso che anche il governo turco, che ha lavorato a stretto contatto con l’Italia, abbia dato il suo contributo molto positivo a questa soluzione”. Parlando virtualmente con un gruppo di giornalisti dell’Associazione dei corrispondenti diplomatici della Turchia, Massimo Gaiani ha affrontato diverse questioni relative alle relazioni turco-italiane, nonché questioni regionali e internazionali. “Penso che questo importantissimo passo porterà un trend positivo e che più avanti le questioni della presenza militare verranno risolte. Siamo sulla strada giusta. Continueremo il dialogo molto stretto tra Italia e Turchia su questioni libiche, nello spirito di stabilizzare il Paese”.

Poi le frasi di Draghi e la tensione che inevitabilmente si ripercuoterà anche sul governo di Abdul Hamid Dbeibah che è senz’altro filo-turco ma che, grazie alla forte pressione degli Usa, ha impostato una fase di rapporti positivi con tutti a partire dall’Italia. Desta stupore, quindi, che nonostante il primo viaggio internazionale di Draghi sia stato in Libia subito dopo abbia contribuito a complicare quel dossier con l’attacco a Erdogan.

È probabile che anche di questo discuteranno Luigi Di Maio e il Segretario di Stato Anthony Blinken a Washington in quello che è il primo viaggio di un ministro presso l’Amministrazione Usa da quando Joe Biden si è insediato. Un successo diplomatico per il ministro italiano, generalmente sbeffeggiato dalla stampa liberale, e che mira a ribadire le relazioni transatlantiche italiane.

Politico, massone e mitomane: le 7 vite di Gianmario

Politico, massone e mitomane: le 7 vite di Gianmario

Avventure – Da Bossi a “Silvietto”, l’amato Licio e la Romania

di Tommaso Rodano | 11 APRILE 2021

Gianmario Ferramonti è una di quelle creature mitologiche del potere italiano di cui è difficile capire la natura. Come definirlo: Ferramonti è un politico? Sì, ma ha navigato sotto il pelo della superficie dei partiti, è stato raramente candidato e mai eletto. È un massone? Innegabile, anche se lui sostiene di aver frequentato moltissime massonerie senza mai affiliarsi ad alcuna di esse. È un delinquente? Parola ingiusta, pure se Ferramonti ha conosciuto il carcere nel 1996 per l’inchiesta Phoney Money, una gigantesca truffa finanziaria da 20mila miliardi di lire scoppiata come una bolla di sapone, e in parallelo è stato indagato come promotore di una rete di spionaggio internazionale: tutte le ipotesi sono cadute con un’archiviazione. Per le figure come la sua si usa il termine “faccendiere”, vacuo come ogni tentativo di semplificare realtà complesse. Ferramonti è un affabulatore, un uomo che ama raccontarsi tra ironia e millanterie, che sembra divertirsi a proiettare un’ombra più lunga della sua statura reale. Verità fattuale e abilità narrativa si mescolano di continuo.

Di sicuro c’è la sua impronta in molti passaggi di Prima e Seconda Repubblica. Nella Lega di Bossi e di Gianfranco Miglio era il tesoriere. Si definiva, scherzando, “galoppino” dell’ideologo della Padania, ma era pure il tratto d’unione tra Miglio e il mondo della massoneria. Ferramonti figura (e ci tiene a figurare) tra i registi del primo governo Berlusconi nel 1994 e come garante della nomina di Roberto Maroni al Viminale, primo storico ministro dell’epopea leghista.

Nel centrodestra ha partecipato anche alla nascita di Alleanza Nazionale. È generoso con gli aneddoti: “Il nome è un’invenzione di Vittorio Feltri – disse Ferramonti in un’intervista al Fatto – che lo propose per un’alleanza elettorale tra Lega e Movimento Sociale a Belluno. Per Fini chiamarla An era una cazzata ma Pinuccio Tatarella la registrò lo stesso”.

Tre anni fa Ferramonti ha scritto una lettera aperta a Berlusconi: “Silvio, ricordati che l’idea primigenia di fondare Forza Italia è mia, ho una cassetta registrata in cui il tuo segretario Guido Possa lo dice chiaramente”. Con “Silvietto” era arrabbiato perché si dimentica di tutti gli amici (come lui): “Dell’Utri lasciato a marcire in carcere e poi Bettino Craxi, Ennio Doris, Dario Rivolta, Ezio Cartotto”.

La vicinanza agli ambienti massonici e dei servizi internazionali è postulata nelle inchieste che lo riguardano. La esibisce come una medaglia: “Mi considero un gelliano – disse a gennaio a Report –. Gli ultimi quattro capodanni li ho passati a villa Wanda, assieme a lui”. Nell’intervista al Fatto mette in fila i suoi preferiti, dopo Licio: “Flavio Carboni, Francesco Pazienza, Luigi Bisignani, Alfredo Di Mambro, Renato D’Andria, Filippo Rapisarda, Mario Foligni”.

Il primo nome è rilevante nelle ultime vicende: Carboni, gran protagonista dell’inchiesta sulla P3, ai tempi del governo Renzi riferì di aver incontrato tre volte il papà di Maria Elena Boschi e di avergli fatto il nome di Fabio Arpe per il ruolo di direttore generale per Banca Etruria. Glielo raccomandò Ferramonti in persona: “Con Flavio siamo amici da 30 anni, mi chiese una mano per Etruria e un nome per Pier Luigi Boschi”.

E a proposito di P3: le ultime suggestioni sul Ferramonti massone lo vorrebbero ancora ai vertici di intriganti entità esoteriche. A Natale 2019 sul canale YouTube della Marea Loja Nationala Romana – 1880 (la Grande Loggia Nazionale Romena) compare un video sulla “Nuova Propaganda Massonica 3”. L’autoproclamato capo è il generale romeno Bartolomeu Constantin Savoiu, che annuncia la genesi di un’associazione erede della P2 di Gelli. Alla destra di Savoiu chi c’è? Ovvio: Gianmario Fioramonti. Che aveva da poco fallito l’assalto al Parlamento europeo, tra le file del non brillantissimo partito dell’ex ministro montiano Mario Mauro, “Popolari per l’Italia”. Ferramonti giurò al Fatto: “Prenderemo il 5%”. Invece fu solo 0,3: meglio dedicarsi ai grembiuli.

Il confine è labile: verità o menzogne, potere occulto o mitomania? Una via di mezzo: Gianmario Ferramonti.

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(Fonte: Cronache Agenzia Giornalistica – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)

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